Lamentele a parte, vediamo cosa si può fare per i fidanzati
Che nella Chiesa ci sia un vuoto formativo, da questo punto di vista, è evidente. I giovani vengono lasciati alla Cresima e ritrovati, nella migliore delle ipotesi, ai corsi prematrimoniali (che di solito durano dieci incontri: possono mai essere sufficienti per affrontare un’impresa grande come il matrimonio?). E chi colma il nostro vuoto? La Chiesa può farlo, vediamo insieme come.
Ci sono tanti tipi di povertà: una di queste è non sapere che siamo nati per amare e per essere amati. Giusto ieri, una persona che non vedevo da tempo, mi raccontava le vicissitudini sentimentali che ha vissuto negli ultimi anni. Quando l’avevo conosciuta, in adolescenza, era una delle ragazze più ammirate della cittadina in cui entrambe frequentavamo le scuole superiori. Avevamo pochi contatti io e lei, l’ho sempre annoverata semplicemente tra le conoscenze, ma ricordo che un po’ la invidiavo: bella, intelligente, una delle più brave della sua classe, di buona famiglia, con la possibilità di viaggiare e piena di ragazzi che le giravano attorno. Aveva tutto, ai miei occhi. Ma oggi, lei stessa, quando parla, pur essendo affermata nel lavoro come lo era a scuola e circondata di persone, come quella volta, ti fa percepire il vuoto che avverte: a trentun anni continua ancora a vagare senza sicurezze da una storia all’altra, le convivenze iniziano con lo spirito del “vediamo come va” e si trova in balia della precarietà dei suoi sentimenti e di quelli dell’altro. Nel cuore – dice – ha il desiderio di formare una famiglia e di garantire ai figli di nascere da una coppia unita. Solo che non ha gli strumenti. Fatica a capire “come” realizzare il suo desiderio. “Ti ammiro, – mi ha detto – perché tu ce l’hai fatta…”.
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C’è stato poco modo di entrare in profondità, non era il contesto adatto, ero lì per lavoro, ma uscita da quell’ufficio ho chiesto a Dio di darmi altre occasioni per parlarci e poi sono andata davanti al tabernacolo. Ho detto a Gesù: “Aiutami a condividere quello che tu mi hai dato: tutti devono sapere che hanno una vocazione, non sono stata fortunata io, sei stato generoso tu nel farmela scoprire. Anche questa è povertà: non trovare la propria vocazione e vivere con un uomo senza la certezza di essere amata nel profondo…”. Uscendo dalla Chiesa, ho sentito forte la responsabilità, come parte della comunità cristiana, di aiutare i giovani a capire che si può vivere il fidanzamento come tempo di grazia, che è importante farsi le domande giuste, che esiste la possibilità di fare un buon discernimento, che la castità ti dona lucidità. Vorrei dire ai giovani che esiste un’alternativa al buttarsi a capofitto in una storia, bruciando tutte le tappe, vivendo l’intimità come prima cosa e poi affidandosi al fato (“vediamo come va”). Anche per formare una famiglia valgono le regole che seguono i bravi costruttori. Nessuno butta il cemento senza aver verificato il terreno. O mette il tetto senza essere sicuro che ci siano buone fondamenta. Perché non viviamo con ordine questa sfera della nostra vita? Perché vorremmo una bella famiglia, ma non sappiamo come realizzarla? Dobbiamo trovare risposte, più che giudicare.
Che nella Chiesa ci sia un vuoto formativo, da questo punto di vista, è evidente. I giovani vengono lasciati alla Cresima e ritrovati, nella migliore delle ipotesi, ai corsi prematrimoniali (che di solito durano dieci incontri: possono mai essere sufficienti per affrontare un’impresa grande come il matrimonio?). E chi colma il nostro vuoto? I media, il confronto coi pari (che spesso sono nella nostra stessa situazione di smarrimento); riceviamo impulsi e messaggi (diversi da quelli del Vangelo) dalla nostra cultura, dai film o dalla politica. “Vietato lamentarsi”, ha fatto scrivere questo il Papa, nel suo studio. E forse è bene seguire il suo esempio. Quindi, lamentele a parte, proviamo a chiederci che cosa potremmo fare per rimediare a questo vuoto.
Quando penso a questo argomento, mi viene sempre in mente una coppia di sposi di Bologna, Nicola e Giulia Gabella: sono per me, ormai, degli amici e un punto di riferimento importante. Vicini al carisma di Don Renzo Bonetti (Mistero Grande), loro raccontano di aver costruito la propria famiglia con l’idea di “due cuori e una capanna”, sentendosi forti del loro sentimento, per poi scoprire che la vita può essere dura e far crollare tutto. Erano sull’orlo del divorzio, dopo aver messo al mondo la loro secondogenita. Ma sono stati salvati. Non solo, sono diventati grazia per altri. Nel pieno della loro crisi coniugale si sono accorti che avevano bisogno di aiuto, per tenere in piedi la loro casa. Hanno gridato a Dio. E Lui ha risposto.
Un sacerdote li ha indirizzati in Assisi, da una coppia di sposi che aveva adottato un figlio con sindrome di Down e che aveva trovato in Gesù la fonte inesauribile dell’amore, il cemento del vincolo sponsale. Con l’aiuto di questa famiglia, i Gabella si sono rimessi in piedi, hanno posto Gesù – e non più loro stessi – al centro. Sono risorti. Oggi sono impegnati nell’aiutare coppie di fidanzati e di sposi a riconoscere che il matrimonio è un cammino per la santità. Sono un dono per la Chiesa e continuano a ripetere che la famiglia deve fare la sua parte nella missione di evangelizzazione.
A tutti i parroci e i formatori che mi stanno leggendo, consiglio di procurarsi una copia del loro ultimo libro, dal titolo “Quanto a me e alla mia casa, serviremo il Signore”. Qui, vorrei accennare intanto ad alcuni loro consigli:
- Attenzione ai giovani, voler loro bene, che significa andare verso di loro, cercarli, chiamarli, non aspettare che siano loro a presentarsi, fare loro delle proposte, valorizzarli, sia singolarmente ma anche quando sono in coppia come fidanzati; dare loro fiducia.
- Dare importanza a come si vive l’intimità e la sessualità, pensare a dei percorsi per aiutare i ragazzi a capire che hanno un corpo per amare (un’affettività sana è per i Gabella uno degli zampini che reggono il tavolo-matrimonio). A questo proposito segnalo un corso meraviglioso sull’affettività, “Tu sei prezioso”, tenuto da una coppia di coniugi formatasi in Assisi. Si può scrivere a questa mail per avere info e per riceverli nella propria parrocchia: corso.tuseiprezioso@gmail.com. È bene sapere che il sesso è il “quid del matrimonio” e che viverlo da subito con qualcuno non ci aiuta: fatichiamo, infatti, a capire se ciò che desideriamo è lui o l’affetto che -in quel momento – percepiamo da lui.
- Per quanto possibile dare loro l’opportunità di incontrare e frequentare una famiglia, una coppia di sposi, instaurando un rapporto di amicizia, fiducia e condivisione della fede, dove la coppia di sposi non deve fare chissà quali discorsi e lezioni teologiche, ma soprattutto deve testimoniare con la vita l’adesione a Cristo. In questo discorso si deve inserire necessariamente il fatto che il sacerdote deve o dovrebbe costruire/avere intorno a sé una rete di coppie che abbiano fatto un minimo di cammino formativo sulla realtà del Sacramento. Questo sarebbe proprio utile e bello, anche nell’ottica di cammino fatto insieme tra preti e sposi, in quella collaborazione così importante per l’edificazione del popolo di Dio.
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Cari lettori di Punto Famiglia,
stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).
1 risposta su “Lamentele a parte, vediamo cosa si può fare per i fidanzati”
Grazie per il bell’articolo. Concreto. Ai tempi di mia mamma e mio padre in parrocchia si facevano incontri formativi e di catechesi alla domenica. Per soli uomini e sole donne. Si parlava di tutto compreso il fidanzamento, il matrimonio, il catechismo. Mia mamma ne era soddisfatta e le sono serviti….