Santi Luigi e Zelia

Nella festa di Tutti i Santi guardiamo alla santità familiare

di Padre Romano Gambalunga, postulatore

“Guardando ai coniugi Martin e ai frutti visibili di santità del loro essere un cuore solo e un’anima sola, ci rendiamo meglio conto che, imparando a comunicare, diventiamo «comunità che sa accompagnare, festeggiare e fruttificare», e comprendiamo che «la famiglia più bella, protagonista e non problema, è quella che sa comunicare, partendo dalla testimonianza, la bellezza e la ricchezza del rapporto tra uomo e donna, e di quello tra genitori e figli»”.

La proposta che papa Francesco ha fatto alla Chiesa universale di Luigi e Zelia Martin come matrimonio esemplare secondo il disegno d’amore di Dio nella creazione dell’umanità, non cessa di essere attuale e pertanto merita di non essere dimenticato e disperso.

È drammatico come venga oramai data per scontata e quindi insegnata talvolta perfino a partire dalla scuola primaria una falsa verità sulla natura dell’uomo, per aprire la strada a un modello disorientato del rapporto fra maschio e femmina, nel quale la comprensione del significato della differenza sessuale fra uomo e donna, che è in ordine alla trasmissione della vita e il progredire della creazione, non sono più riconosciuti. Al centro di questa operazione contro la vita c’è l’attacco alla famiglia naturale, fondata sul semplice riconoscimento della differenza provvidenziale tra uomo e donna che permette, all’interno di una relazione di alleanza basata sull’amore e il sostegno reciproco, di generare, custodire, far crescere la vita umana, non soltanto per sé, ma per ogni essere umano. È a questo livello che possiamo cogliere appieno l’attualità dell’esempio di una famiglia di fine ‘800 quale fu quella dei coniugi Martin.

Essi vissero una storia segnata da vicende nelle quali ancora oggi ci si può riconoscere, perché sono la norma nel mondo occidentale: non più giovanissimi secondo gli standard dell’epoca (quando si conobbero – e dopo pochi mesi si sposarono – lei aveva 27 anni e lui 35), si unirono in matrimonio e misero in comune le loro vite, imparando giorno dopo giorno a condividere le capacità, le responsabilità, i pesi, le gioie e i dolori. Luigi aveva un negozio di orologeria, Zelia era imprenditrice e non era facile coniugare le esigenze lavorative con la crescita di una famiglia numerosa di 9 figli. È bello vedere come Luigi sia stato umile e coraggioso, avanti sui tempi e lo rimanga ancora oggi, quando – per sostenere Zelia sempre più affaticata per il molto lavoro, le numerose gravidanze e i primi segnali della malattia che la condusse alla morte – decise di mettere da parte il suo lavoro chiudendo il suo negozio, per venire incontro alle esigenze della moglie e aiutarla nel portare avanti la sua impresa, mostrando anche grande senso di responsabilità sociale, perché era consapevole che la moglie dava lavoro a tante famiglie.

Luigi fu esemplare anche nel vivere la condizione di vedovo provvedendo alle cinque figlie e alla loro educazione, donando loro tutto se stesso. Seppe mettere davanti il loro bene, decidendo di trasferirsi da Alençon a Lisieux, sradicandosi pur di dare alle figlie la possibilità di essere seguite dalla zia Celina, con cui c’era un rapporto di stima e affetto. Il dialogo costante col Signore gli diede quella libertà di spirito – non scevra di sacrificio – per accompagnare le figlie nella loro scelta di vita monastica. Sappiamo che soprattutto l’entrata della piccola Teresa, la prediletta, non fu per lui un piccolo sacrificio, ma lo visse come generoso atto di offerta della sua vita e della sua figlia a Dio, così come aveva sempre fatto insieme a Zelia. Non c’è da meravigliarsi, dato che in casa, secondo il motto che aveva scelto mutuandolo da Giovanna d’Arco, Dio è il primo servito. È una dimensione da reimparare, quella di concepire e organizzare la propria vita mettendo al primo posto il servizio che si può rendere all’opera di Dio nel mondo, in risposta grata al suo amore preveniente.

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Il matrimonio: vocazione e amicizia

Ci sono due tratti della storia di Luigi e Zelia che li rendono attuali per illustrare come far sì che una relazione d’amore sia solida, duri nel tempo e non si rassegni alla mediocrità.

Prima di tutto, vivere l’incontro con l’altro e il matrimonio come vocazione. A questo Luigi e Zelia furono preparati dalla loro storia, dato che entrambi avevano pensato di vivere la loro vita cristiana consacrandosi a Dio. Non è questo tratto, ovviamente, ad essere esemplare, quanto la sensibilità e l’attitudine a percepire e concepire la propria esistenza come un dialogo col proprio Creatore, che ha un disegno buono e dissemina il cammino di segnali che indicano, ad uno sguardo attento, qual è la strada per saziare la sete del proprio cuore. È soltanto ricevendosi come un dono che viene da Dio e imparando a guardare l’altro come volto dell’amore del Padre, che è possibile costruire la propria casa su un fondamento stabile. Questo fu chiaro a Zelia quando, vedendo avvicinarsi il suo futuro marito mentre percorrevano in senso opposto il ponte di San Leonardo ad Alençon, sentì risuonare in sé una voce che le diceva: “Questo è l’uomo che ho preparato per te”.

Il secondo tratto è una diretta conseguenza di questo sguardo e apertura del cuore: vivere la relazione con la propria moglie /con il proprio marito come amicizia. La stima e il rispetto che vengono dalla spontaneità del riconoscersi gratuitamente come alleati e dal piacere di essere per l’altro un aiuto, contengono la pazienza, l’umiltà, la tenacia, la tenerezza, la fiducia e la curiosità necessari affinché un rapporto non degeneri nella ricerca di sé nell’altro, nel tentativo di esercitare un potere, nel logorio della ripetitività. In espressioni come queste: «Ti seguo in spirito per tutta la giornata; mi dico: “In questo momento fa la tal cosa”. Non vedo il momento di esserti vicina, mio caro Luigi; ti amo con tutto il mio cuore e sento ancora raddoppiare il mio affetto per la privazione che provo della tua presenza; mi sarebbe impossibile vivere lontana da te» (Lettere familiari 108); «Io sono sempre felicissima con lui, mi rende la vita molto serena. Mio marito è un sant’uomo, ne auguro uno simile a tutte le donne: ecco l’augurio che faccio a loro per il nuovo anno» (Lettere familiari 1); oppure, «il tuo marito e vero amico, che t’ama più della vita», non c’è nulla di sdolcinato, ma l’espressione della solidità di un affetto sincero.

Le differenti sensibilità, i tanti piccoli particolari della vita coniugale, che a volte producono a poco a poco una distanza e raffreddano l’intimità, erano vissuti da Luigi e Zelia come le occasioni per esercitare uno sguardo carico di simpatia e tenera accoglienza della propria diversità, come traspare da questo brano: «Quando riceverai questa lettera, sarò occupata a mettere in ordine il tuo banco da lavoro; non ti dovrai irritare, non perderò nulla, nemmeno un vecchio quadrante, né un pezzetto di molla, insomma niente, e poi sarà tutto pulito sopra e sotto! Non potrai dire che “ho soltanto cambiato il posto alla polvere”, perché non ce ne sarà più (…). Ti abbraccio di tutto cuore; oggi, al pensiero che sto per rivederti, sono tanto felice che non posso lavorare. Tua moglie che ti ama più della sua vita» (Lettere familiari 46).

La gioia di trasmettere la vita: generare ed educare

All’inizio per Zelia e Luigi vivere il matrimonio e aprirsi alla vita non fu facile. Fu la sincerità della loro ricerca della volontà di Dio e la docilità ai consigli di un sacerdote che li accompagnava, che fece loro comprendere la bellezza della vocazione matrimoniale, che pensavano di vivere nella continenza. Nove furono i figli che nacquero dalla loro unione riempiendo di gioia le loro vite: «Quando abbiamo avuto i nostri figlioli, le nostre idee sono un po’ cambiate: non vivevamo più che per loro, questa era la nostra felicità e non l’abbiamo mai trovata se non in loro. Insomma, tutto ci riusciva felicissimo, il mondo non ci era più di peso. Per me era il grande compenso, perciò desideravo di averne molti, per allevarli per il Cielo. Fra loro, quattro sono già ben sistemati e gli altri, sì, gli altri andranno pure in quel regno celeste, carichi di maggiori meriti, poiché avranno combattuto più a lungo» (Lettere familiari 192).

In questo brano traspaiono alcuni aspetti centrali del modo di vivere il rapporto con i figli, che oggi le famiglie hanno bisogno di riscoprire: la nascita di un figlio come un dono, sempre – anche se la sua vita sarà breve o travagliata – perché viene da Dio e conduce a Dio. Educare significa allora introdurre alla conoscenza della propria origine buona, il Padre, insegnare a desiderare il cielo e a vivere l’esistenza – le fatiche, l’impegno, le sofferenze – come una preparazione, qualcosa di prezioso se accettato con fiducia e amore.

Tutto questo è convincente e diventa verità che plasma la coscienza e dà vigore ai passi, quando i figli possono vederlo e quasi respirarlo nella carne dei propri genitori come ciò che dà senso al tempo e alle attività. L’aspirazione di Zelia alla santità, per sé e per i propri cari, era costante, pur nella consapevolezza dei propri limiti e del tempo perduto: «Voglio farmi santa: non sarà facile, vi è molto da sgrossare e il legno è duro come una pietra. Sarebbe stato meglio iniziare prima, mentre era meno difficile, ma, infine, “è meglio tardi che mai”» (Lettere familiari 110). Scrive al fratello: «Vedo con piacere che sei molto stimato a Lisieux: stai per diventare una persona di merito; ne sono felicissima, ma prima di tutto desidero che tu sia santo» (Lettere familiari 116). Anche di fronte alla figlia dal carattere difficile, Leonia, che a scuola avevano definito “una bambina terribile”, pur nella penosa consapevolezza dei suoi grandi limiti – «la povera bambina è coperta di difetti come da un mantello. Non si sa come prenderla» (Lettere familiari 185) – non manca la fiducia alimentata dalla fede nella bontà di Dio e dall’abbandono al suo disegno di salvezza: «Il buon Dio è così misericordioso che ho sempre sperato e spero ancora» (ivi).

Conosciamo bene, dalla testimonianza di santa Teresina, la grande intimità di Luigi con Dio e come questa trasparisse dal suo volto: «A volte i suoi occhi si facevano lucidi di commozione, ed egli si sforzava di trattenere le lacrime; sembrava non essere più legato alla terra, tanto la sua anima si immergeva nelle verità eterne» (Manoscritto A, 60); «mi bastava guardarlo per sapere come pregano i santi» (Manoscritto A, 63).

In un clima di questo genere, lo spirituale è sostanza della vita e le cose si illuminano nella prospettiva dell’eternità, in una maniera “naturale”.

Attenzione all’altro, accoglienza e generosità

L’attenzione all’altro e la gratitudine per il suo esserci così com’è, esercitata nella relazione coniugale e riversata nella cura per la crescita morale e spirituale dei figli, aveva nella famiglia Martin un importante complemento: la carità generosa, l’accoglienza dei poveri, l’attenzione a chi è nel bisogno. L’amore verso Dio, quando c’è, è inscindibilmente amore verso il prossimo e, in modo speciale, verso chi ha bisogno di aiuto. Questo crea un circolo virtuoso che dal Dio vivente e datore di vita si riversa nel mondo attraverso i cuori e le mani dei suoi figli, orientando l’umanità verso di Lui.

Sono molti gli episodi nei quali emerge con chiarezza nella vita di Zelia e Luigi la bellezza di questa dedizione verso il prossimo – a partire dalle operaie che lavorano nella propria azienda di merletti, trattate come figlie (cf Lettere familiari 29) – perché sono la carne di Cristo, persone che stanno particolarmente a cuore a Dio (cf Evangelii gaudium 24.178). È un’attenzione alla persona tutta intera, al suo corpo e alla sua anima, che diventa giustizia retributiva, condivisione della propria tavola, ricerca di cure e di un letto per il senzatetto, preoccupazione di dare il conforto della vicinanza sensibile di Dio nel momento del trapasso trovando un sacerdote, generosità nell’aiutare economicamente un fratello in difficoltà, piacere nell’essere al servizio della gioia altrui, solidarietà nella sofferenza di chi è colpito da un lutto, visita agli ammalati.

La loro sobrietà non è sciatteria, ma attitudine che contrasta la tendenza del cuore a rinchiudersi nell’avarizia del proprio tempo, delle proprie energie, delle proprie risorse spirituali e materiali. La letizia della povertà che rende ricchi di umanità, si alimenta nell’esperienza di avere la propria ricchezza nell’accogliere la grazia di Cristo e nel poter vivere il suo Vangelo, riconoscendo le proprie debolezze e colpe, ricevendo la misericordia di Dio, per vivere solidali con i fratelli, verso i quali si hanno sentimenti di misericordia: «Mio Dio, quanto è triste una casa senza religione! Come vi appare spaventosa la morte! […] Spero che il buon Dio avrà pietà di questa povera donna; ella è stata così male allevata che è molto scusabile» (Lettere familiari 145); «Prega molto San Giuseppe per il padre della domestica che è gravemente malato, mi rincrescerebbe molto che quel poveretto morisse senza confessarsi» (Lettere familiari 195); «Ho insistito tanto che mio marito si è deciso a vendere una parte dei suoi titoli del Credito Fondiario, con una perdita di milletrecento franchi su undicimila ricavati. Se mio fratello ha bisogno di denaro ne chieda subito e mi dica se occorre vendere il resto» (Lettere familiari 68)

La fonte di una vita familiare santa

Nell’Omelia alla Veglia di preghiera per il Sinodo sulla famiglia celebrata in Piazza San Pietro il 3 ottobre 2015, papa Francesco ha detto: «Per comprendere oggi la famiglia, entriamo nel mistero della Famiglia di Nazareth, nella sua vita nascosta, feriale e comune, com’è quella della maggior parte delle nostre famiglie, con le loro pene e le loro semplici gioie; vita intessuta di serena pazienza nelle contrarietà, di rispetto per la condizione di ciascuno, di quell’umiltà che libera e fiorisce nel servizio; vita di fraternità, che sgorga dal sentirsi parte di un unico corpo. È luogo – la famiglia – di santità evangelica, realizzata nelle condizioni più ordinarie. Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano le radici che permettono di andare lontano. È luogo del discernimento, dove ci si educa a riconoscere il disegno di Dio sulla propria vita e ad abbracciarlo con fiducia. È luogo di gratuità, di presenza discreta, fraterna e solidale, che insegna a uscire da se stessi per accogliere l’altro, per perdonare ed essere perdonati».

Questa descrizione ci dà la misura della contemporaneità della famiglia Martin. Essa mostra la bellezza straordinaria delle cose ordinarie, quando la propria storia viene ricevuta dalle mani di Dio e ci si offre a Lui, mettendosi «nella disposizione di accettare generosamente la volontà di Dio, quale che sia, poiché sarà sempre quello che vi può essere di meglio per noi» (Lettere familiari 204).

La pace interiore, la fiduciosa tenacia nell’assumere positivamente le sfide che la vita ci pone davanti, la capacità di vivere le relazioni con generosità mettendo al centro l’altra persona nella sua unicità, che hanno caratterizzato l’esperienza matrimoniale di Luigi e Zelia e il loro rapporto con i figli, non sono frutto di doni speciali o di esperienze mistiche. Piuttosto, scaturiscono dal prendere sul serio la volontà di Dio mettendosi serenamente in discussione e dal vivere fino in fondo la vita della Chiesa, ricevendo quotidianamente la grazia del sacramento eucaristico e rafforzando il legame con Gesù nell’adorazione del suo amore fedele e costantemente offerto nell’Ostia consacrata, pregando personalmente e come famiglia radunati attorno alla Vergine Maria, partecipando all’attività caritativa della parrocchia con gioiosa disponibilità pur in mezzo a tanti impegni. E in tutto ciò avere sempre tempo di ascoltare le figlie, disposti a correggerle con fermezza e soavità, raccontare loro la vita di Gesù, prendersi cura della loro interiorità facendo spazio a Dio con un atteggiamento di fiducioso abbandono alla sua presenza misteriosa e concreta. Sentirsi guardati con ammirato stupore e rispettati nella propria individualità irripetibile, riconosciuti come un bene incondizionato, anche quando la propria condizione sia fonte di sofferenza, è un patrimonio di benessere e positività impagabile e incrollabile per la persona che lo riceve. È l’esperienza umana che più si avvicina allo sguardo di Dio e che perciò apre la porta del cuore e lo abilita a percorrere le vie della santità, come la storia di questa famiglia dimostra chiaramente.

La ricerca assidua dell’intimità col Signore e con Maria riversata nelle relazioni e nelle attività quotidiane, vissuta esemplarmente da Luigi e Zelia, è il messaggio più prezioso lasciato in eredità alle proprie figlie e a tutti noi. 

Guardando ai coniugi Martin e ai frutti visibili di santità del loro essere un cuore solo e un’anima sola, ci rendiamo meglio conto che, imparando a comunicare, diventiamo «comunità che sa accompagnare, festeggiare e fruttificare», e comprendiamo che «la famiglia più bella, protagonista e non problema, è quella che sa comunicare, partendo dalla testimonianza, la bellezza e la ricchezza del rapporto tra uomo e donna, e di quello tra genitori e figli» (Messaggio del Santo Padre Francesco per la 49a Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, 17 maggio 2015).

In questo modo ogni famiglia diventa evangelizzatrice e si può inserire creativamente nel cammino che la Chiesa sta tracciando, invitandoci a riscoprire la famiglia come soggetto imprescindibile per l’evangelizzazione e scuola di umanità.




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