di don Silvio Longobardi
Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 19,23-30)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «In verità io vi dico: difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli. Ve lo ripeto: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio».
A queste parole i discepoli rimasero molto stupiti e dicevano: «Allora, chi può essere salvato?». Gesù li guardò e disse: «Questo è impossibile agli uomini, ma a Dio tutto è possibile».
Allora Pietro gli rispose: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne avremo?». E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: voi che mi avete seguito, quando il Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, alla rigenerazione del mondo, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù d’Israele. Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna. Molti dei primi saranno ultimi e molti degli ultimi saranno primi».
Il commento
“In verità io vi dico: difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli” (19,23). Questa parola sorprende i discepoli, l’evangelista sottolinea che essi sono molto stupiti, e forse anche sconcertati (19,25). Non mettono in dubbio l’autorità del Maestro ma faticano a comprendere le sue parole. Non dimentichiamo che la tradizione d’Israele invita a considerare le ricchezze come un segno della benedizione di Dio, a partire da Abramo presentato come un uomo “molto ricco in bestiame, argento e oro” (Gen 13,2). Gesù, invece, afferma il contrario e cioè che le ricchezze sono un inganno e diventano un ostacolo nel cammino della fede. Anzi, con l’immagine del cammello e della cruna di un ago, afferma che un ricco non può entrare nel regno di Dio (19,24).
I discepoli sono stupiti. Noi, invece, non lo siamo affatto. Questa Parola non rappresenta per noi una sfida audace, una proposta che richiede di essere tradotta un corrispondente stile di vita. La consideriamo piuttosto come una meta ideale, le assegniamo un valore simbolico. A conti fatti, non permettiamo più al Vangelo di mettere in crisi le nostre convinzioni. Di fatto, siamo culturalmente prigionieri di quella che Giovanni Paolo II chiamava “la civiltà delle cose”. Se vogliamo metterci in ascolto di Dio, dobbiamo accogliere questo insegnamento come una provocazione che obbliga a modificare scelte e comportamenti abituali. Non si tratta di avere o non avere, la povertà evangelica non coincide con l’assenza dei beni essenziali. È necessario partire da un’altra domanda: “Che cosa conta per noi nella vita? Ci interessa davvero manifestare il Regno di Dio?”. Se questa è la cornice ideale nella quale cerchiamo di scrivere la nostra storia, non sarà difficile comprendere quali sono le scelte prioritarie. Contemplando Colui che “da ricco che era, si è fatto povero” (2 Cor 8,9), oggi chiediamo la grazia di vivere con maggiore sobrietà per imparare a condividere il pane della vita con coloro che sono privi dei beni essenziali. Una scelta che costa fatica ma rallegra il cuore di Dio.
Briciole di Vangelo
di don Silvio Longobardi
s.longobardi@puntofamiglia.net
“Tutti da Te aspettano che tu dia loro il cibo in tempo opportuno”, dice il salmista. Il buon Dio non fa mancare il pane ai suoi figli. La Parola accompagna e sostiene il cammino della Chiesa, dona luce e forza a coloro che cercano la verità, indica la via della fedeltà. Ogni giorno risuona questa Parola. Ho voluto raccogliere qualche briciola di questo banchetto che rallegra il cuore per condividere con i fratelli la gioia della fede e la speranza del Vangelo.
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