La Quaresima, la coppia e… le tre notti dell’amore

12 Marzo 2022

I beni sensibili che vengono a contatto con l’anima (soprattutto attraverso i cinque sensi, i desideri e gli oggetti materiali) sono negativi per l’uomo? Ostacolano la via della perfezione? Non totalmente. Ciò che danneggia l’anima è il desiderio e l’appetito irrefrenabile dei beni.

In questo cammino quaresimale possono essere ottimi compagni di viaggio, accanto alla Parola di Dio, gli scritti di un grande dottore e mistico: Giovanni della Croce (1542 – 1591) che, con essi, accompagna l’uomo nella progressione verso Dio. Non è possibile esaurire in un solo articolo tutta la ricchezza contenuta nei suoi scritti: proviamo a mettere in luce alcune delle perle contenute in Salita del Monte Carmelo.

Nella Salita del Monte Carmelo, il santo propone un itinerario interiore descritto con l’immagine della salita, durante la quale l’anima passa attraverso un progressivo denudamento attraverso la “notte oscura” dei sensi e dello spirito, fino ad arrivare sulla vetta all’unione con Dio. Tutto e nulla, luci e tenebre, aridità e desiderio sono atteggiamenti interiori che si manifestano durante il cammino verso la meta finale. Siamo di fronte ad uno scritto che supera le barriere del tempo, che parla all’uomo d’oggi e a quello futuro. La via esposta da san Giovanni, infatti, è “ancòra” percorribile e si mostra aperta anche ai coniugi, giacché l’azione divina che soccorre e la risposta umana come impegno totale di vita restano parte integrante del pensiero cristiano.

«In una notte oscura, con ansie, in amori infiammata, – oh felice ventura! – uscii, né fui notata, stando già la mia casa addormentata» (Libro primo, 15). Con questa prima strofa, s. Giovanni della Croce apre il suo scritto Salita del Monte Carmelo, una via di perfezione che conduce l’anima alla contemplazione di Dio, alle nozze mistiche con Lui. A primo avviso sembrerebbero parole rivolte solo ad eremiti solitari ma in realtà esse sono per tutti i battezzati e quindi anche per i coniugi o i laici che vivono a contatto con il mondo. Sono per tutti i battezzati perché fine primordiale del battesimo è la santità e quindi le nozze con Dio (Cf, CCC, 1617). Tali nozze sono per tutti i figli di Dio e non appannaggio di pochi. Come esempio proviamo a rileggere, con semplicità, alcuni passi della straordinaria opera di s. Giovanni della Croce cercando di tradurla nella vita quotidiana, anche familiare.

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La strofa, sopra riportata, sottolinea la liberazione dell’anima dai beni naturali per far progredire quelli spirituali e raggiungere una perfetta nudità e libertà dell’anima, condizione necessaria affinché si abbia l’unione con Dio in quanto satana può esercitare il dominio sull’anima solo se questa rimane attaccata ai beni sensibili. Questa prima tappa è chiamata notte o purificazione della parte sensitiva. Essa rimanda, come un’eco, alla condizione genesiaca di Adamo ed Eva nel giardino di Eden: «erano nudi e non ne provavano vergogna» (Gen 2, 25). Una nudità che li faceva essere una sola carne tra loro e, come coppia, con Dio. Non vi era nessun bene maggiore che ostacolasse l’unione piena. Quando l’anima si contamina con i beni si perde l’unione piena sia all’interno della coppia coniugale sia con Dio: «Intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture» (Gen 3, 7) – e ancora – «ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto» (Gen 3, 10). Subentra la paura di unirsi totalmente al coniuge e a Dio.

La seconda notte riguarda la fede che, per l’intelletto, è oscura come la notte; la terza riguarda la meta da raggiungere cioè Dio che resterà notte per ogni uomo fino a quando questi rimarrà nel mondo. L’anima, prima di giungere all’unione divina, deve passare attraverso queste tre notti. È lo stesso dottore mistico a ricordarci che esse possono essere paragonate alle tre notti di castità fisica e spirituale che l’Arcangelo Raffaele chiede al giovane Tobia prima di unirsi alla sua sposa. Infatti, l’Arcangelo nella prima notte comanda di bruciare il cuore del pesce simbolo di quello umano attaccato ai beni sensibili. Come quando agli sposi viene chiesto di non anteporre più nella loro vita il proprio piacere personale ma la felicità dell’altro: l’uno è felice se l’altro è felice e con gioia il primo rinuncia a sé per l’altro, per un suo sorriso. E viceversa. Nella seconda notte l’Arcangelo annuncia a Tobia che sarebbe stato annoverato fra i santi Patriarchi, padri della fede. Siamo, qui nella seconda notte, nella quale l’anima rimane sola nella fede ed è “costretta” ad avere fiducia cieca in Dio soprattutto quando la ragione non riesce a dare spiegazioni. I coniugi possono imparare questo aspetto della fede guardando i propri figli che, senza porsi tante domande, si abbandonano tra le braccia di chi li ama e persino di chi non li ama. I coniugi cristiani, inoltre, sposandosi, compiono un doppio atto di grande fede verso il coniuge e verso Dio. Attraverso la Grazia di Dio pongono la loro vita nelle mani dell’altro avendo di fronte l’ignoto, la notte: fidandosi aldilà di ogni remora razionale che vorrebbe imporre condizioni alla storia matrimoniale che sta iniziando con la celebrazione del sacramento. Due sposi, anche i più avveduti e sorretti da un solido discernimento vocazionale, al momento della celebrazione del sacramento, affrontano comunque un poderoso salto nel vuoto di un futuro ignoto. Lo compiono in due fidandosi entrambi di Dio e dell’altro, ben sapendo che l’appoggio del coniuge, nel corso delle vicende terrene della loro convivenza matrimoniale, può venir meno per le più disparate ragioni. Risiede qui la più dirimente differenziazione tra il matrimonio sacramento e la semplice convivenza, anche nella forma del matrimonio civile.

Nella terza notte l’Arcangelo promette a Tobia la benedizione di Dio, il quale, dopo aver pervaso del suo amore l’anima che è passata attraverso la seconda notte ed ora ha fiducia del suo Creatore, compie l’unione con la Sposa che è la sapienza divina. L’Arcangelo, infatti, consiglia che, trascorsa la terza notte, Tobia si unisca alla sua sposa, nel timor di Dio, cioè in una modalità non più corrotta dalla concupiscenza, ma liberata e “trasformata” dall’amore. In chiave matrimoniale leggiamo questo passaggio ricordando che l’amore di due coniugi non è ipso facto puro. L’anima dei due e la loro relazione (forse questo è il messaggio lasciato dalla vicenda di Tobia e Sara) deve attraversare le tre notti per diventare amore oblativo e sperimentare quell’ermeneutica del dono iscritta nel loro essere “maschio e femmina” ad immagine della Trinità. Lo stesso Giovanni Paolo II, che in gioventù aveva interiorizzato gli insegnamenti del dottore mistico avendo elaborato la sua tesi dottorale in Teologia su La fede secondo san Giovanni della Croce, nel ciclo delle sue catechesi ne dedica tre per rileggere la vicenda dei due novelli sposi alla luce dell’antropologia adeguata.

«L’amore di Tobia doveva fin dal primo momento affrontare la prova della vita e della morte. Le parole sull’amore “forte come la morte”, pronunciate dagli sposi del Cantico dei Cantici nel trasporto dei cuori, assumono qui il carattere di una prova reale. Se l’amore si dimostra forte come la morte, ciò avviene soprattutto nel senso che Tobia (e insieme a lui Sara) vanno senza esitare verso questa prova. In seguito esse si verificano perché in tale prova della vita e della morte vince la vita, cioè durante la prova della notte nuziale l’amore si rivela più forte della morte. (…) In questo drammatico momento della storia di entrambi, Tobia e Sara, quando la notte nuziale era loro dovuto, come sposi novelli, parlare reciprocamente, col “linguaggio del corpo”, trasformano quel “linguaggio” in una voce sola. Quell’unisono è la preghiera. Questa voce, questo parlare all’unisono consente ad entrambi di varcare la “situazione del limite”, lo stato di minaccia di male e di morte, aprendosi totalmente, nell’unità di due, al Dio vivo» (Uomo e donna lo creò, catechesi sull’amore umano, CXIV, 3; CXV, 6).

Cosa intende s. Giovanni della Croce per notte? Essa consiste nella mancanza di qualcosa proprio come quando, alla mancanza della luce, il buio oscura la vista degli oggetti. Nel caso specifico dell’anima, la notte dell’anima consiste nella rinuncia al gusto sensibile delle cose materiali. In questo modo l’anima si svuota e, svuotandosi, resta avvolta dalle tenebre: è come un fare spazio, sgombrare l’ambiente. L’anima svuotata diventa come una tabula rasa sulla quale Dio può scrivere il suo amore per lei. Il corpo, in quest’ottica, può essere paragonato ad una casa che contiene l’anima e questa può ricevere solo ciò che i sensi le trasmettono. Ecco perché risulta importante la notte o purgazione dei sensi per permettere a Dio di poter permeare l’anima. I sensi sono paragonabili a delle finestre, attraverso le quali l’anima accede alla conoscenza e, se questi sono puri, avrà conoscenza pura, divina. Nel giardino di Eden, Adamo ed Eva hanno la conoscenza di sé, del creato e di Dio attraverso lo sguardo puro che crea relazioni equilibrate e veritiere. Questo sguardo puro scaturisce dalla purezza dei sensi e dalla fede incondizionata verso il proprio Creatore. Lo sguardo cambia radicalmente quando i progenitori vogliono affacciarsi alla finestra dei sensi quando questa non è più pura ma ottenebrata dal fascino dell’ottenere conoscenza. Il fascino è generato dal diventare più grandi del Creatore, dal non aver più bisogno di Lui. Affiorano, dunque, desideri negativi e, soprattutto, scompare la fede nel Creatore e prende il sopravvento il dubbio sulla veridicità della Parola di Dio. Non pensano più alla bellezza delle relazioni costruite perché, ormai, sulla tabula della loro anima ha incominciato a scrivere il demonio, offuscando la verità impressa da Dio. Un po’ alla volta con il susseguirsi di scelte offensive nei confronti di Dio sulla tabula rasa si imprimono beni sempre più grandi, desideri ingombranti che allontanano l’umanità dal suo Creatore. A questo punto della riflessione nasce la legittima (agli occhi di un lettore medio del XXI secolo) domanda: i beni sensibili che vengono a contatto con l’anima (soprattutto attraverso i cinque sensi, i desideri e gli oggetti materiali) sono negativi per l’uomo? Ostacolano la via della perfezione? Non totalmente. Ciò che danneggia l’anima è il desiderio e l’appetito irrefrenabile dei beni.

Risulta indispensabile, quindi, la notte dei sensi perché senza di essa Dio non può illuminare l’anima. Ciò risulta vero anche perché la notte e la luce non possono sussistere assieme. L’una o l’altra è destinata a scomparire proprio come quando in una stanza buia viene accesa una luce. L’evangelista Giovanni nel prologo al versetto 1,5 afferma: «La luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta» e al versetto 1,9: «Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo». Dio, vedendo la sua creatura soffocata dalle tenebre, si incarna per ridonare luce e libertà ad ogni uomo e «A quanti lo hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio» (Gv, 1,12) perché generati direttamente da Dio.

Il dottore mistico mette in guardia anche dall’attaccamento dell’anima verso le creature. Tale attaccamento potrebbe assoggettare l’anima dell’amante alla persona amata e togliere spazio a Dio. Ciò diventa un grande rischio, concreto, nella vita di due sposi. Tuttavia non va dimenticato che i coniugi cristiani vengono consacrati attraverso il sigillo dello Spirito Santo divenendo una sola carne. Assieme, dunque, bisogna purificarsi dai sensi per raggiungere come una caro l’unione con Dio. Proprio quello che vivono Adamo ed Eva o quello che hanno vissuto i coniugi in odore di santità: salire il monte della perfezione assieme. Questo è uno dei motivi per cui S. Pietro (1Pt, 3) sconsigliava l’unione matrimoniale con persone non cristiane perché queste non potrebbero progredire sulla via della perfezione.

È amando il coniuge che si ama Dio presente in lui e assieme, come una caro, ci si unisce al sommo bene. Nel corso della storia della Chiesa si è obiettato che i coniugi più facilmente potrebbero essere assoggettati agli istinti della carne, ai sensi. Risulta sicuramente un rischio in cui i coniugi possono incappare, evidentemente, ma l’obiezione non tiene presente un fattore fondamentale e cioè che il rapporto coniugale è stato voluto da Dio, istituito come sacramento primordiale (definito così da S. Giovanni Paolo II) e benedetto prima dell’avvento del peccato originale. Dunque il rapporto coniugale non rientra nei sensi che ingombrano l’anima impedendo l’unione con il Creatore ma esso è parte integrante dell’immagine di Dio impressa nell’umanità. Se il rapporto coniugale è vissuto con “timor di Dio”, cioè nel rispetto di Dio presente nell’altro, esso non risulta un ostacolo alla via della perfezione. Anzi i coniugi cristiani in quell’unione celebrano il loro amore ridonandosi lo Spirito Santo ricevuto il giorno delle loro nozze.

Il dottore mistico sottolinea come l’anima che si lascia ammaliare dalla bellezza di qualche creatura diventi tanto brutta agli occhi del Creatore da non potersi trasformare in Lui. Ciò risulta vero quando una persona pone tutto sé stesso solo ed esclusivamente nelle mani della creatura amata non relativizzandola e relativizzandosi a Dio. L’indole dell’umanità, dopo il peccato, è spesso traditrice e quindi non è pensabile riporre tutto solo nelle mani di una creatura lasciandosi ammaliare dal suo fascino. Quando, però, le creature che si amano, riconoscono i propri limiti e soprattutto il limite di non riuscire ad amare l’altro di un amore fedele ed inesauribile, esse decidono di affidare il loro amore a Dio, perché da Lui proviene e a Lui deve ritornare.

Il santo carmelitano, riflettendo ancora sulla prima notte (definita dei sensi), afferma che gli appetiti ad essi legati generano nell’anima dei danni. Essi privano l’anima dello Spirito di Dio, la stancano, la tormentano, l’oscurano, l’insudiciano, l’indeboliscono, la feriscono. Essi soffocano l’anima di appetiti che offendono Dio, privandola del suo Creatore. Questi appetiti rendono l’anima sempre più affamata, inquieta e insoddisfatta in quanto solo Dio può riempire il cuore dell’uomo. L’anima diventa schiava, avvinta dai suoi stessi appetiti. Gli occhi sono accecati dalle proprie iniquità. L’intelletto è ottenebrato e quindi incapace di ricevere la luce di Dio, la volontà è intorpidita, la memoria diventa rozza e così l’anima diviene disordinata nel suo modo naturale di operare non offrendo più la sua vera immagine: quella di Dio. L’insoddisfazione e la stanchezza dell’anima sono generati dal desiderio di serenità e pienezza che solo Dio può appagare. Gli appetiti, invece, rendono schiava l’anima perché offuscata dalla falsa soddisfazione e quindi non libera di scegliere Dio.

A volte anche nella vita familiare si assiste a questa insoddisfazione del cuore. Si ha l’impressione di vivere una vita vuota, priva di senso e che si voglia riempirla di felicità e soddisfazioni. Allora può capitare che ci si diriga verso beni sensibili ed effimeri: shopping sfrenato di cose inutili, viaggi a raffica, notti intere in locali tra alcol e musica, attaccamento al gioco sperando che con la vincita di una ingente somma di danaro la propria vita possa risultare colma e felice, schiavitù del fumo, dell’alcool, di social-media perché si vuole apparire per ciò che non si è: perfetti. Infine, si può provare insoddisfazione verso il proprio coniuge e nascondersi dietro frasi come: “non provo più, per te, le stesse cose che provavo un tempo”. Quindi la casa e i figli vengono percepiti come prigione perché frenano la soddisfazione degli appetiti che invece crescono sempre di più rendendo più inquieti. Spesso, guidati da altri ciechi resi tali dagli stessi appetiti, ci si dirige verso un’altra creatura che non è la propria carne, (quella che Dio aveva pensato per poter salire il monte della perfezione, il coniuge), illudendosi che essa possa soddisfare totalmente la propria sete. Invece, ciò non accade e l’insoddisfazione cresce a dismisura, proprio come accade alla farfalla che “accecata” dalla luce viene attirata da essa con grande desiderio fino ad esserne risucchiata e bruciata dalla fiamma stessa che l’abbagliava. Quando, per grazia, Dio accende la luce nell’anima, ci si accorge della grande devastazione che hanno provocato gli appetiti che si rincorrevano con tutte le forze. Da quelle macerie si può e si deve ricostruire scegliendo solo Dio, la sete del quale era alla base dell’insorgere di tutti questi appetiti.

Prendendo in esame una parte del libro del profeta Ezechiele (8, 10-16), il dottore mistico illustra la varietà degli appetiti che rendono sudicia l’anima a partire da ciò che vide il profeta Ezechiele, in una visione, dipinto sulle pareti interne del tempio: tutte le specie di rettili velenosi che strisciano per terra. Al comando di Dio di inoltrarsi di più in profondità, il profeta vide alcune donne che piangevano Adone, il dio degli amori. Ad un ulteriore ordine divino di entrare ancora più dentro, Ezechiele vide venticinque vecchi che davano le spalle al tempio. Secondo il dottore mistico, il tempio simboleggia l’anima, i rettili disegnati sulle pareti sono i pensieri che l’intelletto forma intorno alle cose vili della terra. Le donne che piangono Adone raffigurano gli appetiti che risiedono nella volontà. Le donne piangono perché desiderano avere quei beni che erano già impressi nella prima stanza sotto forma di rettili. I vecchi che voltano le spalle al tempio, rappresentano le creature che la memoria custodisce dentro di sé. Hanno le spalle al tempio. Infatti quando l’anima aderisce pienamente a qualche senso creato sembra che volti le spalle a Dio cioè alla sua retta ragione.

S. Giovanni della Croce mette in guardia dagli appetiti perché intiepidiscono e debilitano l’anima non facendola progredire nelle virtù e rendendola insoddisfatta. A volte s’incontrano giovani fidanzati che presi da appetiti non sani, bruciano tutte le tappe del loro amore arrivando, dopo pochi anni di matrimonio, ad essere insoddisfatti di sé stessi e del coniuge perché hanno alimentato falsi appetiti. Ciò li porta ad essere come Ruben, primogenito di Giacobbe, che perse i benefici della primogenitura perché si unì alla concubina di suo padre. Giacobbe, al momento della benedizione dice: ti sei versato come l’acqua, non crescerai in virtù (Cf, Gen, 49, 4).

Le precedenti costituiscono solo una parte delle riflessioni che possono scaturire dalla lettura di Giovanni della Croce. Il tempo della Quaresima, soprattutto se vissuto in coppia, si può rivelare favorevole alla comprensione di queste pagine profonde che indicano all’uomo la sua natura. Gli indicano, così, anche la dinamica delle sue giornate, fatte di dura fatica. Ogni coppia ha così di fronte a sé la duplice scelta: faticare a vuoto o profondere energia per salire il santo monte della santità. Ai coniugi la scelta.




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Assunta Scialdone

Assunta Scialdone, sposa e madre, docente presso l’ISSR santi Apostoli Pietro e Paolo - area casertana - in Capua e di I.R.C nella scuola secondaria di Primo Grado. Dottore in Sacra Teologia in vita cristiana indirizzo spiritualità. Ha conseguito il Master in Scienze del Matrimonio e della Famiglia presso l’Istituto Giovanni Paolo II della Pontificia Università Lateranense. Da anni impegnata nella pastorale familiare diocesana, serve lo Sposo servendo gli sposi.

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