“Do you love Jesus?” così don Oreste, il sorriso di Dio
Sono 304 le case-famiglia, 2.452 tra bambini e adulti accolti, più di 2000 i membri e i volontari che accolgono: questa è la Comunità Papa Giovanni XXIII. Questo era il sogno di don Oreste Benzi, da sempre al fianco dei più poveri e tra questi anche il bambino non ancora nato.
Negli ultimi anni lo si incontrava spesso di notte sulle strade della prostituzione. La lunga tonaca scura, un Rosario in mano. “Do you love Jesus?”, chiedeva alle ragazze, quel sorriso luminoso non poteva che contagiare. In molte scoppiavano in lacrime e rispondevano: “Yes, I love him…”. E quell’ammissione era il primo passo verso una vita libera.
Avrete già capito di chi sto parlando. Non può essere che lui, don Oreste Benzi. Tracciare un suo profilo? Non è affatto un gioco da ragazzi ma è una cosa necessaria soprattutto oggi che siamo alle porte della 44esima Giornata per la Vita nascente, una delle maggiori occupazioni e preoccupazioni del caro don Oreste. Guardo la sua vita dall’alto e non so da dove cominciare. Mi colpisce il fatto che abbia deciso di diventare sacerdote quando frequentava la seconda elementare, cioè era poco più di un bambino. E se penso a cosa sia oggi la Comunità Papa Giovanni XXIII, non posso fare a meno di osservare quanto basti un buon sacerdote per cambiare il volto di questa terra. Nacque il 7 settembre 1925 a Sant’Andrea in Casale, frazione del comune di San Clemente, non molto lontano da Rimini. Settimo di nove figli, i suoi genitori erano persone semplici, il padre operaio e bracciante, la madre casalinga.
Fu ordinato sacerdote il 29 giugno 1949, per l’imposizione delle mani di Mons. Luigi Santa, vescovo di Rimini. Il primo incarico di don Oreste fu alla parrocchia di San Nicolò al Porto, come cappellano ovvero viceparroco. Nei sedici mesi della sua permanenza instaurò un’intensa relazione con i ragazzi della parrocchia. Nel 1950, don Oreste fu nominato vice-assistente della Gioventù Cattolica. Inizia da qui la storia di un’amicizia spirituale sempre più intensa con i giovani ai quali non negava mai colloqui personali né confessioni ad ogni ora del giorno e della notte. Il suo primo progetto per gli adolescenti fu la costruzione di una casa di vacanze in montagna. L’idea arrivò nel 1955, mentre era ospite di un amico sulle Dolomiti, per problemi di salute. Col permesso del Vescovo di Rimini, nel 1958 don Oreste partì per gli Stati Uniti allo scopo di raccogliere fondi, affidandosi all’intercessione della Madonna.
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La casa, costruita ad Alba di Canazei e intitolata alla «Madonna delle Vette», fu inaugurata nel 1961. La vita di don Oreste ebbe una nuova svolta nel 1968. Venuto a sapere dell’apertura di un Centro medico-psico-pedagogico per disabili a Rimini, prese contatti con la responsabile e iniziò ad insegnare loro il catechismo. Si creò fin da subito un legame fortissimo tra lui e loro, tanto che si rese conto di una nuova ingiustizia: che non potessero andare in vacanza in montagna, come gli adolescenti della «Madonna delle Vette». Così, al grido di «Diamo una vacanza a chi non ce l’ha», propose ai suoi studenti del liceo scientifico di aiutarlo. «Dove siamo noi, lì anche loro» era il principio che guidava lui e i giovani volontari.
Era quello il primo germoglio della futura Associazione Papa Giovanni XXIII, che ottenne il riconoscimento della personalità giuridica nel 1972. Il 3 luglio del 1973, a Coriano, nacque la prima casa-famiglia dell’Associazione, per dare ai bambini una mamma e un papà. Quando si parlava di famiglia, infatti, don Oreste aveva le idee ben chiare: «Dio ha creato la famiglia, l’uomo ha creato gli istituti». Le famiglie della Comunità rispose prontamente al suo appello e sposi, spesso giovanissimi, cominciarono ad accogliere bambini e ragazzi anche con gravi disabilità. il primo riconoscimento ecclesiale, a livello diocesano, arrivò nel 1983. Attraverso un lavoro attento ai bisogni degli ultimi e dedito alla diffusione del Vangelo don Oreste, negli anni, aveva saputo mostrare al mondo il lato più bello della vocazione presbiterale. Con il suo Rosario andava a cercare l’umanità dispersa nelle periferie del mondo, tra le prostitute e i tossicodipendenti, i reietti e gli emarginati, e aveva spesso acceso i riflettori mediatici sulle realtà più degradanti e mortificanti.
Il suo impegno per la vita nascente è ben sintetizzato in queste parole: «Viene chiamato ipocritamente interruzione della maternità e viene giustificato per evitare aborti clandestini. L’aborto è invece un omicidio premeditato con l’aggravante che la vittima non si può difendere. Per com’è applicata, la legge 194 ha deciso che la madre può fare quel che vuole del figlio: ucciderlo o mantenerlo in vita. Così il figlio non ha più nessun diritto, è come un oggetto, lo puoi buttare nella spazzatura. Eppure nessuna donna vuole uccidere il proprio figlio, tuttavia lo uccide trincerandosi dietro una falsa scusa: “Non posso tenerlo”. In realtà se la legge 194 fosse applicata negli articoli che tutelano la gravidanza e la vita, la donna troverebbe le risorse per essere madre del proprio figlio e non chiederebbe più di sopprimerlo». Il servizio al bambino non ancora nato è ancora oggi una delle maggiori occupazioni della Comunità Papa Giovanni XXIII.
Venerdì 2 novembre 2007, giorno della sua morte, le parole comparse sul Messalino “Pane quotidiano” parvero quasi profetiche: «Nel momento in cui chiuderò gli occhi a questa terra, la gente che sarà vicino dirà: è morto. In realtà è una bugia. Sono morto per chi mi vede, per chi sta lì. Le mie mani saranno fredde, il mio occhio non potrà più vedere, ma in realtà la morte non esiste perché appena chiudo gli occhi a questa terra mi apro all’infinito di Dio. Noi lo vedremo, come ci dice Paolo, faccia a faccia, così come Egli è (1Cor 13,12). E si attuerà quella parola che la Sapienza dice al capitolo 3: Dio ha creato l’uomo immortale, per l’immortalità, secondo la sua natura l’ha creato. Dentro di noi, quindi, c’è già l’immortalità, per cui la morte non è altro che lo sbocciare per sempre della mia identità, del mio essere con Dio. La morte è il momento dell’abbraccio col Padre, atteso intensamente nel cuore di ogni uomo, nel cuore di ogni creatura».
Davanti al feretro di don Oreste hanno sfilato davvero fedeli di ogni tipo per tre giorni. I funerali, inizialmente fissati nel duomo di Rimini il 5 novembre, sono poi stati celebrati nel Palacongressi della medesima città, di comune accordo tra la Curia vescovile e la Comunità Papa Giovanni XXIII.
Di fronte a un’assemblea di diecimila persone, il vescovo di Rimini, Mons. Francesco Lambiasi, ha affermato: «Come Gesù, don Oreste non si apparteneva: quanto si sentiva di appartenere a Dio, tanto sentiva di appartenere ai poveri. Era tanto vicino a tutti, quanto era distaccato e libero da tutti. Ed era tanto più unito a tutti e a ciascuno, quanto più era unito a Dio».
A cinque anni dalla sua morte, l’Associazione Papa Giovanni XXIII ha chiesto al Vescovo di Rimini l’avvio della causa di beatificazione di don Oreste, il cui corpo riposa nel cimitero cittadino. L’iter era partito il 27 ottobre 2012, al termine del convegno in occasione dei cinque anni dalla sua scomparsa. Dopo un anno di ricerche, la postulatrice, Elisabetta Casadei, ha consegnato a Mons. Lambiasi il “supplice libello”, ovvero la richiesta formale di apertura della causa.
Il nulla osta da parte della Santa Sede è arrivato il 3 gennaio 2014, mentre il 31 marzo seguente la Conferenza Episcopale dell’Emilia Romagna ha dato parere favorevole.
La prima sessione dell’inchiesta diocesana su vita, virtù e fama di santità del Servo di Dio Oreste Benzi si è quindi svolta presso la chiesa de La Resurrezione il 27 settembre 2014. L’ultima, invece, è stata celebrata il 23 novembre 2019.Don Oreste non è morto. Vive con quel suo sorriso splendido effusivo della dolcezza di Dio nella Associazione Papa Giovanni. Oggi sono 304 le case-famiglia, 2.452 tra bambini e adulti accolti, più di 2000 i membri e i volontari che accolgono. Al centro, o meglio al cuore di ogni casa, come don Oreste aveva voluto fin dagli inizi, c’è la cappellina che custodisce Gesù Eucaristia.
I membri sono attivi in otto ambiti d’intervento. A quelli originari tra i minori, i giovani e i disabili, si sono aggiunti quelli tra le vittime dell’emarginazione e della tratta, tra chi è oppresso dalle dipendenze, in difesa della vita e per un lavoro più giusto, per la promozione della giustizia e della pace e tramite l’ONG Condivisione fra i Popoli.
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