CORRISPONDENZA FAMILIARE
Quella volta toccò a me accompagnarla in ospedale per partorire…
17 Maggio 2021
Per riconoscere il valore della vita umana fin dal primo istante, non è necessaria la fede è sufficiente una ragione priva di pregiudizi. Quando una madre si sofferma a guardare il suo piccolo bambino nella culla, non può fare a meno di percepire l’infinita grandezza nascosta in quel batuffolo di carne. La fede ci conduce oltre, ci fa intravedere il mistero di Dio presente in ogni creatura, permette di riconoscere in ogni figlio una parola che Dio vuole consegnare all’umanità.
Quando l’abbiamo accolta in una delle nostre Oasi, Giulia non era più una ragazzina, non aveva voluto disfarsi di quel fagottino che portava in grembo. Il compagno occasionale s’era volatilizzato, la famiglia l’aveva cacciata. In quelle condizioni tante altre donne avrebbero scelto di abortire, in fondo la Legge stava dalla loro parte. In un primo momento anche lei aveva accarezzato quest’idea, avrebbe evitato tanti problemi. Un colloquio con i volontari della vita aprì i suoi occhi accecati dalla paura e la convinse a custodire il dono della vita. E non mi pare che sia pentita di averlo fatto.
Sono passati molti anni, abbiamo accolto tante donne in gravidanza ma non ho mai dimenticato questa vicenda. La bambina aveva fretta di nascere, in piena notte si sono rotte le acque, non c’era tempo per chiamare altri volontari e così… capitò proprio a me, di accompagnarla in ospedale per il parto. Dopo averla lasciata ai sanitari, in attesa del lieto evento, mi fermai a lungo nella silenziosa e deserta Cappella della clinica. Tante volte avevo parlato del valore della vita, ma quella creatura che stava per venire alla luce era come uno squarcio di cielo, mai come in quel momento la fragile esistenza umana mi apparve in tutta la sua impenetrabile bellezza.
La nascita porta alla luce quel mistero che per nove mesi la madre ha custodito, il miracolo è già avvenuto, il parto è solo lo svelamento di un evento straordinario e irripetibile. Quando i due gameti s’incontrano e s’intrecciano, nel silenzio della creazione, solo Dio è presente e fin dal primo istante vigila sulla creatura che si va formando e giorno per giorno cresce e assume una sua precisa configurazione. Il buon Dio è presente non come uno spettatore neutrale ma con tutta la sua potenza creativa: è Lui, infatti, che fin dall’inizio dona un’anima immortale a quella nuova creatura, è Lui che segue con amore e trepidazione i primi momenti di quella nuova vita. Il concepimento rappresenta l’inizio nascosto di una storia che, con la nascita, diventa visibile a tutti. Ed è solo la prima tappa di un cammino che troverà il suo compimento nell’eterna beatitudine.
La vita dell’uomo, di ogni uomo, rimane un mistero che la ragione riesce appena a percepire. È comodo pensare che in fondo si tratta solo di materiale biologico, una creatura in embrione che non ha alcun diritto né può avanzare pretese. Una visione accomodante e utile per zittire la voce della coscienza. Per riconoscere il valore della vita umana fin dal primo istante, non è necessaria la fede è sufficiente una ragione priva di pregiudizi. Quando una madre si sofferma a guardare il suo piccolo bambino nella culla, non può fare a meno di percepire l’infinita grandezza nascosta in quel batuffolo di carne.
La fede ci conduce oltre, ci fa intravedere il mistero di Dio presente in ogni creatura, permette di riconoscere in ogni figlio una parola che Dio vuole consegnare all’umanità. Una parola originale e creativa. In ogni persona che viene al mondo Dio nasconde una parola, una parola segreta che solo Lui conosce e potrà essere svelata solo nel corso dell’esistenza a condizione di rimanere legati a Lui, l’unico che possiede la chiave per decifrare l’esistenza di ciascuno. Sopprimere una creatura significa soffocare sul nascere quella parola che Dio vuole donare a tutti. È come sfregiare un quadro d’autore, negare all’alba di spandere i suoi raggi di luce. L’aborto è l’antigenesi, diceva don Tonino Bello. Senza quella parola l’alfabeto della creazione resta incompleto, manca qualcosa, anzi manca qualcuno.
Nessuno è così povero da non avere nulla da dire. Vi sono esseri umani che non potranno mai parlare e altri che non sapranno mai costruire un pensiero o articolare un discorso compiuto. Eppure anch’essi sono una parola, una silenziosa ma eloquente provocazione per l’umana società. Con la loro esistenza ci interpellano e ci chiedono di uscire dalla sterile indifferenza. Nel 1988 uno dei più prestigiosi premi letterari inglesi fu assegnato a Christofer Nolan, un giovane irlandese di 22 anni. Menomato nell’udito, muto, gravemente paralizzato agli arti. Aiutato dalla madre, Christofer scrive su un computer con un bastoncino fissato sulla fronte. Nel discorso di ringraziamento, letto dalla madre, ha lanciato un appello contro l’aborto e per il diritto alla vita dei bambini portatori di handicap: “Perché invece di dare a un bambino la possibilità di vivere, gli si impone il silenzio prima che possa respirare una boccata di aria fresca in questo mondo?” (Sì alla vita, febbraio 1988/2).
Ciascuno ha diritto di diventare parola, cioè di manifestare la sua identità e la sua vocazione. Soffocare la vita, in qualunque stadio dell’umana esistenza, significa impedire a Dio di parlare, strappare una pagina del libro della Creazione che nessun altro potrà mai più scrivere. Di infinite pagine è fatto quel libro, eppure ciascuna di esse ha una sua inconfondibile bellezza. Ogni essere umano ha una sua irripetibile unicità, un valore che non può essere misurato con il metro della capacità e della produttività. È una verità che risplende assai bene nella storia del piccolo principe: “Se qualcuno ama un fiore, di cui esiste un solo esemplare in milioni e milioni di stelle, questo basta a farlo felice quando lo guarda. Ma se la pecora mangia il fiore, è come se per lui ad un tratto tutte le stelle si spegnessero!” (A. de Saint-Exupéry, Il piccolo principe, Milano 1997, 37).
Negli stessi giorni in cui Giulia si preparava al parto, una ragazza di quindici anni scelse di abortire, il bambino che portava in grembo, frutto di un amore adolescenziale, ancora informe e senza progetti. Nelle stesse ore in cui una donna metteva al mondo una bambina, un’altra donna sceglieva di soffocare brutalmente il soffio di vita. Due vicende molto simili, due esiti radicalmente diversi. Da una parte c’è una bambina che ha visto la luce ed oggi ha un nome, ha qualcosa da dire e da dare; dall’altra parte un bambino senza volto, senza un nome, senza una storia. Come un migrante che affonda nelle acque del mare.
Per evitare tragedie come queste siamo impegnati a far risuonare l’annuncio della vita. Non ci arrendiamo alla barbarie di una società che condanna gli innocenti e assolve i colpevoli. E siamo orgogliosi di far parte di quello che Giovanni Paolo II chiamava il popolo della vita. Un popolo che semina parole e gesti che profumano di futuro.
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Cari lettori di Punto Famiglia,
stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).
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