Volere il bene
“Due miei cari amici hanno divorziato: non so se credo più nel matrimonio”
Non basta vivere la castità, non basta credere nel matrimonio… occorre imparare a volere sinceramente il bene all’altro, bisogna sposare il destino dell’altro, aver cura di lui, oltre a star bene con lui.
Qualche giorno fa ho condiviso una riflessione sulla convivenza vista come opportunità per “conoscere a fondo una persona” prima di sposarsi. Mi sono permessa di far notare che quando si vive assieme, quando si condivide tutto (stesso tetto, stessa tavola, stesso letto) non ci si sta solo “conoscendo”, si sta di fatto donando a qualcuno la propria sfera più intima, esattamente come fanno un marito ed una moglie. Ci si sta sposando “nei fatti”, nella “prassi”, anche se non nelle intenzioni. Si sta dando sé stessi ad un’altra persona, anche se ciò non è esplicitato davanti ad un sindaco o ad un altare.
Rispetto a questo, mi domandavo: non ci sono forse altri “criteri” per conoscersi, prima di vincolarsi al punto da diventare una sola carne e di dimorare all’interno delle stesse mura? Come possibili alternative alla convivenza prematrimoniale, suggerivo la via della castità, del dialogo, della preghiera, della condivisione di aspettative, paure e speranze, perché nasca nel cuore quell’intimità che poi si consolida e si manifesta attraverso la carne e la comunione della vita assieme.
Ora, però, sento di dover fare delle precisazioni, perchè tutto ciò non basta. Non basta neppure il sacramento delle nozze, da solo, se non abbiamo un rapporto umano “di qualità”. Occorre imparare l’arte di voler bene. Di volere il bene. Questo lo si impara in famiglia, nelle amicizie, nelle comunità di cui facciamo parte. Questo è davvero fondamentale: se vogliamo sposarci, non dobbiamo solo stare bene tra noi, dobbiamo anche imparare a volere bene.
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C’è stato da poco il Congresso Eucaristico. Ecco, pensiamo all’Eucaristia: Dio non trasforma una pietra in pane di vita, trasforma il pane, in pane di vita eterna. Allo stesso modo, col sacramento del matrimonio Dio non sostituisce l’amore umano di due fidanzati con l’amore divino, bensì lo rende più autentico, lo rafforza e lo purifica. Ma la sostanza (la volontà e l’impegno di amarci davvero, di metterci in discussione, di lavorare su noi stessi, di perdonare le fragilità dell’altro) dobbiamo metterla noi.
Poco tempo fa una nostra lettrice mi raccontava che due suoi amici molto intimi, i quali hanno vissuto un fidanzamento casto e hanno sempre creduto nel matrimonio, si sono separati dopo sei anni di matrimonio. Mi ha confessato: “Non so se credo più nell’amore e nel matrimonio, adesso. Voglio dire, avevano fatto le cose per bene. Sono due ragazzi seri, che hanno preso la loro storia sul serio. Come è possibile? Allora, qual è il segreto?”. Non conosco quei ragazzi, figuriamoci se posso dire qualcosa in merito alla fine del loro matrimonio.
Ciò che mi sento di dire, però, è che non basta vivere la castità, non basta credere nel matrimonio… occorre imparare a volere sinceramente il bene all’altro, bisogna sposare il destino dell’altro, aver cura di lui, oltre a star bene con lui.
Da un lato, occorre sì avere fede (“Dio, tu ci hai uniti in una sola carne, aiutaci a restare in questa comunione”), dall’altro occorre riconoscere le ferite non guarite e fare qualcosa per risolversi affettivamente, laddove ci si accorge che non si è capaci di amare in modo gratuito. Perché il matrimonio dura solo se si è disponibili a lavarci i piedi l’uno con l’altra, a servirci, anche quando quei piedi puzzano. Se sono egoista e non ho risolto il mio egoismo, se non sono diventato o diventata veramente altruista, il matrimonio non può procedere nell’amore. Può anche durare, ma non nell’amore.
Di recente ho letto la testimonianza di Silvia ed Alessandro. Sono due sposi che si sono lasciati dopo ventitré anni di matrimonio, per poi rimettersi insieme, dopo nove mesi, la sera dello stesso giorno in cui avevano ottenuto il divorzio. Loro raccontano che per riavvicinarsi hanno avuto bisogno di ammettere che ognuno aveva dei problemi personali da risolvere e soprattutto che avevano bisogno di convertirsi davvero. Prima si accusavano a vicenda, poi hanno capito che dovevano ognuno concentrarsi su di sé. Quando hanno capito cosa significasse amare (ovvero ascoltare, accogliersi, mettersi al servizio delle necessità dell’altro) il loro matrimonio è rifiorito. Ora tengono seminari per le coppie, aiutano tanti coniugi in difficoltà a ritrovare la rotta, ma soprattutto testimoniano con la loro storia di resurrezione che il matrimonio può guarire, può rinascere, ma a patto che ciascuno degli sposi riconosca di avere bisogno di guarigione.
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