24 giugno 2021
24 Giugno 2021
I miei amici sacerdoti | 24 giugno 2021
Le due vocazioni, quella all’Ordine e quella al Matrimonio (entrambi lettera maiuscola), hanno specificità e caratteristiche proprie che le rendono uniche e speciali davanti a Dio e per la Chiesa. Ed è bene custodire la diversità, di chiamata e di ruoli senza scimmiottarsi vicendevolmente, né usarsi reciprocamente. La relazione spesso è vissuta solo sotto il profilo funzionale su entrambi i fronti. Il sacerdote è inteso come erogatore di servizi: deputato alla preparazione ai sacramenti in generale, funzionario del sacro, riferimento nei momenti di crisi in una relazione a senso unico, dove noi sposi attingiamo a piene mani ciò che serve per la nostra vita. Dall’altro lato anche i presbiteri “utilizzano” gli sposi in parrocchia solo per portare avanti alcune attività pastorali e dunque sono funzionali al suo progetto.
Questa prassi che si realizza molto frequentemente in ambito pastorale non corrisponde alla riflessione teologica meravigliosa e ricca che la Chiesa da molti anni e grazie anche all’apporto di papi come Paolo VI e Giovanni Paolo II ha elaborato. Ed è un vero peccato, perché in un certo qual modo ci sfugge la bellezza del vero volto della Chiesa. Non approfondendo e non traducendo in prassi pastorale questa relazione tra sacerdoti e sposi perdiamo qualcosa di importante e fondamentale nella nostra identità e missione.
Come afferma don Renzo Bonetti: “solo insieme, in modo nuziale, cioè con identità e missione chiaramente distinte ma in profonda comunione, possiamo veramente essere preti e sposi secondo il progetto di Dio”. Detto da chi lavora ogni giorno e da anni per capire come si declina la complementarità delle due diverse vocazioni, credo che sia il caso di dare fiducia.
Chiamo a testimoniare anche san Giovanni Paolo II. Molti forse non conosceranno questo particolare che alcuni anni fa il cardinale Ersilio Tonini ci ha rivelato e cioè che i paramenti liturgici che Karol Wojtyla utilizzò nella Prima Messa, appartenevano al vestito da sposa di sua madre. “In quell’abito si nascondevano due sacramenti: il matrimonio e l’ordinazione sacerdotale”. Non vi sembra una bella e suggestiva immagine di quella relazione reciproca fra le due vocazioni?
In che modo gli sposi e i presbiteri sono chiamati a vivere la loro relazione e a rivelare il vero volto della Chiesa? Nel Catechismo della Chiesa Cattolica leggiamo: “l’Ordine e il Matrimonio, sono ordinati alla salvezza altrui. Se contribuiscono anche alla salvezza personale, questo avviene attraverso il servizio degli altri. Essi conferiscono una missione particolare nella Chiesa e servono all’edificazione del popolo di Dio “. (1534)
Ci ritroviamo non davanti all’alternativa di quale sia la vocazione più importante, l’Ordine o il Matrimonio ma qui la Chiesa afferma chiaramente che solo insieme edificano il popolo di Dio ed entrambi sono chiamati a svolgere una missione particolare nella Chiesa. È chiaro che tutto questo non è così evidente. Si fa molta fatica a comprenderlo.
Gli esperti del campo, tra cui don Renzo Bonetti che ho già citato, don Silvio Longobardi che ha fondato il movimento ecclesiale Fraternità di Emmaus e don Carlo Rocchetta con la Casa della Tenerezza, senza citare il grande Magistero della Chiesa, mi sembrano tutti concordi nel ritenere che il problema principale sia una grande distanza di comprensione circa la propria vocazione e la grazia che dal sacramento ne scaturisce. In parole povere gli sposi non sono formati a vivere in pienezza la grazia della loro vocazione, non c’è una evidente e permanente preparazione durante il tempo del fidanzamento e manca una proposta di fede specifica, fondata sul sacramento del matrimonio, dall’altra parte i parroci spesso ignorano che nel loro territorio ci sono tante piccole chiese domestiche che necessitano di essere formate, coinvolte e mandate sia nell’evangelizzazione che nella carità a partire dall’alleanza coniugale.
Siamo troppo fermi nella palude della collaborazione pastorale che è poca cosa rispetto al progetto di Dio. Inoltre, si è poco attenti nel coinvolgimento degli sposi. Non sempre emerge il tratto del matrimonio e della coniugalità, chiamando solo uno della coppia a svolgere un ministero in quanto laico, magari formato, ma non lo si aiuta in questo modo a vivere quella specifica attività come sposo e a partire dalla vocazione al Matrimonio.
Come don Silvio Longobardi ricorda: “Nella Chiesa i presbiteri sono immagine di Cristo Sposo, da Lui ricevono l’autorità, impegnandosi ad esercitarla in suo nome e secondo la sua forma, che è quella del servo che dona la vita. Gli sposi, invece, sono immagine della Chiesa Sposa, immagine della comunità dei battezzati che si raduna attorno a Cristo. In quanto icona di Cristo, i presbiteri sono il segno di ciò che dura per sempre; gli sposi, invece, portano nella carne ciò che finisce. Ma tutti, sia pure in modo diverso, riflettono lo stesso mistero del Dio Uno e Trino”.
Si necessita dunque un cambiamento di mentalità che rimette al centro la grazia dei due sacramenti, una comunione che sia alla base dell’agire pastorale, un’amicizia che sia consolazione gli uni per gli altri. In poche parole, che ci faccia venire la voglia di farci santi, per mostrare la bellezza di costruire quell’unico edificio spirituale sulla roccia, sulla pietra angolare che è Cristo. Vi dirò che pensando ai miei amici sacerdoti, vedo tutti i loro limiti e i difetti. E penso che anche loro guardando me possano dire lo stesso. Ma ci consola sapere che insieme stiamo costruendo il Regno di Dio. Insieme, non ognuno a provvedere al suo orticello. Insieme per rendere più bella la Chiesa.
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