Spuntano di nuovo i manifesti di Pro Vita. Quando resisteranno stavolta?

Pro Vita & Famiglia ci riprova. A fare che? Ad esprimersi liberamente in un Paese democratico. Questa volta i manifesti parlano di eutanasia. Glielo lasceranno fare o finirà come gli episodi precedenti?

Questa mattina è partita la campagna di sensibilizzazione di Pro Vita & Famiglia sui temi etici divisivi e profondamente polarizzanti. Questa volta al centro dell’attenzione l’eutanasia e nella città di Roma sono riapparsi i manifesti da più parti definiti “choc”. 

I manifesti mostrano una persona visibilmente malata e sofferente accovacciata sul palmo di una mano accogliente, dall’alto invece incombe un pugno chiuso pronto a sopprimerla. Lo slogan: “Non eliminiamo il sofferente, alleviamo la sofferenza”. «Uccidere chi soffre, uccidere chi è anziano o abbandonato, significa perdere l’umanità. Dobbiamo invece restare umani, applicare la legge 38 sulle cure palliative sempre ignorata dal nostro Governo amante della “cultura dello scarto”, e quindi salvaguardare la vita fino al suo termine naturale, aiutando chi soffre anziché eliminarlo come un rifiuto». Questo il commento di Jacopo Coghe vicepresidente della Onlus. 

Un’immagine decisamente forte ma che appartiene allo stile comunicativo di Pro Vita e che in un Paese democratico, dove ci hanno abituati a sentire e a vedere di tutto, forse andrebbe rispettato. Dati i precedenti, mi domando infatti quanto resisteranno questi manifesti prima che qualcuno cominci a strapparsi le vesti e a urlare allo “scandalo!”?

Ci sono già stati episodi che, negli anni passati, hanno visto una vera e propria censura dei manifesti di Pro Vita. A Roma, a Bergamo, ma anche a Trento e a Genova ci si indignò di fronte all’immagine di un embrione e a quella di una donna che aveva mangiato la mela avvelenata con riferimento alla pillola RU486. Dopo il polverone iniziale e i vari atti di vandalismo, ecco giungere l’ordinanza di rimozione forzata che solo a sentirne parlare mi fa sentire il puzzo nauseabondo del famoso “politicamente corretto” dove per corretto intendono che non si può dire ciò che il diktat del pensiero non desidera. Altro che democrazia! Come finirà questa storia? Staremo a vedere…




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Ida Giangrande

Ida Giangrande, 1979, è nata a Palestrina (RM) e attualmente vive a Napoli. Sposata e madre di due figlie, è laureata in Lettere Moderne presso l’Università degli Studi di Napoli, Federico II. Ha iniziato a scrivere per il giornale locale del paese in cui vive e attualmente collabora con la rivista Punto Famiglia. Appassionata di storia, letteratura e teatro, è specializzata in Studi Italianistici e Glottodidattici. Ha pubblicato il romanzo Sangue indiano (Edizioni Il Filo, 2010) e Ti ho visto nel buio (Editrice Punto famiglia, 2014).

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