21 giugno 2021

21 Giugno 2021

Formare a Scuola i futuri imprenditori? | 21 giugno 2021

La Scuola italiana chiude o sta per chiudere i battenti di un altro anno scolastico. Sui social i maturati festeggiano e brindano insieme ai genitori davanti agli Istituti. Un anno ancora sotto l’egemonia del virus che purtroppo ai giovani studenti ha tolto molto e agli insegnanti ha regalato estenuanti ore di virtual class.

Il tema scuola resta per me una delle priorità nel percorso di riflessione sul sistema educativo. Da quello familiare a quello sociale, passando anche per quello ecclesiale che avviene nelle facoltà teologiche, ciò che riguarda la formazione degli studenti dovrebbe mettere in campo più energie e diversi registri per cercare di dare risposte adeguate ad una proposta integrale di crescita della persona.

C’è chi avanza delle ipotesi. Come Daniele Manni, docente di informatica dell’Istituto Galilei-Costa-Scarambone di Lecce, premiato con il Global Teacher Award 2020 e nominato docente dell’anno 2020 da Your Edu Acrtion. In una lunga lettera, al presidente del Consiglio Mario Draghi e al ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi, lancia una proposta di scuola che “valorizza, incentiva e accelera gli studenti meritevoli e impegnati”. In che modo? 

Secondo Manni “il sistema scolastico attuale è perfettamente tarato per creare dipendenti e professionisti, mentre è carente, se non del tutto latitante, nel far crescere un imprenditore”. “Una buona e sana ‘educazione all’imprenditorialità’ a partire dagli 11 anni – dice il docente – non può che fare del bene, ai giovani e al Paese”.

Questo fondamentalmente il succo del suo pensiero che in parte condivido perché nella linea di pensiero al centro c’è lo studente e le sue capacità da valorizzare. Ma che il tutto deve essere come dire orientato all’imprenditoria, mi sembra l’ennesima miopia di una scuola che tende a trasmettere un modello educativo tutto incentrato sulla realizzazione professionale, un modello di stampo capitalistico e certamente non incentrato sulla persona. In questo modo la Scuola disattende le sue funzioni educative, anzi avalla un riduzionismo in campo formativo che mira a formare ottimi imprenditori ma non adulti formati sotto il profilo umano, valoriale e relazionale.

È chiaro che non mi aspetto tutto dalla Scuola. La formazione di un bambino e di un giovane poi dipende dall’intervento sincronico di tutte le agenzie educative, famiglia, parrocchia, associazioni sportive e scuola. Ma alla luce di questa proposta e considerato il fatto che con il ddl Zan si tenta di introdurre un nuovo concetto antropologico di identità liquida tutto incentrato sull’emotività, mi preoccupa molto il futuro dei nostri figli.

Educare non significa «produrre» ottimi imprenditori o manager di successo. Questo tipo di educazione è incentrato sulla prestazione. E la prestazione genera ansia, riduce la capacità relazionale, chiede competizioni in cui si schiaccia l’altro. educare significa prendersi cura della persona in un sistema relazionale di amore e di gratuità. Una scuola basata sulle prestazioni più che sulle relazioni è infruttuosa, perché l’apprendimento non è addestramento alla performance ma assunzione autonoma del sapere consolidato per affrontare qualsiasi prova. Tutto questo avviene in un sistema di relazioni faticose. È faticoso mettersi in gioco sia per un insegnante che per un genitore. Sarà che sfuggiamo proprio a questa fatica?


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