Gli aborti sono diminuiti? No, vediamo perché

di Soemia Sibillo, Direttrice Cav Mangiagalli

Venerdì 11 febbraio, si è svolto un Convegno a Pavia per riflettere sulla Relazione al Parlamento del 2021 circa le interruzioni volontarie di gravidanza. Molti gli illustri relatori presenti per sottolineare il grande assente nei dati comunicati: l’aborto chimico. 

Milano, 14 febbraio 2022 – “L’interruzione di gravidanza nella Relazione 2021 al Parlamento” è il titolo del Convegno svoltosi venerdì 11 febbraio, presso l’Aula Magna dell’Università di Pavia. Il convegno di alto profilo tecnico, scientifico, giuridico e umano ha visto alternarsi relatori di particolare professionalità e competenza. La prima parte è stata moderata da Alessandro Repossi direttore del settimanale Il Ticino. La periodica Relazione del Ministro della Salute al Parlamento sull’attuazione della L. 194 offre dati di sicuro interesse per comprendere non solo l’andamento statistico delle interruzioni di gravidanza in Italia ma anche il rilievo sociale del fenomeno. In che misura incide questa legge sulla denatalità che investe il nostro Paese? Interessante l’intervento dell’Avv. Alberto Gambino, ordinario di Diritto privato all’Università Europea di Roma con un interesse spiccato per la bioetica e il biodiritto, nonché componente del comitato etico dell’Istituto Superiore di Sanità, cha ha affrontato in particolare il tema sull’ordinarietà delle procedure. 

La legge 194 afferma espressamente che non deve essere intesa come uno strumento per la regolazione delle nascite. Nel corso degli anni, piano piano ci si è disallineati dalle procedure proprie della legge per entrare in un vuoto normativo, si veda l’aborto farmacologico, il ricovero, il ricovero parziale a casa… L’ordinarietà delle procedure presuppone un controllo, una verifica, una omogeneità. Ma se dall’ordinarietà si passa a procedure diversificate a seconda della regola della struttura sanitaria regionale e a zone grigie che viziano la relazione al Parlamento, non si offrono i dati essenziali per attuare politiche di riduzione del fenomeno e per evitare che la legge 194 non sia uno strumento per il controllo delle nascite. Il Ministro Speranza nella relazione fa una sorta di plauso alla diminuzione di quelle interruzioni tipiche chirurgiche, dimenticando tutti gli altri strumenti attualmente utilizzati. È un retaggio culturale assecondare un interesse sociale di normalizzare fenomeni di gravidanze indesiderate, che così in qualche modo scompaiono. C’è un problema di fondo a seconda dei substrati sociali, con fasce diverse di accesso: un accesso vecchio, ordinario, per le fasce potremmo dire meno acculturate mentre quelle più acculturate ricorrono a strumenti sostitutivi rispetto all’intervento chirurgico. Questa vicenda maschera l’entità del fenomeno. 

Sono temi che un tempo interessavano tutta la cittadinanza che si esprimeva con l’atto legislativo tanto da arrivare anche a dei referendum. Nel corso dei decenni le tecnologie hanno derubricato lo strumento normativo passando dalla legge ai regolamenti, tanto è vero che sono espressi nei regolamenti le linee guida, i protocolli da seguire.  Mentre la legge rappresenta un confronto, i regolamenti sono di parte, appartengono alla parte politica di chi governa. Ma qui stiamo parlando di diritti soggettivi su cui può legiferare solamente il Parlamento e non il Ministero. L’autorità di riferimento non è più quindi la città ma sono gli organismi tecnici spesso sovranazionali che in nome della “bontà tecnologica del prodotto” fa solo un ragionamento: la modalità abortiva farmacologica sembrerebbe meno dolorosa e meno emotivamente insopportabile e quindi c’è una sorta di benessere che consente di sostituire, quandanche la legge non lo preveda, l’interruzione chirurgica. Il momento del ripensamento e dell’informazione vengono estremamente ridotti, il tutto avviene fuori dalla struttura. È una discriminante di un reato. Stai sopprimendo una vita umana, è un reato, ma laddove quella uccisione avvenga secondo certe procedure non sei punito. O c’è una legge o è un reato. Ma sempre di più i protocolli si sostituiscono al legislatore con l’idea del minor danno. Non può una relazione al Parlamento trascurare questo riferimento snocciolando dati tutto sommato di ottimismo affermando che le interruzioni si sono ridotte. Non è vero. C’è bisogno di verità. Le leggi non possono essere cancellate per prassi e protocolli. È un tema di democrazia. 

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Dello stesso parere la Prof.ssa Assuntina Morresi (Componente del Comitato Nazionale per la Bioetica) che ha trattato l’aborto farmacologico e la cosiddetta contraccezione d’emergenza. La legge 194 afferma che la contraccezione e tutto ciò che fa parte della scelta procreativa può essere accessibile anche ai minori. La legge 194 non riguarda però le procedure farmacologiche perché sostanzialmente nel 1984 esisteva solo il metodo chirurgico. L’aborto medico e farmacologico è venuto dopo l’approvazione della legge 194, in Italia è arrivato intorno al 2009. Oggi si può abortire farmacologicamente fino a 9 settimane, fino a due anni fa era consentito solamente fino a 7 settimane. Molte delle procedure farmacologiche oggi avvengono con la procedura d’urgenza, non c’è più quella settimana di riflessione. Come funziona? Con la pillola abortiva l’embrione muore in pancia, questo metodo infatti si attua con gravidanza avviata, con l’avvenuto annidamento, al terzo giorno vengono somministrate le prostaglandine, che determinano le contrazioni e quindi l’espulsione. Si ha una emorragia indotta farmacologicamente. Dal momento che si assume la pillola, la donna non sa quando, come e se abortirà, c’è tutta una gamma di percentuali: nel 5% c’è chi abortisce subito, nel 60% dei casi dopo la seconda pillola, chi nei giorni successivi, chi entro i quattordici giorni, nel 5% non si avrà l’aborto completo e sarà necessario comunque quello chirurgico. Sembra un aborto facile, le pillole stanno sul palmo di una mano e si buttano giù con un bicchiere d’acqua, ma in realtà è insicuro e variabile, negli effetti, da donna a donna.  

Secondo la 194 l’interruzione di gravidanza deve avvenire in alcune strutture autorizzate dalle regioni, come ad esempio nelle case di cura, negli poliambulatori pubblici, ma ricordiamo che questa legge è stato pensata e strutturata in un momento preciso. Nel caso di aborto chirurgico si sa infatti quando avverrà l’interruzione. Nel caso dell’aborto farmacologico non si sa, la donna deve controllare cosa sta succedendo ma non si trova in una sala operatoria quando ciò accade. Per essere compatibile con la legge, l’aborto farmacologico dovrebbe essere completato con l’espulsione dentro la struttura. Ma i tempi sono diversi. Qui nasce una incompatibilità, inizialmente il Consiglio Superiore di Sanità si espresse affermando che il rischio che correva la donna nel caso dell’aborto farmacologico era pari a quello chirurgico solamente se entrambi avvenivano sotto controllo medico. Non essendo normata la procedura abortiva farmacologica perché implicitamente si intendeva solamente quella chirurgica si è proceduto per via amministrativa, senza passare dal Parlamento. L’Aifa disse come andava utilizzata la pillola, il Ministero, quando si è dovuta commercializzare la pillola RU486 perché approvata dall’Europa, fece delle linee di indirizzo proprio perché non c’era la procedura normata per legge. È grave che il tema dell’aborto farmacologico non sia passato dal Parlamento e che quindi non abbia coinvolto l’opinione pubblica. 

Nel 2010 le linee guida prevedevano il ricovero ordinario dentro l’ospedale a garanzia della sicurezza della donna, ma nell’agosto del 2020 il Direttore Generale della Prevenzione del Ministero, condiviso dallo stesso Ministro della Salute, ha allungato da 7 settimane a 9 settimane il termine per ricorrere all’aborto, introducendo novità non previste dalla legge, rimuovendo il vincolo che imponeva il ricovero dal momento dell’assunzione del farmaco fino alla verifica dell’espulsione del prodotto del concepimento. Una procedura al di fuori della legge 194 viene contemplata in una relazione che parla della legge 194! Si sottrae la democrazia e la trasparenza. I dati di vendita dell’aborto farmacologico sono in aumento. L’aborto farmacologico diviene un fatto privato, si abbassano i costi e si elimina il problema dell’obiezione di coscienza. La pillola la somministra il non obiettore, ma se arrivi con una emorragia tutti ti devono curare. Di fatto le vendite della pillola dei 5 giorni dopo e del giorno dopo sono aumentate esponenzialmente.

La dottoressa Maria Emilia Boerci, ginecologa e presidente della Confederazione italiana per la regolazione naturale della fertilità ha relazionato sulle complicanze successive all’IVG. La sofferenza del post aborto rimane in carico solo alla donna che si ritrova a fare i conti con se stessa e con i suoi sensi di colpa. Frequenti sono i casi di psicosi post-abortiva, stress post-abortivo, sindrome post-abortiva. Nella seconda parte del convegno, coordinata da Maria Pia Sacchi Mussini Vice-Presidente di Federvita Lombardia, è intervenuto il Prof. Enrico Mario Ferrazzi (Ordinario di Ginecologia, Università di Milano, Direttore della Clinica Ostetrica Mangiagalli di Milano) con il tema dal titolo “L’approccio del medico alla donna intenzionata all’Ivg” affermando che le motivazioni di richiesta di IVG spesso sono dettate da condizioni socio-economiche e socio-culturali, sottolineando come la presenza del Centro di Aiuto alla Vita all’interno dell’ospedale sia di aiuto nell’accompagnare le donne che si trovano in difficoltà. Ferrazzi ha ricordato gli oltre 6mila bimbi nati nel 2021 in Mangiagalli e al contempo il dato delle 1.110 interruzioni di gravidanza. È seguita la mia testimonianza sull’attività del CAV Mangiagalli, un impegno quotidiano, sul campo, dedito all’ascolto e all’accoglienza di mamme o coppie genitoriali indecise sul portare avanti la gravidanza. Ho voluto ricordare che l’attività del Centro di Aiuto alla Vita è prevista dall’art. 5 della legge 194 che prevede che “il consultorio e la struttura socio-sanitaria, oltre a dover garantire i necessari accertamenti medici, hanno il compito in ogni caso, e specialmente quando la richiesta di interruzione della gravidanza sia motivata dall’incidenza delle condizioni economiche, o sociali, o familiari sulla salute della gestante, di esaminare con la donna e con il padre del concepito, ove la donna lo consenta, nel rispetto della dignità e della riservatezza della donna e della persona indicata come padre del concepito, le possibili soluzioni dei problemi proposti, di aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza, di metterla in grado di far valere i suoi diritti di lavoratrice e di madre, di promuovere ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto”. 

In 37 anni di attività il CAV Mangiagalli ha aiutato a nascere 24.351 bambini. Le mamme che si rivolgono al CAV Mangiagalli hanno spesso un bagaglio di sofferenze economiche e sociali, spesso sono state abbandonate dal compagno, hanno perso il lavoro, la rete familiare e amicale spesso le ha lasciate sole. Gli operatori del CAV, tutti professionisti, accolgono le mamme e le accompagnano fino all’anno di età del bambino offrendo una serie di aiuti come ad esempio la borsa della spesa, corredini, passeggini, pannolini e nei casi più gravi un’accoglienza abitativa temporanea e/o un sussidio economico. 

“L’applicazione della 194 nella Clinica di Ginecologia del Policlinico San Matteo” è stato il tema trattato dal Prof. Arsenio Spinillo (Ordinario di Ginecologia presso L’Università di Pavia e Direttore Dipartimento Materno Infantile del S. Matteo di Pavia) che ha snocciolato numeri e statistiche presso la clinica ostetrica di Pavia, oltre duemila i nati ogni anno con un aumento contestuale di interruzione di gravidanza, il 35% non italiane. Le complicanze risultano superiori nelle procedure chirurgiche. Il Dr. Giuseppe Anzani, magistrato, ha parlato, infine, dell’obiezione di coscienza del personale coinvolto nell’IVG.




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