Oscar Wilde genio, sregolatezza e… Fede
18 Settembre 2021
Cosa hanno in comune Oscar Wilde e la Fede? Wilde è la conferma che davvero le vie del Signore sono infinite; ma soprattutto che intelligenza e umorismo possono essere grandi alleati della Fede.
«Gesù dice che l’uomo raggiunge la sua perfezione non attraverso ciò che ha e neppure attraverso ciò che fa, ma attraverso ciò che è… Al giovane ricco dice: “Liberati dalle tue proprietà private, che ti impediscono di realizzare la tua perfezione. Sono un laccio che ti trattiene, un peso. È dentro di te non fuori che trovi te stesso”».
Sono parole non di un asceta o di un pauperista evangelico, ma del dandy libertino Oscar Wilde (1854-1900), il geniale scrittore dalla vita dissoluta che pagò con il carcere una delle molte relazioni omosessuali intrattenute nella sua vita (nella cattolica Italia già allora si era più di manica larga): del resto, non disprezzava neppure le donne, una delle quali finì per sposare, diventando padre di due figli.
Irlandese, di famiglia cattolica, si era trasferito a Londra e divenne ben presto uno dei protagonisti culturali della sua epoca, segnata dal particolare clima del Decadentismo, di cui compose una sorta di manifesto con il romanzo Il ritratto di Dorian Gray. In quell’ambito, Wilde si distinse per un irresistibile pulsione all’estetismo: la ricerca del bello, dell’immagine (o del comportamento) a effetto furono per lui un vero abito di vita. Alla ricerca dell’approvazione del pubblico, compose alcune commedie, ancora oggi godibilissime.
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Ma forse il meglio lo si coglie nei suoi famosi aforismi: brevi frasi – disseminate un po’ in tutte le sue opere – che svelano con un colpo di genio alcune verità sorprendenti e profonde. Ecco per esempio come si rivolse a un amico rivisto dopo molti anni: “Non ti avevo riconosciuto: sono molto cambiato”. E in altra occasione: “So resistere a tutto tranne che alle tentazioni”. Oppure, contro l’ostentazione dei buoni sentimenti: “Non bisogna lavare in pubblico i panni… puliti”.
Nel brano sopra riportato, tratto da L’anima dell’uomo sotto il socialismo, Oscar Wilde coglie una verità profonda del messaggio di Cristo: l’invito a concentrarsi sull’essenza delle cose e di se stessi, a liberarsi dalla retorica del possesso e del fare, a non desiderare ciò che non dà la vera felicità. Solo così è possibile trovare ciò che siamo nella verità profonda del nostro cuore.
Nelle stesse pagine Wilde spiega che il possesso determina “sordide preoccupazioni, affanno senza fine in un errore continuo”. Sembra la rappresentazione del mondo di oggi, caratterizzato da un’ansia da cui nessuno è totalmente indenne. Per tener fede alla sua fama, e al titolo dell’opera, Wilde aggiunge che “c’è solo una classe che dà importanza al denaro più dei ricchi: i poveri”. Ma anche questa è una battuta geniale: non è forse vero che oggi abbiamo acquisito una mentalità “da ricchi”? Protesa al consumismo e, perciò, sempre insoddisfatta perché un avaro non è mai soddisfatto; e proprio l’avarizia (anche morale), peccato capitale, è un contrassegno insidioso della nostra età.
Che poi queste cose ci vengano ricordate da un peccatore impenitente come Oscar Wilde, è la conferma che davvero le vie del Signore sono infinite; ma soprattutto che intelligenza e umorismo possono essere grandi alleati della Fede. E a proposito della Fede, battezzato cattolico ma poi cresciuto come protestante, Wilde fece in tempo a pentirsi delle sue dissolutezze, come confessa in una famosa lettera (De profundis, 1897) scritta dal carcere all’ex amante Alfred Douglas, dove tra il resto si legge: “Soprattutto mi rimprovero per la completa depravazione etica a cui ti permisi di trascinarmi”; mentre tre settimane prima di morire dichiarò a un giornale inglese: “Buona parte della mia perversione morale è dovuta al fatto che mio padre non mi permise di diventare cattolico. L’aspetto artistico della Chiesa e la fragranza dei suoi insegnamenti mi avrebbero guarito dalle mie degenerazioni. Ho intenzione di esservi accolto al più presto”.
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