Mario può morire: chi lo ha stabilito? Un comitato etico… ma di quale etica parliamo?

ospedale

(foto: sfam_photo - Shutterstock.com)

Lui è un uomo tetraplegico da dieci anni. Sarà il primo in Italia ad avere accesso al suicidio medicalmente assistito. Esulta l’Associazione Luca Coscioni. Ma quando una persona muore volontariamente, cosa c’è da esultare? Cosa ne è stato del bene assoluto di una vita umana?

È un uomo di 43 anni, le agenzie di stampa lo chiamano Mario, ma non è il suo nome. Tetraplegico da dieci anni a causa di un incidente stradale, sarà il primo a morire in Italia attraverso il suicidio medicalmente assistito. Lo annuncia, con una certa fierezza, l’Associazione Luca Coscioni che dal caso di Dj Fabo non ha mai smesso di combattere per quelle che definisce “libertà civili”: che cosa ci sia di civile in una società che aiuta la gente a morire più che a vivere qualcuno me lo spiegherà prima o poi?

“Il Comitato Etico ha riscontrato che l’uomo rientra nelle condizioni stabilite dalla Consulta per l’accesso al suicidio assistito. Restano da individuare ora le modalità di attuazione”. Queste solo alcune delle agghiaccianti parole che si possono leggere nel comunicato stampa diffuso dall’Associazione. Dunque per morire volontariamente in Italia ci sono condizioni e parametri in cui rientrare: cosa ne è stato del bene assoluto di una vita umana? 

Si legge ancora nel comunicato: “Dopo il diniego dell’Azienda Sanitaria Unica Regionale Marche, una prima e una seconda decisione definitiva del Tribunale di Ancona, due diffide legali all’Asur Marche, Mario ha finalmente ottenuto il parere del Comitato etico, che a seguito di verifica delle sue condizioni tramite un gruppo di medici specialisti nominati dall’Azienda sanitaria regionale, ha confermato che Mario possiede i requisiti per l’accesso legale al suicidio assistito”.

Il commento del diretto interessato? Eccolo: “Mi sento più leggero, mi sono svuotato di tutta la tensione accumulata in questi anni”. Continuo a scuotere la testa incredula mentre mi domando, con le mani tra i capelli, da dove è cominciata questa destrutturazione dell’umano? Come siamo arrivati al punto di convincere qualcuno che morire è meglio che vivere! Che combattere per avere accesso al suicidio sia una cosa migliore che combattere per sostenere la ricerca scientifica, per migliorare la società nel sostegno ai portatori di gravi handicap. In questo caso parliamo di un uomo, un camionista di Pesaro, rimasto inchiodato ad un letto dopo un incidente con solo la madre come supporto. La società civile, invece di fornirgli tutti gli strumenti per migliorare le sue condizioni di vita, gli offre l’opportunità più facile e indolore per togliersi di mezzo. Suicidio medicalmente assistito vuol dire che il candidato ingerisce da solo una pillola e… tanti saluti. Si distingue dall’eutanasia che invece avviene per iniezione letale. Una pagina che farà storia nel nostro Paese bisogno solo vedere se sarà una bella pagina della nostra storia oppure una di quelle in cui incassare i colpi di una sconfitta civile oltre che scientifica.




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Ida Giangrande

Ida Giangrande, 1979, è nata a Palestrina (RM) e attualmente vive a Napoli. Sposata e madre di due figlie, è laureata in Lettere Moderne presso l’Università degli Studi di Napoli, Federico II. Ha iniziato a scrivere per il giornale locale del paese in cui vive e attualmente collabora con la rivista Punto Famiglia. Appassionata di storia, letteratura e teatro, è specializzata in Studi Italianistici e Glottodidattici. Ha pubblicato il romanzo Sangue indiano (Edizioni Il Filo, 2010) e Ti ho visto nel buio (Editrice Punto famiglia, 2014).

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