Non solo Squid Game: quali responsabilità di chi produce e diffonde i contenuti?

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Come proteggere i minori da prodotti come Squid Game? Il Parental control da solo non basta, ma è comunque un primo passo. Non sarebbe necessario anche l’impegno di produttori e distributori di film e serie televisive?

Le polemiche scatenate dalla serie sudcoreana Squid Game, proposta da Netflix, che racconta con immagini di violenza efferata, la storia di un gruppo di disperati, afflitti dai debiti impegnati in una serie di sfide dove chi perde muore, hanno messo in luce un fenomeno ormai in atto da tempo, ovvero l’accesso facile e non sorvegliato dei minori a contenuti inadatti alla loro età. L’allarme è stato lanciato da alcune maestre elementari che hanno segnalato come i bambini avessero ricominciato a giocare a “un, due, tre, stella” (uno dei giochi proposti in Squid Game, con sterminio immediato di chi perde) salvo poi rendersi conto che in realtà stavano imitando scene della serie, formalmente vietata ai minori di 14 anni, ma in realtà fenomeno dilagante tra bambini e preadolescenti. In molti casi i ragazzini non avevano davvero visto tutti i nove episodi di Squid Game, ma conoscevano tematiche e personaggi perché presenti su diversi siti e social media, da YouTube a Instagram a Tik Tok, dove le clip della serie sono oggetto delle più diverse rivisitazioni, comprese ambientazioni di videogiochi – ad esempio Minecraft – che riproducono lo scenario dove si svolge la vicenda, un parco giochi dai colori pastello. 

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Nel dibattito nato attorno alla serie l’opinione prevalente è quella di sensibilizzare i genitori invitandoli a informarsi sui contenuti visti dai figli e a utilizzare i sistemi di Parental control offerti dalle piattaforme di tv in streaming. Certamente questo è un primo passo importante di consapevolezza e responsabilità da parte degli adulti. Vediamo allora come funzionano alcuni dei principali sistemi di Parental control, il cui utilizzo è ancora molto poco diffuso. Su Disney+ si seleziona l’account, poi si va su “Modifica profilo” e nella sezione “Parental control” è possibile indicare la classificazione di età scelta. A quel punto tutti i titoli vietati non saranno più visibili nel catalogo e nemmeno dal motore di ricerca. È possibile anche selezionare il profilo “Bambini” con contenuti preimpostati. Netflix funziona in modo analogo: per accedere al Parental control è necessario andare in “Gestisci profili” e modificare la classificazione per età. Il sistema offre anche la possibilità di bloccare alcuni contenuti specifici e propone un profilo Bambini. Su Amazon Prime Video si va su “account e impostazioni” e s’imposta l’età. A differenza di Disney e Netflix, qui i titoli destinati a un’età superiore restano però visibili nel catalogo, per visualizzarli è necessario inserire un PIN, impostato dal genitore. È possibile anche selezionare i dispositivi sui quali rendere operativo il blocco.

Impariamo a usare questi sistemi, ma scordiamoci che questa possa essere la soluzione definitiva al problema. Per risolverlo davvero ci vorrebbe l’impegno di tutti: i genitori, certo, ma anche di chi produce e diffonde i contenuti, che dovrebbe renderne l’accesso ai minori davvero precluso. I servizi di Parental control non sono così semplici e richiedono comunque un certo impegno per essere impostati e un monitoraggio periodico su che cosa effettivamente riescono a filtrare. Non tutti i genitori sono in grado di farlo. Poi le classificazioni per età andrebbero sempre verificate: un esempio per tutti, su Netflix “Kill Bill 1”, capolavoro di Quentin Tarantino che uscì in sala vietato ai minori di 14 anni per l’alto tasso di violenza, è considerato “per tutti”, quindi se s’imposta un filtro che lascia vedere solo i contenuti adatti a qualsiasi età, quel film è visibile. Il consiglio è controllare le età consigliate sul sito www.imdb.com, in molti casi sarà utile scoprire come film e serie tv vietate ai minori in altri Paesi siano in realtà visibili a tutti in Italia. La stessa Squid Game in Corea del Sud, il Paese dov’è stata realizzata, è vietata ai minori di 18 anni, valutazione condivisa anche dal sito di recensioni per famiglie www.orientaserie.it 




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Stefania Garassini

Stefania Garassini, insegnante di Editoria Multimediale, Content Management e Digital Journalism all’Università Cattolica di Milano, collabora con il mensile Domus e con il quotidiano Avvenire ed è presidente di Aiart Milano, associazione nazionale che opera nella formazione a un uso consapevole dei media. Autore di "Dizionario dei new media" (Raffaello Cortina Editore, 1999)
autore di "I nuovi strumenti del comunicare" (con Gianfranco Bettetini, Barbara Gasparini, Nicoletta Vittadini) (Bompiani, 2001) autore di "Digital Kids", guida ai migliori siti web videogiochi e cd rom per bambini e ragazzi (Raffaello Cortina, 2001) e di "Smartphone. 10 ragioni per non regalarlo alla prima Comunione (e magari neanche alla Cresima)", (Ares, 2019). Curatore di "Clicco quindi educo. Genitori e figli nell'era dei social network", (Ets, 2018).

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