Li guardo attenti e pensierosi ad ascoltare le parole della loro catechista, gioiosi mentre nelle pause tirano due calci ad un pallone, in ginocchio mentre celebrano l’Eucaristia in Cappella. Sono i giovani della Fraternità di Emmaus che stanno vivendo dei giorni di ritiro alla Cittadella della carità, il luogo dove si trova anche la redazione della mia rivista.
Sono giorni di vacanze eppure, dopo essere stati sottoposti tutti a tampone, non hanno rinunciato a dedicare del tempo a Dio e agli amici. Tempo prezioso e non sprecato, parte integrante della loro formazione umana e spirituale. Che grazia per loro avere degli adulti che si prendono cura di loro, che hanno messo da parte lavoro, impegni, famiglia per dedicarsi ad accompagnarli in questa tappa del percorso di fede.
«Attraverso la santità dei giovani la Chiesa può rinnovare il suo ardore spirituale e il suo vigore apostolico. Il balsamo della santità generata dalla vita buona di tanti giovani può curare le ferite della Chiesa e del mondo, riportandoci a quella pienezza dell’amore a cui da sempre siamo stati chiamati: i giovani santi ci spingono a ritornare al nostro primo amore (cfr Ap 2,4)». (Christus vivit, 50). Sì, il Papa ha proprio ragione! I giovani ci spingono a ritornare al primo amore. Alle sorgenti della nostra felicità. Ci mettono nel cuore santi desideri e una struggente nostalgia di voler dare un senso alla nostra vita.
I giovani spesso tendono a mettere Dio fuori gioco dalla loro vita. Vogliono decidere tutto, senza condizionamenti. Spesso però il loro cuore inquieto non riesce a trovare quella pienezza che pure desiderano con tutte le forze. C’è bisogno di qualcuno che ricordi loro che siamo stati pensati per l’eternità e che le scelte che non hanno questo afflato spesso si rivelano gioie passeggere.
Gli educatori nella fede, i catechisti, insegnano che riconoscere i propri limiti è faticoso ma è proprio questa fatica che permette a Dio di lavorare nel loro giovane cuore e donare quelle luci necessarie a trovare il coraggio di cambiare strada. La santità è semplicemente corrispondere al suo sguardo. È non volgere gli occhi altrove. È lasciarsi amare da Lui. È accettare che Lui lo faccia nonostante siamo impresentabili o non ci sentiamo degni.
L’8 dicembre 1990 parlando ai giovani dell’Azione cattolica, don Tonino Bello diceva: “Siate soprattutto uomini. Fino in fondo. Anzi fino in cima. Perché essere uomini fino in cima significa essere santi. Non fermatevi, perciò, a mezza costa: la santità non sopporta misure discrete”. La santità non chiede mezze misure, ce lo dimostrano gli uomini e le donne che nel corso dei secoli non hanno esitato a donare tutto. La totalità è la misura dell’amore. Solo chi è disposto a permettere a Dio di regnare nel proprio cuore, di prendere il primo posto può giungere in cima. Potremmo dire con papa Francesco, imparare ad osare: “Osa essere di più, perché il tuo essere è più importante di ogni altra cosa. Non hai bisogno di possedere o di apparire. Puoi arrivare ad essere ciò che Dio, il tuo Creatore, sa che tu sei, se riconosci che sei chiamato a molto. Invoca lo Spirito Santo e cammina con fiducia verso la grande meta: la santità”. È quello che ci auguriamo per i nostri giovani.
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