Adozione a distanza
“Prima di tutto la Vita”, premio alla memoria di Carlo Casini
Il 31 ottobre scorso si è svolta a Firenze, nella Basilica della Santissima Annunziata, alla presenza dell’Arcivescovo, Cardinale Giuseppe Betori, la festa per i 30 anni del “Progetto Agata Smeralda”, un’associazione nata in seno al Movimento per la Vita per l’adozione a distanza di bambini brasiliani che vivono in strada (meniños e meniñas de rua). Un’occasione per scoprire un profilo nascosto e luminoso di Carlo Casini e della sua instancabile opera.
Il presidente dell’Associazione “Progetto Agata Smeralda”, il prof. Mauro Barsi, ha voluto dedicare il premio “Prima di tutto la Vita” alla memoria di Carlo Casini; premio consistente in una somma di denaro destinata al Centro di Aiuto alla vita di Firenze e in un bellissimo rosone riproducente un “putto” del Della Robbia donato alla sposa di Carlo, Maria. Si legge in un passaggio delle motivazioni del premio lette dal professor Barsi: «Uomo di giustizia, magistrato e politico integerrimo, ma soprattutto uomo di fede. Marito affettuoso e padre attento ai bisogni della sua famiglia, con il cuore grande. Sempre pronto ad aiutare gli altri in nome di quegli ideali puri che hanno portato al raggiungimento di tanti obiettivi concreti. A trent’anni dalla sua fondazione, il Progetto Agata Smeralda, vuole ricordare con affetto Carlo, ribadendo quei valori che sempre lo hanno animato e che continuano a vivere con forza nel nostro operato quotidiano».
La festa – molto partecipata e ricca di interventi – è stata l’occasione per conoscere più da vicino questo testimone della Speranza che tutti conosciamo come uomo di legge, magistrato, politico, storico presidente del Movimento per la Vita, ma che la Festa di Agata Smeralda ci ha restituito con aspetti meno noti. Carlo Casini, infatti, è stato un grande sostenitore di Progetto Agata Smeralda. Su Progetto Agata Smeralda Casini ha scritto diversi articoli, soprattutto quando si è trattato di dare consistenza all’associazione. È lui che ha inciso in modo determinante nel rapporto tra Firenze e Salvador Bahia, accompagnando le due città nell’attuazione del gemellaggio siglato a Palazzo Vecchio nel 1991 proprio “In nome dei bambini”. In un articolo del ’92, pubblicato su “La Speranza”, scrive così: «Ci siamo resi conto che in Brasile la difesa del diritto alla vita non implica soltanto la lotta contro l’aborto. Le allucinanti ricorrenti uccisioni di ‘meniños’ e ‘meniñas de rua’, i bambini di strada scomodi e privi di qualsiasi potere, mostrano fino a che punto può spingersi la logica che nega significato alla vita altrui. Il gemellaggio promosso dal Movimento per la vita in nome dei bambini dimostra la validità della tesi principale per cui il Movimento esiste: il bambino è sempre lo stesso, sia prima che dopo la nascita».
C’è una vicenda particolare che si trova alle origini di quella che poi è stata l’Associazione “Progetto Agata Smeralda”, su cui il pudore evangelico di Carlo Casini e della moglie Maria, che con Carlo ha vissuto in piena comunione di vita e di amore, non ha mai messo in luce. Nel luglio 1990 i coniugi Casini fecero un viaggio in Brasile insieme a don Piero Sabatini del Centro Missionario Diocesano di Firenze. Il viaggio nacque dall’esigenza da parte di Carlo e Maria di conoscere i luoghi della povertà, dell’emarginazione, dell’abbandono che don Piero aveva conosciuto. Andarono così a visitare il “villaggio hanseninano”, un lebbrosario. Era molto popolato e furono colpiti, tra le altre cose, da tre fratelli che non erano malati di lebbra, ma affetti da distrofia muscolare. Erano lì perché non avevano trovato posto altrove. Una persona si prendeva cura di loro, era una donna napoletana, Maria Jaffullo, che recatasi in Brasile anni prima per un’esperienza “umanitaria”, aveva deciso di restarvi. Il problema era che non poteva stare nel lebbrosario e così vi accedeva dall’esterno per fare compagnia ai tre fratelli, curarli come poteva, occuparsi delle loro specifiche necessità e rallegrare le loro giornate.
Carlo e Maria, colpiti da questa situazione, decisero di sostenere le spese per far vivere adeguatamente i tre fratelli in una casa insieme Maria, come una famiglia. Così è stato. I tre fratelli uscirono dal lebbrosario e potettero godere della presenza amorevole di Maria Jaffullo 24 ore su 24, in una casa loro, senza soffrire l’emarginazione nell’emarginato lebbrosario. Così iniziava l’esperienza di adozione a distanza divenuta poi “Progetto Agata Smeralda”, che guidato con saggezza, passione e amore dal professor Mauro Barsi.
Intenso e vibrante l’intervento del Cardinal Betori, che riportiamo integralmente: «Vorrei accompagnare il Premio “Prima di tutto la Vita” assegnato alla memoria dell’onorevole Carlo Casini con alcune parole che intendono riassumere il mio incontro con Carlo, un incontro che ha avuto inizio dal tempo del mio impegno come sottosegretario alla Conferenza Episcopale Italiana, 25 anni fa. È stato, il nostro, un incontro intessuto di molti dialoghi in cui ci siamo ascoltati e di diversi scritti che ci siamo scambiati. La sintesi di chi è stato Carlo Casini per me e di quello che è stato il nostro rapporto la ritrovo nell’ultimo biglietto che gli ho scritto il 19 marzo 2016. Era un biglietto con cui lo ringraziavo per l’invio di materiale illustrativo relativo all’iniziativa europea “Uno di noi”. Gli rispondevo anzitutto lamentando che i giornali, eccetto Avvenire, nulla avevano scritto a proposito di una manifestazione che si era svolta a Parigi per questa iniziativa, con cui si cercava di ottenere dal Parlamento Europeo una dichiarazione a favore della vita. Poi continuavo così. “La incoraggio a continuare a tener viva la coscienza della gente su queste frontiere dell’umano e la ringrazio per quanto ha fatto e continua a fare”. In questo scambio di parole ritrovo quale sia stata la figura di Carlo Casini per me. Un uomo impegnato profondamente nel difendere la vita e la sua dignità in ogni suo momento, fin dal concepimento. Cosa che ha fatto in maniera molto laica. Non è in nome della fede che ha difeso la vita dei più poveri e indifesi; lo ha fatto certamente sostenuto dalla fede, ma sempre in nome della ragione umana e della natura umana. Difendere la vita non è una questione confessionale, ci dicevamo, è una questione di civiltà. Su questo la Chiesa cattolica doveva sostenerlo e, per quel che ho potuto, gli ho offerto il mio contributo. Era chiaro per noi che la difesa della vita, sempre, era una questione che non andava promossa soltanto all’interno del circuito cattolico, facendola diventare solo una questione religiosa. Questo è stato per me Carlo Casini. Un uomo profondamente convinto che la fede sostiene una civiltà che sia degna di questo nome. Dal momento in cui ogni uomo è nel grembo di una donna, ha diritto alla nascita e poi ha diritto che la sua vita sia sostenuta nella sua pienezza. Qui nasce il legame tra la battaglia per la vita di Carlo Casini e la battaglia per la dignità della vita del Progetto Agata Smeralda. Ho imparato molto da Carlo Casini, proprio in questa impostazione del rapporto tra fede, ragione e autentica laicità. Gli sono molto grato per questo e ricordo ancora con molta commozione la benedizione che ho dato alla sua bara, eravamo poche persone, quel giorno, nel pieno della pandemia, a Soffiano. Il Signore senz’altro lo ha accolto tra le sue braccia e da lassù egli continua a pregare e invocare per noi e a indicarci la strada dell’impegno in difesa della vita umana, sempre».
Un profilo toccante di Carlo Casini è stato donato dalla figlia Marina che non potendo essere presente in quanto impegnata nel Convegno nazionale del Movimento per la Vita, ha scritto su richiesta del prof. Barsi una breve ma commovente testimonianza, letta dal prof. Angelo Passaleva, presidente del Centro di Aiuto alla Vita di Firenze. Condivido con i lettori di Punto Famiglia anche le parole di Marina: «Vorrei ricordarlo, osando, con trepidazione, affacciarmi appena appena, in punta di piedi, in quella dimensione intima che ha dato senso e motivazione al suo vorticoso e totalizzante impegno sociale, culturale, giuridico, civile e politico, soprattutto nella difesa della vita umana. Per lui, “dal concepimento” non era una formula e “uno di noi” non era una etichetta, ma l’espressione più alta del principio di uguaglianza, la prima pietra per la costruzione di un umanesimo nuovo, l’angolo di visuale che consente di vedere nella giusta prospettiva tutta la convivenza tra gli uomini, la fonte di ogni solidarietà e accoglienza nei confronti di tutti gli ultimi, il principio del rinnovamento morale, civile e politico, il fondamento dei diritti umani, il punto di forza per comprendere il significato della famiglia, il presupposto della pace.
Questa genuina e appassionata vocazione laica, che lo ha travolto e che ci ha travolti anche come famiglia, non spiega, però, fino in fondo le ragioni del suo dono totale, della sua immolazione.
In una lettera a un amico sacerdote scrisse che per lui l’impegno per la vita era «l’impegno per l’amore di Dio che si materializza in ogni nuovo essere umano che compare nell’esistenza, fino alla fine». Ricordo di aver letto in qualche suo scritto che per lui l’impegno per la vita equivaleva a stare in ginocchio di fronte al Padre della Vita. Ha sempre cercato Colui che della vita umana è il donatore, il senso, l’origine e il fine. In una sua relazione tenuta a Buenos Aires nel 1999 ha detto: «Sono certo che non vi è nulla di più profondamente umano del bisogno di infinito e di amore. La disperazione nasce dalla solitudine teologica, cioè dall’eclissi del senso di Dio. Ma Dio di fatto è presente nel cuore di ogni uomo e per scoprire il senso della vita anche nella sofferenza bisogna ultimamente ascoltare la sua voce». Giovane magistrato e sposo, scriveva, nell’ottobre del 1965, in un quaderno di esercizi spirituali: «Tutta la giornata deve essere preghiera, ma ci sono dei momenti in cui il colloquio con Dio non deve essere solo potenziale e incosciente, ma deve divenire effettivo e consapevole. Non è certo tempo perso quello dedicato alla preghiera per chi crede ai destini soprannaturali del proprio essere. Anzi, si può anche pensare che non è possibile un concreto progresso spirituale senza questo quotidiano sacrificio del proprio tempo. E per chi pretende una vera maturità intellettuale e un’ampia capacità apostolica, il “tempus orandi” deve essere qualcosa di esteso e profondo».
Era immerso nella storia e nel tempo con uno sguardo contemplativo. Era pienamente “nel mondo”, ma non era “del mondo”. Era come se fosse abitato da una luce che gli consentiva di vedere la realtà nella sua vera profondità ed essenza, come se vedesse le cose nella prospettiva di Dio. Nella vita umana ha visto l’opera di un’«intelligenza creatrice che è amore e chiama all’amore» e nell’abitazione del figlio nel grembo della mamma «il più intimo e duraturo degli abbracci», «segno che tutta la vita umana è posta sotto il sigillo dell’amore». Per questo con tanta naturalezza diceva e scriveva, col tono della meditazione stupita e gioiosa, che ogni figlio che comincia a esistere è «creazione in atto», «il vero “big bang”», «capolavoro della creazione», «senso dell’universo», «frutto della fatica dell’universo, dello spazio e del tempo, dell’evoluzione e delle generazioni», «meraviglia delle meraviglie», «miracolo che si verifica nella ferialità della vita comune», «concentrato di speranza», «freccia di speranza lanciata nel futuro», «senso della storia», «parola d’amore di Dio», «speranza di Dio. Tutta intera, incontaminata, non tradita». «Bisogna agganciarsi, – scriveva nel 2009 – forse ripartire dalla meditazione sull’uomo per recuperare quel senso del tutto, quel senso del mistero che circonda l’uomo, in una dimensione religiosa, ma anche profondamente umana». Il babbo questa meditazione sull’uomo l’ha fatta davanti all’estrema povertà dell’uomo che comincia ad esistere e l’ha vissuta radicalmente, anche nel tempo della malattia. E forse è proprio per questo che ha potuto scrivere «Di un Amore Infinito possiamo fidarci», frase che abbiamo voluto far incidere sulla sua lapide, a Soffiano.
Questa luce che lo abitava gli faceva vedere, come lui stesso ha scritto, che sul terreno della vita umana «il livello della lotta è più alto di quello umano e terrestre, perché il confronto si svolge a livello metafisico, nel cuore stesso del mistero di Dio, dove Cristo si immedesima nell’uomo» e dove si svela che il «mistero dell’Incarnazione è il mistero dell’Infinito che si fa finito; dell’Amore senza limiti che condivide totalmente la condizione dell’uomo». Aveva ben chiaro che insieme alla vita dell’uomo è coinvolta la paternità di Dio con il suo disegno di amore e aveva sperimentato che «chi si impegna per la vita incontra spesso una forza nemica fascinatrice e attentatrice che semina la menzogna nelle menti e la paura nei cuori. Talora essa sembra invincibile. Soccorre anche qui la parola di Gesù: “Senza di me non potete fare nulla; io ho vinto il mondo”». Era, perciò, persuaso che «le parole, le argomentazioni, le prove scientifiche, i dibattiti, le conferenze e i libri, sono utili, ma non sono risolutivi. Il diritto alla vita vincerà nella condivisione, nello “spezzare il pane” di una intera comunità. Ciò richiede una forza, una tenacia, una convinzione, che solo l’Eucarestia può dare».
Era anche uomo di gioia e di speranza. È sempre lui che scrive: «La gioia cristiana è come un canto intimo che nasce dalla Speranza. È quindi di natura soprannaturale […] E questa gioia non concerne soltanto la realtà ultramondana, ma concerne le cose di questo stesso mondo, che io vedo con altri occhi […] Sul piano pratico, quindi, ritengo che la mia vita debba avere un volto sereno, gioioso, tanto più quanto più essa sarà immersa nella sofferenza. Si dovrà trattare però di una serenità non fatua, ma consapevole, aperta agli altri e ai loro problemi, pronta a offrirsi agli altri come conforto, pronta al sacrificio e pronta ad accettare e valorizzare la vita nei suoi aspetti positivi e sublimandoli».
Sono questi alcuni tratti, appena accennati, del suo profilo spirituale, che vanno ad aggiungersi ai più noti profili del magistrato, dell’uomo politico, del leader del Movimento per la Vita. Lui che si è fatto tutto a tutti continua a essere per tutti una risorsa. Noi figli – desidero ricordare anche Francesco, Donatella Marco, Benedetta, Donato – insieme alla mamma, siamo felici di aver condiviso con lui questo cammino e vogliamo custodire al meglio il suo pensiero, profetico e lungimirante, per diffonderlo e farlo diventare sempre più patrimonio di tutti. Sì, perché in fondo tutti siamo eredi di una storia che deve continuare e abbiamo ancora bisogno che il babbo ci guidi e ci accompagni».
Da questo mosaico, risulta chiaramente che non si può non tenere conto della profonda e autentica ispirazione cristiana che ha sempre animato tutto il tenace impegno di Casini, le sue numerose iniziative sul piano nazionale e internazionale, il suo pensiero, i suoi scritti, le sue opere, la sua stessa vita. Per questo accogliamo con gioia l’invito che, a proposito di Carlo Casini, il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, Cardinale Gualtiero Bassetti, ha rivolto al Movimento per la Vita: «vi prego di tenerne viva la memoria; anzi di tenerlo vivo come egli realmente è nella Comunione dei Santi».
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