Sessualità
Se il revenge porn è male, il porn senza revenge è bene?
di Pierluigi e Mariagiovanna Beretta
Se decido, autonomamente e consapevolmente, di ritrarre le parti sessuali del mio corpo, o di ritrarmi in pose chiaramente allusive al rapporto sessuale, e le condivido tramite social, sto rispettando la verità della mia sessualità ovvero la chiamata alla comunione?
«Come persona non mi sento risarcita ma almeno ho la soddisfazione personale che la verità è venuta fuori dopo anni». Questo è il commento che una giovane maestra torinese ha proferito al termine del processo di primo grado nei confronti di alcune persone che avevano diffuso sue immagini a sfondo erotico, nonché della direttrice che l’aveva licenziata. La vicenda, a metà febbraio, è balzata all’attenzione dei media nazionali, e non c’è dunque necessità di riferirne gli aspetti di cronaca.
Ci ha invece colpito l’utilizzo delle parole “persona” e “verità” da parte della protagonista di questa vicenda, e ci siamo chiesti: in quanto persona, di che cosa è stata così intimamente defraudata, tanto da non poterne essere risarcita? E poi, la verità su tutta la vicenda è davvero venuta fuori completamente, o c’è ancora qualcosa che sfugge a tutte le parti in causa?
Distruggere il senso della dignità umana
Il motore che ha innescato la catena di conseguenze è stato la “diffusione indebita di immagini” da parte di una persona in cui la vittima aveva riposto la propria fiducia. Il problema, quindi, è anzitutto riconducibile alla protezione dell’intimità. L’utilizzo del termine “persona” ne chiarisce però la portata: è in gioco non solo l’immagine, ma la dignità stessa dell’essere persona. Come abbiamo visto nelle nostre precedenti riflessioni, i caratteri sessuali del corpo richiamano alla vocazione al dono ed alla comunione delle persone; se staccati dal corpo vivo, e trasferiti in immagine, restano comunque legati alla persona e non possono essere sono ridotti ad oggetti anonimi da usare, pena l’offesa alla dignità della persona stessa.
Giovanni Paolo II, affrontando proprio il tema della rappresentazione della nudità nei media, ci ricorda che: «Nei campi di concentramento o nei luoghi di sterminio, la violazione del pudore corporeo è un metodo consapevolmente usato per distruggere la sensibilità personale e il senso della dignità umana. Seguendo la sensibilità personale, l’uomo non vuole diventare oggetto per gli altri attraverso la propria nudità anonima, né vuole che l’altro diventi per lui oggetto in modo simile» (Giovanni Paolo II, catechesi del 22 aprile 1981).
Tuttavia, se è vero che le immagini sono state divulgate contro la volontà della vittima, è altrettanto vero però che le fotografie intime sono state scattate con il consenso della donna. È proprio sul tema del consenso in ambito sessuale che vorremmo dirigere la riflessione per arrivare a rispondere alle nostre domande.
Non importa cosa, importa solo se voglio
Se la necessità di perseguire legalmente la diffusione di immagini intime è coerente con la difesa della dignità di ogni persona, al tempo stesso ci hanno suscitato dei grossi interrogativi i tanti interventi a difesa della vittima da parte di personaggi più o meno noti (giornalisti, blogger, calciatori, etc).
Molti dei commenti ruotano attorno a due parole: libertà e consenso. Un artista di strada torinese, per esprimere solidarietà con la vittima, stampa e affigge per le strade di Torino dei manifesti che ritraggono foto di nudo di altre maestre, sotto il titolo “TeachersDoSex”: tutto questo per «sensibilizzare con questa affissione sui pregiudizi sociali che affliggono da tempo la percezione della sfera privata femminile». Il messaggio sottinteso è che non c’è nulla di male a mostrare pubblicamente l’intimità del proprio corpo come segno di una sessualità libera e – appunto – consensuale.
Questo commento è esemplare della maggior parte degli interventi a difesa della maestra: con il proprio sesso, ognuno è libero di fare ciò che vuole e non deve essere giudicato. Secondo questo punto di vista, la dignità della persona sarebbe già rispettata quando questa persona esprime un consenso: il contenuto a cui il consenso si riferisce sarebbe invece ininfluente, “neutrale”, rispetto alla suddetta dignità.
Leggi anche: “Noi genitori siamo troppo permissivi e sottovalutiamo i rischi della pornografia”
Che cosa comunica la mia nudità?
Che il consenso sia necessario, siamo tutti d’accordo. Ma è sufficiente il consenso per dire che un’azione non offende la dignità di chi la compie o subisce?
Nella prospettiva cristiana, la dignità non consiste nell’essere liberi di far quel che si vuole. La dignità consiste nell’essere pensati, creati e custoditi da un Dio che è Amore e che ci chiama liberamente alla comunione con Lui. Questa chiamata alla comunione è inscritta nei nostri corpi. «La perenne e reciproca attrazione della mascolinità e della femminilità, contenuta nella realtà stessa della costituzione dell’uomo come persona, corpo e sesso insieme … può e deve servire alla costruzione dell’unità “di comunione” nei loro reciproci rapporti» (Giovanni Paolo II, catechesi del 17 settembre 1980).
Se decido, autonomamente e consapevolmente, di ritrarre le parti sessuali del mio corpo, o di ritrarmi in pose chiaramente allusive al rapporto sessuale, e le condivido tramite social, sto rispettando la verità della mia sessualità ovvero la chiamata alla comunione? Il destinatario delle mie fotografie erotiche riuscirà a contemplarle cogliendo in esse tutto il mistero e la ricchezza della persona oppure, più probabilmente, userà le mie immagini per eccitarsi e masturbarsi?
Significativo è il fatto che gli “esperti” di sexting (così si chiama la condivisione intenzionale di proprie immagini erotiche) raccomandino di non riprendersi mai in volto. L’identità della persona deve scomparire! «Una cosa, infatti, è aver coscienza che il valore del sesso fa parte di tutta la ricchezza di valori, con cui al maschio appare l’essere femminile; e un’altra cosa è “ridurre” tutta la ricchezza personale della femminilità a quell’unico valore, cioè al sesso, come oggetto idoneo all’appagamento della propria sessualità. Tale “riduzione”, infatti, spegne il significato personale e “di comunione” sospingendola verso dimensioni utilitaristiche, nel cui ambito l’essere umano “si serve” dell’altro essere umano, “usandolo” soltanto per appagare i propri “bisogni”». (Giovanni Paolo II, catechesi del 17 settembre 1980)
In ogni essere umano è presente questa tendenza a servirsi dell’altro come oggetto: si chiama “concupiscenza”, ed è una tendenza che offusca il significato originario della sessualità. Il sexting, così come la pornografia, è pensato esattamente per stimolare nell’osservatore questa concupiscenza: l’impulso sessuale viene separato da qualunque valore relazionale, e diventa l’unico valore da perseguire. Nessun risarcimento materiale può colmare la riduzione della mia persona, unica e irripetibile, ad oggetto “usa, getta e sostituisci”.
Il breve passo verso la violenza consensuale
Quando una persona acconsente a lasciarsi trattare come un oggetto, quali conseguenze la attendono? La libertà sessuale intesa come “non importa cosa faccio, ma importa solo se voglio farlo” (la “cultura del consenso”) è una grande contraddizione: se decido di farmi oggetto di godimento per qualcun altro, sarà difficile sottrarsi a ciò che l’altro vorrà fare di me per il suo piacere. Questo atteggiamento, da solo, miete più vittime del revenge porn; vittime non coscienti di essere tali, formalmente consenzienti.
È emblematica l’affermazione di alcune adolescenti, da noi incontrate recentemente in una scuola, in merito alle pratiche sessuali violente: «Se io sono d’accordo, lui può fare quello che vuole; basta che non mi lasci i lividi». Se l’unico criterio di azione è il godimento personale, allora l’unica etica sarà la legge del più forte.
Chi o che cosa ci salverà?
Occorre uno sguardo diverso sulla sessualità per viverla in pienezza secondo il suo vero significato. Occorre lo sguardo carico di tenerezza dell’Uomo della Croce, il solo che attraverso la nudità e la completa spogliazione è venuto a rivestirci di dignità. Con questo pensiero vi salutiamo e vi auguriamo buon cammino di Quaresima.
Aiutaci a continuare la nostra missione: contagiare la famiglia della buona notizia
Cari lettori di Punto Famiglia,
stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).
Lascia un commento