Social media
Dopo gli ultimi casi di cronaca, cosa è stato fatto per proteggere i minori online?
di Stefania Garassini, giornalista, docente all’Università Cattolica del Sacro Cuore, presidente Aiart Milano
Il caso della bambina morta per soffocamento a Palermo, forse per aver partecipato su Tik Tok a una “challenge”, aveva sollevato la questione della tutela dei minori online. Ma a distanza di un breve lasso di tempo sembra che nulla di concreto sia stato realizzato. Soprattutto l’alleanza tra social media e famiglia è ancora un miraggio.
Quando ci si decide a entrare in battaglia, bisogna poi verificare di avere i mezzi per arrivare fino in fondo, e possibilmente per vincere. Resta ancora da capire se sia questa la situazione in cui si trova il Garante della Privacy italiano, che, con un certo coraggio, nel gennaio scorso, aveva imposto a Tik Tok di verificare di nuovo l’età degli iscritti al servizio per eliminare gli account di chi aveva meno di 13 anni. La repentina decisione era stata suscitata dal caso di una bambina di Palermo, morta per soffocamento, forse – secondo le prime ricostruzioni – per aver partecipato su Tik Tok a una “challenge” (ovvero una sfida in cui si girano video in condizioni anche rischiose, per condividerli).
Finora in concreto il social media cinese si è limitato a chiedere nuovamente la data di nascita a tutti i suoi iscritti (a partire dal 9 febbraio) e a diffondere qualche spot per spiegare come tutelare la privacy e la sicurezza dei minori. Anche il Garante a sua volta ha distribuito un breve video in cui invitava i genitori ad affiancare i figli nel verificare che inserissero l’età corretta al momento di iscriversi a un social. Per alcune settimane l’età d’accesso ai social media è stata oggetto di dibattiti online, in tv, radio e giornali. Poi però l’impressione è che non sia cambiato molto. Tanto è vero che qualche giorno fa, in un’intervista al quotidiano il Messaggero la vicepresidente dell’Autorità Garante per la Privacy, Ginevra Cerrina Feroni, è ritornata sulla questione spiegando di aver sollecitato nuovamente Tik Tok a individuare sistemi efficaci per verificare l’età dei propri utenti, visto che “le azioni nel frattempo adottate dalla piattaforma non sono risolutive, potendo facilmente essere aggirate”.
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Il problema non è di facile soluzione perché la verifica dell’età implica la raccolta di dati identificativi e questo comporta possibili insidie alla privacy dei minori. ByteDance, l’azienda cinese proprietaria di Tik Tok ha dichiarato di avere allo studio sistemi di intelligenza artificiale che siano in grado di identificare utenti di età inferiore ai 13 anni. Ma si tratta ancora di lavori in corso, niente di davvero funzionante ed efficace. Anche Instagram sta lavorando sugli stessi fronti, come ha dichiarato in un recente post sul proprio blog, in cui illustrava alcune nuove funzionalità nate per scoraggiare i contatti diretti tra adulti e teenagers e favorire invece l’apertura di profili privati da parte dei più giovani (nei quali cioè ogni nuovo follower deve essere approvato, e che offrono qualche sicurezza in più). Ma anche in questo caso si tratta di piccoli aggiustamenti, che vanno certamente nella giusta direzione, ma non risolvono alla radice il problema.
In compenso qualche giorno fa è trapelata, sempre da Instagram, la notizia che il social starebbe lavorando a una versione per minori di 13 anni. Al momento non ci sono molte informazioni, ma sembra che l’idea sia quella di creare una sorta di rete protetta, controllabile dai genitori sia per quanto riguarda i contatti che per i contenuti. L’annuncio ha scatenato già numerose proteste negli Stati Uniti, dove diverse organizzazioni per la tutela dell’infanzia hanno accusato Facebook (proprietaria di Instagram) di cercare in questo modo di avere accesso a un’enorme mole di dati di bambini. Se proprio ci tiene ai minori – dicono i critici – Zuckerberg dovrebbe accertarsi che davvero non siano presenti su Instagram.
Una situazione del genere si era creata nel 2017, quando il social aveva lanciato (negli Usa e in altri Paesi ma non in Italia) Messenger Kids, una versione della propria app di messaggistica destinata ai più piccoli. In quell’occasione una lettera di varie associazioni di genitori chiese a Mark Zuckerberg di chiudere il servizio. “Crescere figli nell’era digitale è già difficile. Le chiediamo di non lasciare che l’enorme diffusione e influsso di Facebook lo renda ancora più difficile”, spiegavano fra l’altro i firmatari. Da sottoscrivere. Nella speranza che le grandi aziende di social media possano davvero diventare alleate delle famiglie nel difficile compito educativo. Obiettivo che purtroppo appare ancora lontano.
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