“Se la fede è un’opzione perché non offrirla?”

Oggi un’intervista speciale ad Alessandro: “Ero un tossicodipendente. Stando in ginocchio, da fallito sono diventato un marito; da ragazzo perso, sono diventato un papà; da qualcuno che prendeva e consumava, sono diventato qualcuno che desiderava donare. Come è possibile? Chiedetelo a Gesù”.

Non mi sono ancora abituata (e spero di non farlo mai) ad ascoltare storie di resurrezione. Storie in cui dopo la morte arriva la vita. Di recente è stato Alessandro, cantante del gruppo musicale “Reale”, a ricordarmi che nessuno è senza speranza, nessuno è spacciato per sempre. Tutti possono gridare al Cielo e lasciarsi sollevare dalla polvere… Usciti dal tunnel della droga grazie all’amore di una suora, Ale e sua moglie dal 2009 cercano di aiutare i giovani a puntare più in alto…

Alessandro, ci sono tre vostre canzoni che mi colpiscono moltissimo: “Luce”, “Alla porta del Cielo”, “Fino a dove può arrivare”. Scrivete dei testi che sono delle vere e proprie preghiere… ma come vi escono?

Sai, non ho ancora capito come nascono le canzoni. Non c’è una tecnica, è veramente un dono. Ho sempre scritto canzoni, mi dedico alla musica sin da quando avevo 11 anni. Solo che in passato la vivevo in modo autodistruttivo, era uno sfogo, ma mi sfasava. Ora per me la musica è davvero un dono da regalare. Sono contento che chiami le nostre canzoni “preghiere”, perché è questo il loro scopo. Descriviamo la fatica del rapporto dell’uomo con Dio, interpretiamo questo anelito verso il Cielo. È bello se altri ci si ritrovano… è bello se non parliamo solo per noi.

È mai capitato che qualcuno vi dicesse di essersi avvicinato alle fede grazie a voi? 

È difficile fare christian music in Italia. Se andiamo avanti è proprio perché riceviamo conferme che facciamo del bene a qualcuno… Ricordo ancora la lettera di una ragazza. Stava andando a suicidarsi, quando Youtube le ha fatto partire, per caso, “Alla porta del cielo”. Ci ha ripensato, è tornata indietro. Mesi dopo ci scrisse che ci doveva la vita. Ovviamente io so che la vita non la deve a noi, noi siamo solo strumenti, ma sono segni che Dio opera anche servendosi di noi. Una volta una ragazza ci scrisse che era in cura per l’anoressia e tutto il percorso terapeutico era stato accompagnato dalle nostre canzoni. Una mamma, poi, mi raccontò che aveva un figlio autistico e che nei momenti di crisi non si calmava in alcun modo se non ascoltando i nostri brani. A volte fatico a lasciar andare il sogno del successo personale, mi piacerebbe suonare in grandi palchi, arrivare a New York, ma poi penso a questi messaggi e capisco che far dono della musica a qualcuno è molto più bello che avere visibilità o soldi. Il fatto di essere sempre sul filo del rasoio, di dover contare sulla Provvidenza per sopravvivere, mi ricorda ogni giorno che quello che facciamo è “cosa sua” e che tutto questo continuerà finché Lui vorrà. Madre Elvira mi disse una cosa, quando iniziammo: “Ricordati che ogni applauso che ricevi è per la sua gloria”. Mi aiuta molto anche una frase di Madre Teresa di Calcutta: “Se devo parlare con il presidente degli Stati Uniti, va bene. Se devo pulire i bagni, va bene lo stesso. L’importante è che ci sia Gesù con me”.   

Leggi anche: “Il tradimento? Attenzione a banalizzarlo… non aiuta ma aggrava”

Hai citato madre Elvira. So che avete una storia dolorosa e travagliata: a 17 anni eri tossicodipendente e sei entrato in contatto con la Comunità Cenacolo fondata da questa suora… come sei arrivato lì?

Sono arrivato lì per necessità. Avevo provato tutto, ma i “piaceri” della carne, vissuti all’estremo, non mi davano alcuna gioia. Anzi, ero disperato. Sia io che mia moglie eravamo tossicodipendenti e sentivamo il bisogno di salvare la nostra vita. La Provvidenza ha messo sulla nostra strada la Comunità Cenacolo. È stata una psicologa, appena convertita, a parlarmi di suor Elvira… 

Ti sei convertito appena l’hai incontrata?

No, assolutamente no. Ho ascoltato la sua testimonianza la prima volta a Medjugorje, durante un pellegrinaggio a cui ero stato invitato. Sono tornato a casa più arrabbiato di prima, perchè avevo capito che si poteva vivere diversamente ma io non sapevo da dove iniziare. Stavo addirittura pensando a come farla finita… Poi mi sono deciso a entrare in comunità, ma quasi per sfida, quasi dovesse essere un tassello in più del mio “curriculum malavitoso”. Non mi ero ancora arreso…

E invece?

Dio ha ascoltato il mio urlo. Mi è venuto incontro nella persona concreta di suor Elvira. I suoi occhi mi parlavano di una bellezza mai trovata da nessuna parte. Aveva gioia e libertà dipinte nel volto. Lei mi ha detto: “La tua vita vale. Tu cerchi felicità nei posti sbagliati. Hai sognato troppo in piccolo. Quello che hai cercato fino ad ora ha un nome e un volto: si chiama Gesù Cristo”. Il modo in cui lei mi parlava di quel ragazzo di 33 anni mi ha fatto venire voglia di conoscerlo… e ho scoperto che quel suo sposo era stato il più grande rivoluzionario della storia… Il mio cambiamento è stato lento, graduale. E posso dire che è stato l’amore della comunità a trasformarmi. L’essere accolto esattamente così come ero: con le mie falsità, con le mie reticenze. L’essere voluto bene come ero.

Qualcuno dice che la fede è un fatto privato e che ognuno dovrebbe tenerla per sé. Voi attraverso la musica cercate però di condividere la fede con altri… cosa rispondete a chi critica questa scelta?

Che se suor Elvira si fosse tenuta la fede per lei, io sarei morto nel bagno di una stazione. Non pretendo niente da nessuno, testimonio solo ciò che ho ricevuto. Certo la fede è un fatto personale e non va imposta a nessuno, ma se può essere un’opzione, perché non offrirla? Io non ti dico di credere per forza, ti racconto che effetti ha avuto per me abbracciare il Vangelo. Stando in ginocchio, da fallito sono diventato un marito; da ragazzo perso, sono diventato un papà; da qualcuno che prendeva e consumava, sono diventato qualcuno che desiderava donare… Mi sento come il cieco nato del Vangelo di Giovanni che prima non ci vedeva, poi è arrivato Gesù e adesso ci vedo. Come è possibile? Chiedetelo a Lui. Io vi dico solo ciò che ha fatto per me.




Aiutaci a continuare la nostra missione: contagiare la famiglia della buona notizia

Cari lettori di Punto Famiglia,
stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).

CONTINUA A LEGGERE



Cecilia Galatolo

Cecilia Galatolo, nata ad Ancona il 17 aprile 1992, è sposata e madre di due bambini. Collabora con l'editore Mimep Docete. È autrice di vari libri, tra cui "Sei nato originale non vivere da fotocopia" (dedicato al Beato Carlo Acutis). In particolare, si occupa di raccontare attraverso dei romanzi le storie dei santi. L'ultimo è "Amando scoprirai la tua strada", in cui emerge la storia della futura beata Sandra Sabattini. Ricercatrice per il gruppo di ricerca internazionale Family and Media, collabora anche con il settimanale della Diocesi di Jesi, col portale Korazym e Radio Giovani Arcobaleno. Attualmente cura per Punto Famiglia una rubrica sulla sessualità innestata nella vocazione cristiana del matrimonio.

ANNUNCIO


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Per commentare bisogna accettare l'informativa sulla privacy.