Quanti giovani credono che il matrimonio sia una via di santità?

25 Giugno 2022

Il tanto sospirato Incontro Mondiale delle Famiglie è in pieno svolgimento. Papa Francesco sollecita a scegliere la santità, offrendo una provocazione: “La vogliamo davvero la santità? Vogliamo davvero farci santi?”.

“Vocazione e via di santità”: è questo il tema del X Incontro Mondiale delle famiglie in svolgimento a Roma e, in maniera delocalizzata, anche in molte altre diocesi. Si tratta di due parole, vocazione e santità, che sembrano avere sempre meno appeal presso il grande pubblico. Non così per Papa Francesco che, all’Angelus del primo novembre del 2018, ebbe a dire: «Chiediamoci da che parte stiamo, del cielo o della terra? Viviamo per il Signore o per noi stessi? Per la felicità eterna o per qualche appagamento ora? Domandiamoci: vogliamo davvero la santità? O ci accontentiamo di essere cristiani senza infamia e senza lode che credono in Dio, stimano il prossimo, ma senza esagerare? Il Signore chiede tutto e quello che offre è la vera vita. Offre tutto. Offre la felicità per la quale siamo stati creati. Insomma o santità o niente. (…) Siamo nati per non morire mai più, siamo nati per godere la felicità di Dio». 

Nasce da queste parole una domanda quasi retorica: quanti giovani, di quelli anche impegnati in parrocchia e nei cammini di fede non quelli lontani, si sposano oggi con la consapevolezza che stanno intraprendendo un cammino di santità? Invece Francesco con queste parole chiare e nette invita le famiglie e tutti i battezzati a camminare per diventare santi, ad essere cristiani autentici. Forse è necessario ripartire dall’abc. Cosa s’intende per essere santi? Senza troppi giri di parole, santa è quella persona che cerca di conformarsi a Cristo in tutto e agire, nel quotidiano, in persona Christi. Questa affermazione potrebbe suscitare paura e scoraggiamento: chi di noi può mai essere santo, allora? La risposta è “nessuno”, se ci basiamo sulle sole nostre forze. La risposta può essere “tutti”, se lasciamo agire Dio in noi. Come possiamo far agire Dio in noi? Attraverso la costruzione di una relazione con Lui. Qualcuno potrebbe obiettare che è abbastanza difficile costruire una relazione con chi non incontriamo in carne ed ossa nella nostra vita. È vero, ma non fino in fondo. Se ci si soffermasse al solo mondo materiale, la relazione con Dio risulterebbe impossibile. Se, invece, si ragionasse da esseri umani nella loro interezza e si desse voce anche alla propria interiorità, ci si accorgerebbe che è possibile incontrare Dio più volte nell’arco della giornata, specialmente in famiglia. 

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Papa Francesco, dunque, sollecita a scegliere la santità, offrendo una provocazione: “La vogliamo davvero la santità? Vogliamo davvero farci santi?”. Per rendere la domanda più alla portata dei più, si potrebbe tradurre: volete essere felici? Chi non desidererebbe essere felice? Volete avere una vita piena, appagante? E chi non la vorrebbe per sé? Per affrontare adeguatamente la domanda sulla santità si deve dare una risposta a due questioni: che cos’è la spiritualità e che cos’è la spiritualità coniugale? La santità ha a che fare anche (ma non solo) con la dimensione spirituale delle persone. È attraverso la spiritualità che noi possiamo giungere alla Santità. Spiritualità non è qualcosa di etereo, distaccato dal mondo materiale, appartenente ad un’altra dimensione che non è quella dell’uomo che vive sulla terra. Spesso il pensiero va agli angeli oppure ai santi che, però, non sono ritenuti, dai molti, uomini “normali”, spesso ritenuti “super uomini” che hanno avuto una “metamorfosi genetica” tale da renderli diversi dagli altri, anche fisicamente (si pensi alle stigmate). Perciò essi sono posti, nella mentalità dei molti, su piedistalli irraggiungibili. L’unica cosa da poter fare, mentre si contemplano, è ammirarli, forse, anche provare ad imitarli ma partendo sconfitti perché si pensa che la santità appartenga solo a pochi eletti. Non è così. Tutti gli uomini sono chiamati a quella pienezza raggiungibile mediante un cammino spirituale che si presenta come un cammino di crescita che ha come obiettivo la costruzione di un rapporto autentico e veritiero con i propri simili e Dio. Questo cammino di crescita presuppone, però, la fede in Dio e qui nascono delle difficoltà. La fede, nella mentalità contemporanea, è spesso vista come un fattore esterno, aggregato all’esistenza quotidiana: se ne può anche fare a meno. Il cammino di crescita verso Dio, proprio della spiritualità, risulterebbe un corpo estraneo che mal s’incastra nelle intense giornate lavorative e familiari. A chi pensasse che la fede sia restare assorti a contemplare le nubi o le stelle che adornano il cielo, il ritorno nella quotidianità potrebbe somigliare molto al rimando ad un’esistenza insoddisfatta. Questa concezione, errata, di spiritualità genera una mentalità oppositiva a Dio perché la fede viene ritenuta come distruttrice della felicità umana in quanto insegna agli uomini a ricercare la loro pienezza in un paradiso lontano. Nel presente periodo storico, infatti, molti si definiscono atei perché la fede è vista come sinonimo di rinunce, mortificazione, sofferenza: “Voglio essere felice qui su questa terra. L’altra vita? Se esiste poi si vedrà!”

Invece è proprio la vita quotidiana che induce al cammino spirituale. Secondo una definizione, la spiritualità ha “il compito di partire dall’inautenticità dei rapporti umani per arrivare al rapporto concreto con Dio e al possesso della Sua verità come immagine di Dio”. La spiritualità, focalizzandosi sui rapporti personali, risulta essere molto concreta. Molte persone si ritrovano a vivere dei rapporti non autentici. E ciò non capita solo con Dio ma anche con i propri simili. Quanti indossano maschere generando rapporti finti? Si pensi al potenziale distruttivo che ha questa pratica nel rapporto di coppia! Oggi è facile anche trovare pensatori che teorizzano tale esigenza. Non stupisce il grande numero di rapporti, anche coniugali, che crollano. L’essere umano indossa maschere ma non è fatto per esse. Il papa, richiamando alla santità, dunque, ci sprona ad abbandonare le maschere e i compromessi per poter vivere una vita nella verità, libertà e, finalmente, felice. La spiritualità si basa sulla costruzione di rapporti interpersonali autentici, con i propri simili e con Dio: gli uni presuppongono gli altri e viceversa. In quante coppie ci si riserva di non dire tutto al proprio coniuge? Questa scelta, purtroppo diffusa, porta alla costruzione di un rapporto non autentico con “la carne della propria carne” che va ad inficiare la stima e la fiducia reciproca. Questa inautenticità nasce dalla mancanza del vero rapporto autentico: quello con Dio. I rapporti non autentici possono essere frutto della poca stima del proprio amore e dell’amore di chi è posto di fronte. Si mente perché si ha paura di presentarsi all’altro con le proprie fragilità. Non si ha sufficiente fiducia nel suo amore. Si teme che questo non possa essere capace di reggere la verità che non piace. Forse è anche per questo motivo che molti matrimoni vanno alla deriva oppure vengono vissuti con pesantezza. La Fede in un Dio, che ama per come si è, può donare una svolta in questo meccanismo perfetto. Dio ama la persona per come è. Vivendo di Dio si può sperare di provare a fare lo stesso anche in famiglia e tra amici e conoscenti.

Da quando Dio si è incarnato, abitualmente può essere incontrato nell’altro che sta di fronte, nel coniuge, nei figli che il Signore ha donato, nei genitori, in tutti coloro che si incontrano quotidianamente. E’ proprio l’autenticità del rapporto con Dio a garantire quella nei rapporti con gli uomini. Papa Francesco ci aiuta ancora di più a capire questo aspetto della spiritualità, in Amoris Letizia 323 e in più parti del documento, dove afferma che “è una profonda esperienza spirituale contemplare ogni persona cara con gli occhi di Dio e riconoscere Cristo in lei”. Da leggere e rileggere più volte. Guardare i propri cari come li vede Dio, con occhi di benevolenza, è una profonda esperienza spirituale. Tutto ciò non è sempre facile, specialmente quando, in famiglia, si fanno esperienze di fragilità che generano ferite profonde. Difficile, ma non impossibile. Questo richiede una disponibilità gratuita che permetta di apprezzare la dignità di figlio di Dio presente nell’altro. Il santo Padre indica Gesù come un modello, sottolineando che quando qualcuno si avvicinava a parlare con Lui, egli fissava lo sguardo su di lui e lo guardava con amore (cfr Mc 10,21). Nessuno si sentiva trascurato in sua presenza, poiché le sue parole e i suoi gesti erano espressione di questa domanda: «Che cosa vuoi che io faccia per te?» (Mc 10,51).

Quando sostiamo al tabernacolo dove è presente Cristo vivo e vero, egli ci guarda con occhi d’amore e, ancora oggi, sussurra al nostro cuore: “che cosa vuoi che io faccia per te?” È questa la frase che dovrebbe albergare nel cuore e sulle labbra degli sposi: cosa vuoi che io faccia per te affinché tu sia felice? Guardare la tua gioia mi rende felice. Si tratta di un cambio di prospettiva che porta benefici inaspettati e sorprendenti. 

In famiglia, a volte, la presenza di figli straordinari o di un adulto o anziano non indipendente sono eventi che possono destabilizzare. Vederli con gli occhi di Dio, conferisce loro una dignità paragonabile a quella di Cristo crocifisso. Ma è così anche col figlio inquieto, col coniuge in difficoltà e persino con il vicino di condominio insopportabile per alcune sue scelte moleste. In questi casi, il cammino spirituale incentrato in Dio chiama ad agire in persona Christi e sussurrare attraverso il servizio “che vuoi che io faccia per te?” Ma anche in casi più piacevoli, quando viene più facilmente: quando si imbocca il più piccolo, il figlio neonato. In tale situazione è ritenuto gratificante. Lo è allo stesso modo anche quando lo si fa ad adulti, se questi vengono guardati nell’ottica spirituale. E che dire del bagno, posto dell’intimità per eccellenza, nel quale la persona si spoglia per potersi lavare? In questo luogo si può essere chiamati ad assomigliare a Cristo servo con cuore grato perché viene fornita l’occasione e il modo per servire Cristo che è presente nell’altro. Così si aprono le porte del Paradiso. Alla luce di questi esempi si comprendono meglio le parole di Papa Francesco: “è una profonda esperienza spirituale contemplare ogni persona con gli occhi di Dio e riconoscere Cristo in lei”. Se ci si pone sotto questa angolatura e si cerca di vivere i rapporti domestici quotidiani sotto questa luce, in essa fiorisce la tenerezza, in grado di «suscitare nell’altro la gioia di sentirsi amato. Essa si esprime in particolare nel volgersi con attenzione squisita ai limiti dell’altro, specialmente quando emergono in maniera evidente» (Al, 323).

Il sacramento del matrimonio, in ciò, cambia l’identità essenziale di chi lo celebra che continua ad esistere soltanto in questo cambiamento. Esistere significa uscire fuori da se stesso e vivere nell’altro. Il sigillo di consacrazione ricevuto il giorno delle nozze ha impresso negli sposi un “carattere” (I puristi dogmatici lascino passare quest’affermazione) trasformandoli pienamente. È vero, infatti, che il battesimo è il sacramento che imprime il “carattere”, ma col matrimonio è come se l’identità venisse trasformata e in maniera tale che i due possano esistere soltanto in questo cambiamento. Qualcosa di analogo avviene con la consacrazione sacerdotale: dopo di essa la persona consacrata non è più solo ciò che era prima. Se non si riesce a vivere una relazione armoniosa e autentica nella famiglia, si rischia di andare incontro all’infelicità, perché al di fuori di quel contesto, non si ha più la propria nuova identità. 
Ora è possibile comprendere meglio l’invito del Papa “o santi o niente”. Si comprende meglio anche il titolo dato alla decima giornata mondiale delle famiglie: “vocazione e via di santità”. La Santità degli sposi è santità dell’essere insieme, frutto di un cammino spirituale percorso in due, che può sfociare persino nella Mistica coniugale. Se la spiritualità e la santità sono ritenuti non accattivanti dall’uomo del nostro tempo, figurarsi la mistica! Eppure in Amoris Laetitia, 316 si legge: «Pertanto, coloro che hanno desideri spirituali profondi non devono sentire che la famiglia li allontana dalla crescita nella vita dello Spirito, ma che è un percorso che il Signore utilizza per portarli ai vertici dell’unione mistica». Roba per asceti? Nient’affatto. La mistica coniugale consiste nel far entrare Dio nella relazione coniugale. Questi porta rapporti autentici tra le persone. In tali rapporti si assapora già il Paradiso, nella concretezza del vivere quotidiano. Si sta parlando di un Dio che si fa carne nella ferialità e accompagna gli sposi nelle occupazioni quotidiane. Altro che mortificazioni e rinunce! Quello che si offre agli sposi è un orizzonte di pienezza che ha le sue radici già qui, che si sperimenta in maniera opaca già nei rapporti umani e che sarà totale nella vita eterna. Va rimarcato, con forza, che la felicità eterna è la pienezza di ciò che si comincia a vivere qui. Se qui non si inizia a fare qualche piccolo passo in quella direzione, difficilmente ci sarà anche la felicità eterna. I coniugi che si amano, in fondo, si «inspirano», l’un l’altro, la vita dello Spirito (Cf, Fc,13). Così Francesco chiosa questo discorso: «Le parole (…) sul matrimonio, sono inserite – non casualmente – nella dimensione ultima e definitiva della nostra esistenza, che abbiamo bisogno di recuperare. (…) C’è una chiamata costante che proviene dalla comunione piena della Trinità, dall’unione stupenda tra Cristo e la sua Chiesa, da quella bella comunità che è la famiglia di Nazareth e dalla fraternità senza macchia che esiste tra i santi del cielo. E tuttavia, contemplare la pienezza che non abbiamo ancora raggiunto ci permette anche di relativizzare il cammino storico che stiamo facendo come famiglie, per smettere di pretendere dalle relazioni interpersonali una perfezione, una purezza di intenzioni e una coerenza che potremo trovare solo nel Regno definitivo. (…) Tutti siamo chiamati a tenere viva la tensione verso qualcosa che va oltre noi stessi e i nostri limiti, e ogni famiglia deve vivere in questo stimolo costante. Camminiamo, famiglie, continuiamo a camminare! Quello che ci viene promesso è sempre di più. Non perdiamo la speranza a causa dei nostri limiti, ma neppure rinunciamo a cercare la pienezza di amore e di comunione che ci è stata promessa» (Al, 325).




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Assunta Scialdone

Assunta Scialdone, sposa e madre, docente presso l’ISSR santi Apostoli Pietro e Paolo - area casertana - in Capua e di I.R.C nella scuola secondaria di Primo Grado. Dottore in Sacra Teologia in vita cristiana indirizzo spiritualità. Ha conseguito il Master in Scienze del Matrimonio e della Famiglia presso l’Istituto Giovanni Paolo II della Pontificia Università Lateranense. Da anni impegnata nella pastorale familiare diocesana, serve lo Sposo servendo gli sposi.

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