Guardo e riguardo la foto del piccolo Daniele, 7 anni ucciso dal papà Davide Paitoni con un colpo di coltello alla gola e poi rinchiuso nell’armadio della casa del nonno dove Paitoni stava scontando gli arresti domiciliari per un’aggressione violenta contro un uomo di 52 anni e mi chiedo: chi avrebbe dovuto proteggere Daniele dove era, cosa ha fatto, chi ha permesso tutto questo?
Domande lecite e non affatto scontate perché qui non siamo alla presenza dell’ennesima tragedia. Qui era tutto annunciato, previsto, solo che la burocrazia giudiziaria non ha fatto in tempo a concludere il suo lungo e vergognoso iter e la vita di un bambino è stata spezzata per sempre.
Gli antefatti. Davide Paitoni, addetto alle vendite di un’azienda di Azzate nel varesotto ha alle spalle diverse denunce, tra cui guida in stato di ebbrezza, ma la più grave risale al 26 novembre quando, al culmine di una lite, ha sferrato diverse coltellate alla schiena di un 52 enne con cui lavorava. Era stato arrestato, ma l’autorità giudiziaria aveva deciso che fossero sufficienti gli arresti domiciliari. Nel frattempo, l’uomo, consumatore abituale di droghe, tanto che nella sua auto i carabinieri hanno trovato della cocaina, era nel pieno del suo divorzio. La moglie, 36 anni lo avrebbe denunciato due volte più una denuncia da parte dei genitori di lei ma le denunce non avevano ancora finito il loro giro da scrivania a scrivania prima di essere depositate e trasformarsi in divieto di avvicinarsi a lei e al figlio. Tanto che in base al provvedimento di separazione, a Paitone era stato concesso di continuare a vedere suo figlio e di portarselo a casa il giorno di Capodanno quando si è consumata la tragedia: uccidendo prima Daniele e poi recandosi a casa della moglie per tentare di uccidere anche lei ma per fortuna senza esito.
Eppure, era passato appena un mese o poco più dall’aggressione violenta nei confronti del 52enne, come è possibile che nessuno a parte la condanna ai domiciliari si sia interrogato sulla pericolosità dell’uomo? Anzi gli abbia concesso di vedere il figlio da solo? E inoltre quando un nucleo familiare è già disgregato e pieno di problemi come quello della famiglia Paitone perché nessuno si è fatto carico in toto di loro? La giustizia può limitarsi solo a giudicare il reato?
Il primo rapporto sul figlicidio pubblicato dall’Istituto di ricerca Eures nell’ottobre 2015 consegnava dati rilevanti: nei quindici anni compresi tra 2000 e 2014 sono stati 379 i figli uccisi da un genitore – padre o madre – naturale o acquisito. Quindi, dal 2000 al 2017 nel nostro Paese 447 bambini sono morti per mano dei genitori o familiari. Ma cosa spinge un padre o una madre a uccidere la propria creatura? Secondo i numerosi esperti a volte le motivazioni hanno a che fare con differenti vissuti depressivi poco manifesti e pertanto sottovalutati, ma spesso anche con la solitudine, con l’isolamento, la mancanza di confronto o l’incapacità di chiedere aiuto. Altre volte, con la carenza di competenze relazionali ed emotive. Molte tragedie di questo tipo sono l’esito di conflitti intrafamiliari, tra coniugi o ex coniugi, dove i figli vengono usati e strumentalizzati per ferire l’altro.
Verità che bruciano, chiedono riflessioni approfondite, chiamano in causa la società, la chiesa, la giustizia…Siamo concentrati sui diritti degli adulti ma spesso dimentichiamo in questa lotta alla libertà i più piccoli, i bambini, quelli che non possono difendersi.
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