Tragedia del Mottarone

Quei morti sul Mottarone, corpi inermi come quello di Gesù in croce: perché tanto dolore?

di Cecilia Galatolo

Perché il Signore non ha ispirato nel cuore ad ognuna di quelle persone di non salire su quella funivia? Confessiamolo, ce lo siamo chiesti un po’ tutti in questi giorni. Io stessa me lo sono domandata. La morte annienta, segna la fine dei giochi, ma nello stesso istante in cui tutto svanisce… inizia la vita definitiva. È questa la fede che proclamiamo.

Pensando ai soccorritori che, domenica 23 maggio, hanno dovuto liberare dalle lamiere della funivia caduta sul Mottarone corpi inermi di persone innocenti (che si trovavano lì solo per vivere un giorno di relax con la propria famiglia) mi figuro degli sguardi attoniti e sconcertati, simili a quelli di chi ha visto morire Gesù in modo violentissimo e poi lo ha deposto dalla Croce. Tanti, vedendolo dilaniato in quel modo, avranno creduto che le sue “promesse di vita eterna” fossero balle. Uno che diceva di essere figlio di Dio, poteva morire così? 

“Se ne è andato come tutti, anzi, nel modo peggiore possibile, proprio a causa di quei valori – l’amore, il perdono, la non violenza – che, diceva, dovevano essere motivo di gioia”. Abbandonato anche dal Padre Celeste, al quale si riferiva ogni giorno. Il fallimento dei fallimenti, insomma. La morte che segna la fine dei giochi. In un attimo, tutto svanisce. Anche sul Mottarone deve essere sembrato così.   

Avete mai pensato ai discepoli sconvolti? Seriamente, dico. Avevano visto tanti prodigi. Non potevano dimenticarli. Avevano creduto che Gesù era il Messia. Proprio per questo, la croce li scandalizza, fa barcollare tutte le loro certezze: che controsenso era mai quello? Che fine era mai quella, dopo una storia fantastica come quella che avevano vissuto accanto a Cristo? Altri, probabilmente, meno intimi degli apostoli, traevano conclusioni più affrettate: se Gesù fosse stato davvero Dio, non avrebbe mai potuto subire un’ingiustizia tanto clamorosa. Sarebbe piuttosto sceso dalla Croce, disintegrando i chiodi che lo tenevano appeso al legno e gridando: “Mi credete, adesso?”. Ammettiamolo, pensieri simili ci assalgono anche davanti a tragedie come quelle del Mottarone. Se Dio esistesse e ci amasse, non ci “guarderebbe inerme” morire accartocciati in una cabina, mentre siamo solo usciti per andare a fare una gita. Penso, senza presunzione, di interpretare il pensiero di molti davanti a questo tipo di stragi. 

Magari noi stessi abbiamo visto dei miracoli in altre occasioni, abbiamo visto Dio agire in tante vite (io, che di lavoro racconto storie di santi, non posso più negare la potenza di Dio). Eppure, ammetto che in questi giorni, immedesimandomi nelle famiglie coinvolte, ho gridato a Dio: “Perché? Perché non hai ispirato nel cuore ad ognuna di quelle persone di non salire su quella funivia?”. E da lì, è stato un susseguirsi: “Perché le guerre, le catastrofi, le malattie, i lutti, la violenza sui bambini? Perché, Gesù, non ritorni per aprirci il tuo regno una volta per tutte?”. Tante volte urlo a Dio nel silenzio, quando sono in adorazione, a Messa, mentre recito il Rosario. Lo faccio ogni volta che sento qualche notizia che mi toglie il respiro. E non me ne vergogno, non mi sento meno cristiana per questo. Non c’è nulla di male a piangere sotto alle croci di questo mondo. Maria è stata la prima a farlo. Il dolore si piange, non si ignora.

E poi Dio si rattrista della nostra superbia, non della nostra umiltà. Non lo infastidiscono i nostri “perché?” urlati nel dolore. Anzi, ho la sensazione che il Signore sia felice quando, non capendo qualcosa, cerchiamo in Lui delle risposte. D’altronde, come potremmo mai far quadrare da soli un puzzle tanto complesso come il mistero della vita umana, dell’esistenza del male, della morte, dell’eternità? Pur credendo nella vita ultraterrena, pur sapendo che il male viene da Satana e non da Dio, che la vita ha valore anche se dura 9 settimane (come quella di mio figlio Andrea, morto nel grembo) in questi giorni sono stata presa dallo sconforto e, limitata dalle mie categorie umane, ho iniziato a dire: “Che senso ha dare il massimo, vivere in modo onesto, cercare la volontà di Dio sulla propria vita se poi tutto può finire così, all’improvviso, nella prima domenica di sole? Perché far progetti, investire tanto sui propri talenti, sul costruire una famiglia se poi si può precipitare al suolo in 14 secondi a 23, 27, 29, 30 anni?”

Pensieri simili li avranno avuti pure i discepoli, rinchiusi nel cenacolo. Non erano lì, inermi, solo perché privi di “coraggio”: anzitutto erano privi di “speranza”. “A che pro uscire, adesso, fare quello che facevamo prima, se il nostro maestro è morto come un impostore? Se la vita finisce in questo modo scandaloso?”. Ma proprio mentre i discepoli si domandavano queste cose appare loro il Signore Risorto. La morte pesa, annienta, distrugge: sembra cancellare tutto quello che c’è stato prima. Ma il nichilismo è una bugia, smascherata da Gesù che risorge. I nostri pensieri cupi non farebbero una piega, se non fosse che la morte è stata sconfitta.

Non è scomparsa dalla terra, ancora (san Paolo dice che sarà l’ultimo nemico ad essere sconfitto…), ma il suo potere è stato disinnescato dalla Resurrezione. Rivediamo la fine terrena di Cristo alla luce di ciò che è successo dopo: fissando lo sguardo sul sepolcro spalancato. L’umiliazione più grande della sua vita ha permesso a Gesù di compiere il miracolo più grande che avesse mai fatto fino a quel momento: riprendersi la sua stessa vita; da vivo, tornare dai suoi amici e donare loro pace. 3 anni fa mia madre è morta di cancro a 51 anni. Io ne avevo 26, avevo un figlio di un anno e mezzo ed ero al nono mese della mia seconda gravidanza. 

Una situazione che, se me l’avessero prospettata anche solo due mesi prima, mi avrebbe fatto letteralmente uscire di testa. Mi commuovo, invece, se ripenso al giorno del funerale, quando ho ringraziato tutti per le preghiere, perché non avevano fatto guarire mamma, ma avevano aperto la strada a un altro miracolo: donare a me e alla mia famiglia una profonda letizia nel cuore. Ricordo ancora di aver scritto a una amica che “sorretta dalle preghiere mi è sembrato che fosse un altro a pedalare la mia bicicletta”. A salire il mio calvario.

Mi hanno detto che ho affrontato quei giorni con forza. Mi hanno detto che sono una persona forte. Non lo sono: sono molto più debole di altri. Per questo di fronte al dolore e alla morte io chiedo allo Spirito Consolatore di venire in mio soccorso.

Chiara Amirante, fondatrice di Nuovi Orizzonti, qualche giorno fa ha pubblicato un video in cui spiegava che lo Spirito Santo ti consola dove nessun uomo può. Ci sono dolori davanti ai quali nessun ragionamento umano ti può consolare. E io posso testimoniare che è proprio così. Non so perché Gesù non ha ispirato quelle persone a rifiutare la corsa sulla funivia. Non so perché sono morti proprio loro e non quelli che erano saliti un’ora prima. Non so perché c’erano quelle famiglie e non io con i miei figli, lì. Come non so perché muoiono bambini in pancia e ci sono anziani che superano i 100 anni. Non so perchè a volte Dio non compie i miracoli che vorremmo. So, però, che quel “niente apparente” che resta di fronte alla morte, in realtà è solo una tentazione del demonio: lui meglio di noi sa che il momento stesso in cui il corpo si spegne corrisponde all’istante in cui inizia la vita definitiva. Quella in cui la morte non esiste più.




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