CORRISPONDENZA FAMILIARE

di don Silvio Longobardi

Quando un figlio muore. Il dolore redento

31 Maggio 2021

La liturgia della Visitazione ci fa entrare in una casa dove due mamme cantano la loro fede, insieme ai bambini che portano in grembo. Hanno accolto la maternità come un dono speciale di Dio e sanno che i loro figli sono chiamati ad accendere una luce. Ci sono anche case dove la maternità è tutta avvolta nel dolore a causa della morte di un figlio. A queste mamme, a questi genitori, voglio dedicare la lettera che ho recentemente scritto ad una coppia di amici che ha vissuto questo dramma.

Cari Mimmo e Gerardina, 

il dramma si è consumato in poche ore, la tempesta è arrivata all’improvviso ed ha spazzato via ogni cosa. Anche la fede trema, come la fiamma di una candela agitata dal vento. Come i discepoli, avete seguito Gesù nei giorni della passione, lo avete visto inchiodato alla croce, con infinita tristezza lo avete deposto nel sepolcro. Tutto sembra finito. I sogni di una vita vengono soffocati sul nascere. È scesa la notte. Le tenebre fanno paura. Teresa di Lisieux vive con incredibile forza la sua personale sofferenza ma, quando parla agli altri, li incoraggia e manifesta tutta la compassione di Dio: 

“Quando ci chiede il sacrificio di tutto quello che vi è di più caro in questo mondo, è impossibile, a meno di una grazia del tutto particolare, non gridare come Lui nel giardino dell’agonia: «Padre mio, che si allontani da me questo calice… tuttavia che sia fatta la tua Volontà e non la mia». È molto consolante pensare che Gesù, il Dio Forte, ha conosciuto le nostre debolezze, ha tremato alla vista del calice amaro, quel calice che, un tempo, aveva così ardentemente desiderato bere” (LT 213). 

Anche Gesù ha tremato dinanzi alla Passione. Non desiderava la croce, l’ha vissuta in obbedienza al Padre per testimoniare che l’amore è più forte del male e dell’ingiustizia. La sofferenza non salva, è l’amore che salva. La croce di Gesù è il paradigma di ogni altra croce, la luce che rischiara ogni altra sofferenza. 

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Non è facile per me scrivere queste parole, fino ad oggi sono stato in silenzio ma ho consegnato al Signore il vostro dolore. E ho chiesto agli amici che sono con me in Burkina di fare altrettanto. Oggi è per voi il giorno del sabato santo, il giorno in cui il silenzio delle voci e degli affetti fa sgorgare tante domande che restano senza risposta. Il giorno in cui cerchiamo di guardare oltre il muro della morte per scorgere, sia pure da lontano, i raggi della luce. Il giorno in cui il dolore per l’improvvisa assenza ci costringe a far memoria del passato, alla ricerca di eventi, piccoli e grandi, che hanno segnato la vita affettiva. 

Il dolore è uno dei pilastri dell’umana esistenza. Dal modo con cui viviamo questa esperienza dipende tutto il resto. Ci sono quelli che si fermano ai piedi della croce e quelli che sanno guardare oltre. Vi sono quelli che si lasciano fermare dalla sofferenza e quelli che si lasciano formare. Sono certo che voi appartenete alla seconda categoria ma so anche che da soli non potete attraversare il mare in tempesta, avete bisogno di una barca più sicura e solida, quella di una comunità di amici che vive la fede. 

Il dolore scava nell’intimo e lascia un vuoto. Sta a noi riempirlo di amarezza o di amore. Chi crede soffre, come tutti, ma non rimane schiacciato da dolore, nel fondo del cuore conserva la pace. La fede annuncia che la croce è sorgente di grazia. Chi crede attende di capire. Se la croce non s’incontra con la fede rimane incomprensibile, anzi appare come un insulto o una disgrazia. 

Il dolore è la grande domanda posta al centro della storia, personale e collettiva. 

Il dolore redento è la grande risposta che Dio dona all’umanità. 

La fede non impedisce al dolore di farci visita e, in alcuni momenti, di avvolgere i pensieri e nascondere la luce. È una reazione comprensibile, la nostra umanità non è in grado di sopportare un dolore così grande. La fede ci chiede però di non abbracciare il dolore fino al punto da soffocare la speranza e la gioia. Per non restare schiacciati, consegnate a Dio la sofferenza perché Lui possa trasfigurarla e vi aiuti a passare dalla croce alla risurrezione. Il dolore redento feconda la terra, mette nel cuore desideri di eternità e si trasforma in carità verso il prossimo. 

Vi consegno le parole del Vangelo che oggi proclamiamo: “Non sia turbato il vostro cuore”. Dinanzi agli eventi dolorosi che stanno per accadere, Gesù chiede ai discepoli di coltivare la fiducia. Non chiede di capire ma di confidare in Dio. “Tutto concorre al bene”, scrive l’apostolo Paolo. Quante volte lo abbiamo detto. Dobbiamo dirlo anche oggi. Un bene che non si misura con le nostre attese, anche quelle più legittime. 

In questi giorni non siete mai stati soli, il buon Dio ha inviato tanti angeli. Prego perché questa presenza discreta continui ad accompagnare i vostri passi. Spero di incontrarvi quanto prima non appena ritorno in Italia. Maria, Vergine fedele, prega per noi.




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Silvio Longobardi

Silvio Longobardi, presbitero della Diocesi di Nocera Inferiore-Sarno, è l’ispiratore del movimento ecclesiale Fraternità di Emmaus. Esperto di pastorale familiare, da più di trent’anni accompagna coppie di sposi a vivere in pienezza la loro vocazione. Autore di numerose pubblicazioni di spiritualità coniugale, cura per il magazine Punto Famiglia la rubrica “Corrispondenza familiare”.

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