Storie di Santi

Santa Margherita di Città di Castello: quando la sofferenza porta ad amare gli altri (parte 1)

di Chiara Chiessi

La sua vita, segnata dalla sofferenza e dall’emarginazione sin dalla nascita, dimostra che la santità è qualcosa alla portata di tutti, anche di chi può sembrare abbia una vita non degna di essere vissuta, secondo standard puramente umani. Perché, di solito, è proprio a queste anime che Dio fa i doni di grazia più grandi.

1287 Metola, Marche. 

Parisio ed Emilia, nobile famiglia urbinate dell’epoca, hanno una bambina, la piccola Margherita. Con grande sorpresa e sconforto della coppia, la bambina nasce cieca e deforme. Che cosa fare? 

Il padre, il signore del castello, si vergognava di questa figlia, considerata una vera e propria disgrazia familiare. Pensò dunque di rinchiuderla in una cella a ridosso della chiesa del castello per nasconderla agli occhi di tutti. Da una fessura di una finestrella le avrebbe portato il cibo necessario per sopravvivere.

Questo fu l’esordio di vita della piccola santa Margherita. Chi si sarebbe aspettato che con premesse del genere la bambina, non solo si sarebbe consacrata a Dio, ma sarebbe diventata anche una grandissima mistica?

In quella gelida prigione, nascosta da tutti per via del suo fisico diverso, la piccola Margherita sarebbe potuta crescere con l’odio in cuore verso i genitori, verso Dio, verso la vita. 

Invece la Provvidenza vegliava su quell’anima privilegiata ed illuminò la sua intelligenza, facendole capire che era stata creata per amare Dio. 

Per fare questo, non era necessario un fisico perfetto o un’ottima vista, ma soltanto unire le proprie sofferenze con quelle di Gesù.

Così la piccola Margherita trascorse la prima infanzia in completa solitudine, dedicandosi alla preghiera ed alla contemplazione.

L’abbandono fiducioso alla Provvidenza sarà una delle caratteristiche della sua grande santità, maturato proprio dalle avverse condizioni di vita e dal trattamento infelice dei genitori.

Fu affidata alle cure spirituali di un cappellano che trascorreva molto tempo con lei e la introdusse alla conoscenza dei testi sacri e del latino, ma soprattutto l’aiutò a comprendere la vera dimensione della sua sofferenza per santificarsi.

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Quando aveva circa quindici anni, Margherita fu portata dai genitori a Città di Castello presso il sepolcro di Fra Giacomo, un frate francescano morto poco tempo prima in odore di santità, sperando che potesse operare la guarigione della giovane.

Ma il miracolo atteso non avvenne; fallito dunque questo tentativo, i genitori l’abbandonarono senza pietà, priva di ogni soccorso umano, sola come un cane randagio in una città sconosciuta.

“Mio padre e mia madre mi hanno abbandonato, ma il Signore mi ha raccolto” (Salmo 27).

Per qualche tempo, la ragazza inerme ed indifesa condusse una vita vagabonda, mendicando il pane e chiedendo l’elemosina, finché non fu accolta nel monastero cittadino di Santa Margherita.

Qui sperava veramente di aver trovato una vera famiglia dove potersi santificare, un ambiente in cui regnasse la carità tra sorelle.

Ma la sua vita monastica, la sua ascesi e la penitenza rigorosa, suscitarono l’invidia delle altre monache che non riuscivano a reggere il confronto con lei. 

Perciò la cacciarono con offese ed ingiurie terribili.

A questo punto, la giovane che cosa avrebbe potuto fare? Un’anima che sin dalla nascita ha dovuto affrontare traumi come l’abbandono dei genitori, continue umiliazioni a causa dell’aspetto fisico, l’elemosina per sopravvivere, e adesso anche offese da parte delle monache, scacciata senza pietà, come avrebbe potuto reagire? Probabilmente ripiegandosi su sé stessa, ammalandosi di depressione (come oggi potremmo dire), chiudendosi nel suo dolore.

Invece Margherita che cosa fece?

Finiremo di raccontarvi presto la sua storia!




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