Chiudono molte scuole materne, motivo? A parte il Covid, la denatalità

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Negli ultimi otto anni le scuole materne non statali, comprese quelle comunali, che hanno cessato di esistere sono 1.301, il 13,3% delle 9.769 attive e funzionanti nel 2012-13. Le ragioni sono da ricercare senza dubbio nella pandemia, ma soprattutto nel calo demografico. In un paese dove non nascono bambini è difficile riempire le scuole. Cosa fare? E se ripartissimo dalla famiglia?

Sono sempre di più le scuole dell’infanzia paritarie costrette a chiudere, lo ha evidenziato il portale Tuttoscuola in una elaborazione dei dati del Ministero dell’Istruzione. Negli ultimi otto anni le scuole materne non statali, comprese quelle comunali, che hanno cessato di esistere sono 1.301, il 13,3% delle 9.769 attive e funzionanti nel 2012-13. Le ragioni sono da ricercare senza dubbio nella pandemia, ma soprattutto nel calo demografico. Sì, perché senza bambini muore anche l’economia e ricadute come questa sono prevedibili.

Sono infatti 170mila i bambini iscritti in meno rispetto agli anni passati, pari a un calo del 27%. Soltanto nell’ultimo anno, si legge nel dossier di Tuttoscuola, «226 scuole dell’infanzia non hanno riaperto, segnando il record negativo di chiusura degli ultimi anni, peggio di quanto registrato nel 2017-18 quando ne erano rimaste chiuse 215 e ancora di più l’anno prima con 223 scuole in meno». A soffrire maggiormente sono le regioni meridionali, che hanno assistito alla chiusura di 820 realtà, «che equivalgono a circa due scuole chiuse ogni tre», specifica Tuttoscuola. Va un po’ meglio al Nord, con la Lombardia che ha contenuto la perdita (95 scuole chiuse per un decremento soltanto del 5,3% rispetto alle 1.779 scuole che aveva nel 2012-13). «Le regioni del Nord Est dal 2012-13 hanno registrato la chiusura di 121 scuole dell’infanzia, pari al 5,6% delle 2.179 scuole funzionanti otto anni prima», si legge ancora nel dossier.

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L’agenda politica tenta di correre ai ripari, ricostituendo una Commissione ministeriale per il sistema integrato 0-6, per arrivare poi alla gestione dei fondi destinati alle paritarie dal Decreto Sostegni bis: 60 milioni di cui, però, soltanto 10 destinati alle scuole dell’infanzia, che pure raccolgono il 75% circa della popolazione scolastica paritaria. Tutte strategie di intervento strutturale, possibile che nessuno pensi ad un intervento culturale? L’assioma è semplice: fino a quando continueremo a sostenere la cultura dell’aborto e a remare contro la famiglia saranno sempre meno i bambini che nasceranno e sempre di più le ragioni che porteranno ad una paralisi dell’economia. Nel nostro Paese sembra che di figli se ne facciano sempre meno e quando “capitano” li buttiamo via. Secondo le stime più recenti gli aborti sono circa 80.000 significa 220 al giorno e più di 9 all’ora. Ovviamente dal calcolo sono esclusi gli “aborti invisibili” cioè quelli farmacologici. Ci meravigliamo se le scuole materne chiudono e il tasso di natalità diminuisce sempre di più?

Invece di mettere a punto complesse strategie politiche e spostamenti di ingenti quantità di denaro, perché non pensare ad incoraggiare i giovani a fare famiglia? Perché non riprendere in mano le famose politiche familiari che, a parte sofferte iniziative (vedi Assegno unico), languono da anni? Perché non affiancare e incoraggiare le mamme lavoratrici accordando loro condizioni di lavoro che permettono di mettere al mondo dei bambini?




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Ida Giangrande

Ida Giangrande, 1979, è nata a Palestrina (RM) e attualmente vive a Napoli. Sposata e madre di due figlie, è laureata in Lettere Moderne presso l’Università degli Studi di Napoli, Federico II. Ha iniziato a scrivere per il giornale locale del paese in cui vive e attualmente collabora con la rivista Punto Famiglia. Appassionata di storia, letteratura e teatro, è specializzata in Studi Italianistici e Glottodidattici. Ha pubblicato il romanzo Sangue indiano (Edizioni Il Filo, 2010) e Ti ho visto nel buio (Editrice Punto famiglia, 2014).

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