Il Vangelo letto in famiglia
IV DOMENICA DI PASQUA – Anno C – 8 maggio 2022
Riconoscersi discepoli
Cristo è l’unico pastore in grado di condurre le pecore sul sentiero della verità di sé stesse. In modo particolare, Egli è l’unico pastore che può mettere le proprie creature davanti a una triste realtà: chi non ascolta la voce del maestro cade purtroppo in uno dei più grandi pericoli per l’uomo, ovvero l’autoreferenzialità.
Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 10,27-30)
In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono.
Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano.
Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».
IL COMMENTO
di don Gianluca Coppola
La quarta domenica di Pasqua, tradizionalmente conosciuta come la domenica del Buon Pastore, è un tempo di consolazione nella vita di ogni cristiano, un tempo per fare memoria della necessità di essere guidati da Dio e, in particolare, da un Dio che si prende cura dei propri figli.
L’analogia con il pastore, quasi in maniera automatica, riporta alla mente la tenerezza di un uomo che per professione si prende cura di creature umili quali sono gli animali, e lo fa donando tutta la sua vita e tutto il suo tempo. Il pastore, infatti, vive in simbiosi con gli animali che costituiscono il suo gregge, allevandoli proprio come se fossero suoi figli. È interessante notare che in alcuni paesi rurali o villaggi, che tuttora esistono anche nel nostro meridione d’Italia, i pastori guidano ancora il loro gregge e, così facendo, si adeguano ai tempi e ai ritmi dei loro animali. In questa dinamica, sembra quasi che i cicli vitali dell’animale dettino quelli del pastore, come una sorta di scambio alla pari.
In relazione alla figura di Gesù, tale immagine risulta ancora più potente, perché il pastore in questione è Dio, che sceglie di vivere la stessa vita delle sue pecore e lo fa attraverso un processo di kenosis, ovvero di “abbassamento”, che porta il pastore ad assumere la stessa carne delle sue pecore. Pertanto, Gesù, in qualità di pastore, sceglie di vivere la vita insieme alle sue pecore, pronto a far fronte alle avversità che sempre si presentano, fino a dare la vita per il proprio gregge. Ed è questo che rende Gesù un pastore diverso da tutti gli altri, più grande, ma soprattutto più degno. Gesù è il pastore che si fa Agnello sacrificale in forza della sua superiorità, è il pastore che si fa Maestro per gli altri, è il pastore che realizza le attese di un popolo che attendeva il Messia. Come ben sappiamo, il popolo di Israele aspettava la venuta di un Messia condottiero, violento, un Messia che con la forza lo avrebbe liberato da ogni forma di schiavitù; e invece, Gesù è il Messia che si presenta come un Pastore, come un Agnello destinato al sacrificio, come un Maestro.
A ben guardare, il Vangelo di questa domenica, che è molto breve in quanto costituito soltanto da tre versetti, si apre con un invito all’ascolto. È il Pastore che parla, è il Verbo di Dio che, fattosi pastore, ricrea la verità nel cuore dell’uomo: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono». Le pecore ascoltano la voce di chi le conosce, la voce dell’unica persona che scruta e capisce profondamente il cuore dell’uomo.
Cristo è infatti l’unico pastore in grado di condurre le pecore sul sentiero della verità di sé stesse. In modo particolare, Egli è l’unico pastore che può mettere le proprie creature davanti a una triste realtà: chi non ascolta la voce del maestro cade purtroppo in uno dei più grandi pericoli per l’uomo, ovvero l’autoreferenzialità. Proprio come una pecora senza pastore è destinata a morire, allo stesso modo l’uomo, senza la guida di un maestro e, in particolare, senza la guida di Gesù, è destinato a morire nella sua superbia. Chi non si riconosce discepolo sarà sempre ostacolato dal limite della propria ignoranza, chi non segue il pastore resterà sempre una pecora destinata a morire nell’indigenza.
Il Vangelo di questa domenica ci presenta allora il pastore come Colui che guida con la potenza della sua voce e che, attraverso di essa, esprime la conoscenza di chi quella voce la ascolta, la riconosce tra tante altre. Una conoscenza che però non nasce dall’arroganza di chi si sente superiore all’altro, ma scaturisce da chi decide, pur non dovendo, di donare la propria vita per la salvezza di chi ascolta. In questo, Gesù ci fornisce un esempio formidabile: essere guida di qualcuno, mettersi alla testa di un gregge non significa sentirsi superiori all’altro, ma decidere di donare la propria vita. «Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano», dice Gesù, e questa sua bellissima promessa si attua nel dono totale di Cristo per noi, che è proprio ciò che lo rende un pastore infallibile, perché mosso da un amore totale per le proprie pecore.
Talvolta, anche nelle nostre comunità e famiglie, oltre alla malattia dell’autoreferenzialità e alla difficoltà di ammettere che qualcuno possa insegnarci qualcosa o guidarci, soffriamo anche di una sorta di ricerca di autonomia a tutti i costi. Molto spesso cadiamo nell’errore di ritenere che vivere senza maestri, senza guide e pastori significhi essere liberi. Ma in realtà, questa è la menzogna più grande, la bugia più deleteria che alberga nel cuore dell’uomo, fin dai tempi del serpente di Adamo ed Eva. “Libertà” non è sinonimo di “autonomia”, di “indipendenza”; al contrario, avere una guida significa essere realmente liberi. Avere una guida significa condividere il peso dell’esistenza con qualcuno, con una persona che possa indicare la giusta via. Quante volte ci siamo sentiti soli, arrabbiati con la vita, asfissiati dalla sensazione di trovarci in problemi insuperabili, proprio perché la malattia dell’autonomia a tutti i costi ci ha convinto di non dover essere guidati da nessuno, ci ha convinto che riconoscerci bisognosi di una guida faccia di noi delle persone deboli, fragili.
Gesù, allora, offre la sua voce come guida, la sua persona come dono, il suo stesso sangue come salvezza. Nessuno potrà strapparci dalla sua mano, come viene detto nel Vangelo stesso, perché è proprio Gesù a tenerci nel suo gregge. Ciò non significa far parte di un gruppo infallibile: la vita di Gesù, sul piano strettamente umano, può essere considerata un totale fallimento, dal momento che è stata schiacciata sotto il peso dell’accusa e della pena di morte. Fare parte del gregge di Gesù significa sapere di appartenere a Colui che fino all’eternità si prenderà cura dei nostri cuori, significa sapere di appartenergli per sempre. Proprio per tale motivo, in questa domenica del Buon Pastore, sforziamoci di abbandonare l’idea che essere liberi significhi essere autonomi. Essere liberi, in realtà, significa aderire in tutto e per tutto al piano di Dio, alla sua volontà che si esplicita e realizza soltanto nella sequela del Buon Pastore, il quale è una sola cosa con il Padre Dio, l’unico in grado di indicarci la via della vera felicità.
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