Come reagiscono i bambini di fronte a un supereroe trans, gay o altro?
La Marvel ha lanciato la notizia dell’arrivo di un personaggio trans tra i supereroi. Come reagiranno i bambini? È corretto coinvolgerli in un tema così delicato e complesso come la disforia di genere dove, a oggi, non ci sono ancora idee e conoscenze scientifiche ben chiare? Stiamo mettendo su una grande sperimentazione sociale? Ne abbiamo parlato con il dott. Emiliano Lambiase, psicologo e psicoterapeuta.
La Marvel è intenzionata ad inserire un personaggio transgender tra i suoi supereroi. Lo ha annunciato la dirigente dei Marvel Studios, Victoria Alonso, qualche settimana fa, e ha affermato che “la diversità e l’inclusione non sono un gioco politico” e che lotterà anche per inserire personaggi transgender nei prossimi film di supereroi prodotti dalla Disney. Era già stato fatto con il film “Eternals” dove tra gli altri, c’era anche un personaggio omosessuale. Obiettivo? Inclusione a sentire i produttori, ma stiamo parlando di film destinati ai bambini e dunque porci qualche domanda è doveroso. Quale sarà la loro reazione? Abbiamo pensato di parlarne con il dott. Emiliano Lambiase, psicologo e psicoterapeuta cognitivo-comportamentale.
Quello della Marvel non è un caso isolato. Da tempo nei prodotti per bambini compaiono personaggi gay, trans, bisessuali ecc e non è solo una questione di prodotti per bambini. La propaganda Lgbtq+ dilaga un po’ ovunque e contestualmente aumentano i ragazzini adolescenti con disforia di genere spesso proiettati verso percorsi di transizione sessuale già in tenera età. Può esserci correlazione tra le due cose?
Ad oggi è impossibile prevedere se e quali effetti ci saranno sui bambini. Non esistono teorie, esempi o ricerche che lo descrivano e lo spieghino permettendoci di fare delle previsioni.
Secondo Lisa Littman, professore presso la Brown University School of Public Health, esiste un disturbo che mima la disforia di genere, che ha chiamato “Rapid-onset gender dysphoria” (disforia di genere a insorgenza rapida), che può manifestarsi a seguito di fenomeni di condizionamento e imitazione. Non sarebbe però una vera e propria forma di disforia di genere dovuta a incongruenza tra l’identità di genere e il sesso biologico, quanto piuttosto meccanismi di coping e di adattamento alle aspettative sociali e al gruppo di appartenenza messi in atto da soggetti vulnerabili o con preesistenti disturbi. L’ipotesi di Lisa Littman non ha ancora avuto conferme tramite ricerca scientifica e nemmeno molto sostegno nel mondo scientifico, e anzi ci sono state molte perplessità e critiche. Per questi motivi al momento non è ancora un disturbo riconosciuto.
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Ormai sappiamo che il livello di condizionamento che le fasce sociali più fragili, (bambini e adolescenti) subiscono dai media è un fatto reale, procedendo così non corriamo il rischio di allevare una generazione con disforia di genere sempre più confusa e sempre meno rispettosa della propria natura?
Ad oggi non sono chiari i meccanismi con i quali si sviluppa l’incongruenza tra il sesso biologico e l’identità di genere, ma sembra che non ci siano grandi influenze da parte dei media, i quali possono eventualmente influire sulle manifestazioni esteriori.
Ad esempio?
Secondo le conoscenze che abbiamo al momento la comunicazione mediatica potrebbe avere una influenza sul ruolo di genere, cioè il modo con il quale si esprime la propria identità di genere all’esterno ma non sull’identità di genere che evidentemente è qualcosa di più profondo.
Le due espressioni che ha usato fanno spesso capolino nel linguaggio mediatico di oggi, ma quali sono le conoscenze che abbiamo in merito al concetto di “identità di genere”?
Conosciamo (più o meno) le tappe di sviluppo dell’identità di genere ma non è stato ancora spiegato in modo chiaro come viene costruita e se è già stabilita biologicamente dentro di noi oppure se subisce l’influenza di dinamiche esterne, di quali e in che misura.
Tirando le somme sembrerebbe che non ci sia un’idea chiara e precisa in questo ambito e dunque mi domando è giusto coinvolgere i minori in una questione tanto delicata come la disforia di genere? Siamo già in grado di affermare con certezza che il mondo dei più piccoli non subirà alcuna influenza da questo tipo di narrazione mediatica della sessualità dove tutto è possibile? Se nell’ampio e complesso mondo dell’identità di genere non ci sono ancora conoscenze precise e provate scientificamente quella che stiamo attuando coinvolgendo i bambini è una specie di sperimentazione sociale? Da madre, penso che preservare i più piccoli da una questione troppo più grande di loro, non vuol dire non essere inclusivi ammenoché l’obiettivo non sia allevare una generazione x sessualmente indistinta.
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