15 marzo 2021
15 Marzo 2021
Restare piccoli e servi: il mestiere del giornalista | 15 marzo 2021
Qualche volta si affaccia un pensiero sempre insolente sulla soglia del mio cuore: tra tutti i modi in cui avrei potuto servire Dio non potevo scegliere un mestiere diverso? O per meglio dire non potevo declinare l’invito del Signore che una mattina di aprile mi veniva rivolto attraverso il mio padre spirituale: “Vuoi impegnarti a diffondere la cultura della famiglia?”. Gli risposi: “Non facciamo già molto con i colloqui per la vita, l’assistenza alle famiglie in difficoltà…?”. “Non basta. Bisogna tenere insieme l’annuncio della verità e la carità operosa”. “No, grazie, rifiuto l’offerta e vado avanti” avrei voluto rispondere. Del resto, facevo un cammino di fede già abbastanza ricco e pieno di impegni. Perché buttarsi in un progetto che partiva senza fondi presenti e futuri? E poi con chi? Con due amici che certamente non avevano le idee più chiare delle mie?
Eppure, quella sfida che non aveva niente di allettante secondo i canoni del successo lavorativo con cui oggi viene catalogata una professione, pretendeva una risposta di fede. Fare il giornalista è già un’impresa da eroi in questo Paese ma farlo con l’etichetta cattolico abbassa di molto lo standard dei like. Eppure si era presentato un modo concreto per dare voce a quei capisaldi che avevano caratterizzato la formazione della mia giovinezza: la difesa della vita nascente, la dignità dell’uomo, la sua armonia tra corpo e anima. Insieme avremmo dato voce a chi non ha voce. Storie ordinarie di bene, di bellezza, di amore familiare che a nessun giornale interessano ma che noi guardiamo con gli occhi stupiti di chi vede la mano di Dio agire ancora nella storia dell’uomo. Ci siamo rimboccati le maniche, studiato sui manuali, frequentato corsi e preso tante bastonate anche a nostre spese, ma non ci siamo arresi. E oggi più di ieri so perché. Al centro del nostro lavoro c’è l’uomo, la più bella e meravigliosa opera d’arte della Creazione. L’uomo che deve ripuntare oggi più di ieri, nei tempi difficili che viviamo, all’essenziale. Il giornalista guarda a questo bisogno e presenta vicende autentiche, riflessioni scomode, testimonianza credibili.
Ma chi lo ha detto che nel giornalismo vale la regola delle “3 esse” ovvero che i giornali si leggono soltanto se parlano di sesso, sangue e soldi? Non me lo ricordo e sinceramente mi è sempre sembrata una grande buffonata. Il giornalismo che mi piace – quello che cerco di fare e che spero di poter continuare a fare insieme a tanti amici – è appunto quello che parla dell’uomo e all’uomo, della sua realtà, del suo dolore, del suo desiderio di dare un senso a questa vita.
Mi piace restare discepola dell’unico Maestro anche quando scrivo, soprattutto quando scrivo, cercando di guardare la realtà con gli occhi della fede. Non so fare inchieste politiche ed economiche, anche se mi interesso un po’ di tutto perché sono curiosa ma mi appassiona il cuore dell’uomo, soffro quando lo vedo lontano da Dio, quando dà spazio al maligno nella sua vita, quando non riconosce il valore immenso di una piccola vita nel grembo della donna. Mi arrabbio quando la famiglia è ignorata, calpestata, strattonata come un indumento vecchio di cui liberarsi.
Con questo mestiere ho incontrato tanta gente, ho potuto raccogliere le loro storie. È ogni volta una esperienza, umana e professionale, bellissima, perché, intervistando queste persone ho incontrato l’immenso mistero della loro anima. Sono entrata in punta di piedi nelle loro storie ordinarie, e toccato con mano quanto l’amore, la compassione, la grazia può fare nella vita delle persone. Il nostro mestiere non è affatto il quarto potere dello Stato, a me non interessa nulla del “prurito del gossip”, ma servire l’uomo, annunciare la lieta notizia dell’amore per sempre, sostenere i genitori nel campo educativo sì. Mi interessa l’ordinario, moltissimo. Non siamo destinati a diventare ricchi? E chi lo chiede? Noi vogliamo passare per la cruna dell’ago e per farlo dobbiamo restare piccoli e servi.
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stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).
1 risposta su “Restare piccoli e servi: il mestiere del giornalista | 15 marzo 2021”
Complimenti Giovanna, per aver accettato di svolgere la missione di giornalista. La tua è una categoria difficile da svolgersi, resa complicata e mortificata dai nostri rappresentanti in Parlamento, di governo e di opposizione. Si vuole un giornalista debole nelle leggi (in primis le querele temerarie con richiesta di risarcimento di infiniti euro che durano il più delle volte oltre 20 anni. E che poi, un’infinità di esse approdano con l’assoluzione del giornalista, mentre il querelante paga solo le spese di giudizio senza alcun risarcimento a favore del giornalista. Un’ingiustizia infinita per l’Informazione che potrebbe indebolirsi. Senza contare un’altra faccia debole: i compensi dati al giornalista, quando li riceve se li riceve, sono irrisori di pochissimi euro. Di questo lavoro, dal volto di un caporalato senza confini vede una professione e chi la esercita mortificata. Ciò dovrebbe scuotere tutti e risolverli ma non si riscontra alcun intervento per debellarlo da parte di chi ha il compito ti deve tutelare il bene pubblico dell’Informazione: le Istituzioni in primis).
Salvatore Campitiello