Quel Narciso confinato nel proprio Io…
13 Novembre 2021
Dal mito di Narciso deriva il male del secolo: il narcisismo. Sono tante le forme in cui si presenta, ma c’è una radice che le accomuna tutte: la chiusura nel proprio ego. Un antidoto c’è: uscire fuori da se stessi.
«Il giovane Narciso, stanco per le fatiche della caccia e accaldato, si adagia in un prato vicino a una lieta fonte. Beve, ma subito un’altra sete nasce in lui: s’invaghisce della bella forma riflessa nell’acqua. S’innamora della propria stessa immagine, che non riconosce, e resta impietrito come una statua di marmo».
È un passo famoso delle Metamorfosi di Ovidio. Narciso, bellissimo cacciatore figlio di una ninfa e di un dio fluviale, non corrisponde all’amore della ninfa Eco, costretta per punizione da Giunone a ripetere le ultime parole di ciò che le veniva detto (da ciò il significato attuale della parola). Viene perciò a sua volta punito dalla dea Nemesi, che lo fa innamorare della propria immagine riflessa nell’acqua.
I miti antichi sono meno innocui e pacifici di quanto appaiano. Come spiegò Manzoni nella Lettera sul Romanticismo, essi infatti nella loro essenza morale inducono all’amore e al desiderio delle passioni terrene “portato fino all’adorazione… come se fossero il fine, come se potessero dare la felicità, salvare”. Osservazione terribilmente acuta, perché spiega che non esistono forme autonome dal loro contenuto morale (in questo caso immorale) ma lo trasmettono e lo rendono tanto più onesto agli occhi del pubblico quanto più queste forme, la bella favola mitologica, lo rendono accattivante.
Dal mito di Narciso deriva non a caso il narcisismo, che nelle forme gravi è un vero disturbo della personalità studiato da fior di psicanalisti. Esiste però anche un narcisismo diffuso che non è necessariamente patologico ma che contrassegna una tendenza negativa della società mediatica di oggi in cui – secondo il padre della pop art Andy Warhol – ognuno può ambire al “suo quarto d’ora di celebrità”. Ecco allora la divetta in crisi di nervi perché in Tv ha avuto un’inquadratura di qualche secondo inferiore a quella che le era stata promessa; il politico amareggiato per avere ottenuto appena un ministero di serie B; lo scrittore di successo che ha avuto una recensione non sufficientemente laudativa… E così via, sino alle forme quotidiane di narcisismo ferito che troviamo un po’ in tutti gli ambiti di lavoro, e persino tra gli uomini di Chiesa.
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Ora, se è legittima e persino doverosa un’ambizione tesa a trafficare i talenti ricevuti, per fare del bene a sé e al prossimo, l’ambizione narcisistica è invece deleteria e controproducente perché causa insoddisfazione anche quando ottiene i risultati sperati: che oltre a tutto non sono mai definitivi e dovranno essere continuamente difesi, a prezzo di inquietudini e delusioni.
Sul finire degli anni Settanta lo storico e sociologo americano Christopher Lasch pubblicò La cultura del narcisismo, un libro in cui – precocemente rispetto ai tempi – colse al suo sbocciare l’evoluzione che le società occidentali avrebbero conosciuto nei decenni successivi. Come scrive Mario Pianta sul Manifesto, allora non c’erano ancora i selfie (icona del narcisismo se mai ve ne fu) e non c’erano Facebook e gli altri social media, nei quali ognuno, credendo di conversare con un prossimo invisibile, fa in realtà compulsivamente rimbalzare su se stesso le parole che usa. Eppure Lasch così descriveva, profeticamente, l’uomo moderno: “Il nuovo narcisista è ossessionato dall’ansia… I suoi atteggiamenti sessuali sono permissivi… ma la sua emancipazione da antichi tabù non gli offre pace sessuale. Ferocemente competitivo nella sua ricerca di approvazione e consenso, diffida della concorrenza. Le sue voglie non hanno limiti… ma esige soddisfazione immediata e vive in uno stato di desiderio inquieto e perennemente insoddisfatto”. È un uomo che dimostra inoltre “una superficialità autoprotettiva” e ha paura di “relazioni vincolanti” essendo incapace di gratitudine e fedeltà.
Sembra proprio di vedere l’uomo di oggi, ripiegato sul proprio smartphone, indifferente al prossimo e diffidente persino di Dio, preso com’è dal proprio Io. Un uomo per cui “l’inferno sono gli altri”, secondo la bruciante formula dell’esistenzialista Jean Paul Sartre.
Ma in realtà ci sono altre risposte, più semplici e appaganti perché più in sintonia con il vero cuore dell’uomo. Ecco per esempio quella avanzata dal grande poeta indiano Rabindranath Tagore in una delle sue “Scintille” (Sfulingo nell’originale):
Rinchiuso in te
troverai la notte.
Apri gli occhi, fuori di te
troverai luce senza confine.
Una bella poesia, non c’è che dire; ma ancor più un’utile proposta terapeutica contro il narcisismo!
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