“Il vivere è Cristo e il morire un guadagno” (Fil 1,21). Paolo parla alla comunità di Filippi ed esprime i suoi sentimenti più intimi. Parla di sé e il suo sguardo è rivolto a Cristo. È Lui il predicato verbale della sua vita e della sua morte. Ho pensato a questa pagina biblica mentre ieri apprendevo della notizia della morte di padre Olivier Maire, 60 anni, Provinciale superiore dei Missionari monfortiani, assassinato a Saint-Laurent-sur-Sèvre da Emmanuel Abayisenga, 40 anni, rifugiato ruandese, arrestato lo scorso luglio per aver appiccato il fuoco alla cattedrale dei Santi Pietro e Paolo di Nantes.
L’uomo era ospite della comunità dove risiedeva padre Olivier da alcuni mesi, sotto sorveglianza giudiziaria. L’evento ci riporta a cinque anni fa. Sempre in Francia. Era il 26 luglio del 2016. Alla fine della Messa padre Jacques Hamel venne sgozzato da due uomini che avevano giurato fedeltà allo Stato islamico. Prima di essere ucciso, il sacerdote fu costretto ad inginocchiarsi. Le sue ultime parole furono: “Vattene, Satana! Lontano da me, Satana”.
Al di là della questione sociale che pure andrebbe affrontata della convivenza tra diverse confessioni, la testimonianza di questi sacerdoti è un grande monito per i cristiani e per i religiosi e i presbiteri in particolare. Se mi posso permettere, è un’occasione di una sana e profonda verifica della propria vita e del modo in cui si vive il proprio ministero sacerdotale. È necessario per ogni cristiano e soprattutto per i religiosi e per i presbiteri, la testimonianza della vita: essere con il Cristo. Ma concretamente cosa significa vivere per Lui, morire per il Vangelo?
La testimonianza di questi due sacerdoti è come una luce posta sul moggio del nostro vivere in occidente. In alte culture e in altre realtà lo comprendiamo meglio cosa significa professare la fede ma in Occidente la vita consacrata assume sempre di più i contorni del pensiero di questo mondo. Non voglio generalizzare sia chiaro. È molto triste vedere presbiteri trasformati in direttori di aziende o fare baldoria con i giovani fino a tardi abbandonando la camicia da prete indossata fino a qualche ora prima. Non è educativo vedere i sacerdoti prima della Messa inviare messaggini su WhatsApp alle persone o dopo la Celebrazione cacciare fuori chi viene per parlare perché si hanno altri impegni mondani da rispettare. Comprendo purtroppo che spesso la solitudine e la mancanza di affetti generano modi distorti di condurre la propria vita. E che la solitudine se non è ben vissuta nella preghiera e nell’ascolto degenera in ricerca di altri palliativi.
Nella Chiesa c’è un po’ un paradosso da sanare. Gli sposi non vengono adeguatamente preparati a vivere la vocazione al matrimonio perché il tempo del fidanzamento anche da un punto di vista pastorale è completamente ignorato ed è per questo che non hanno poi gli strumenti adeguati a vivere le crisi. Al contrario i presbiteri nel tempo del loro fidanzamento – seminario sono seguiti tantissimo con padri spirituali, animatori, professori ma poi dopo l’ordinazione sono un po’ abbandonati a se stessi e spesso si sentono disorientati perché forse l’accompagnamento si è solo concentrato sugli aspetti intellettuali e poco affettivi e spirituali. Il Vescovo cerca sempre di seguire attentamente ma…
Sono solo una sposa e una madre, sorella e amica di molti presbiteri. Non voglio giudicare nessuno. Vorrei solo raccogliere un fiore davanti al sangue di padre Olivier Marie e consegnarlo a Dio come una preghiera perché renda la nostra fede davvero un cammino di appartenenza in anima e corpo a Dio.
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stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).
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