23 febbraio 2021
23 Febbraio 2021
La trappola del “che male c’è?” | 23 febbraio 2021
Qualche sera fa, dopo la Messa una mamma, preoccupata per le idee molto “liberali” della figlia diciottenne sul sesso e il modo di viverlo, mi ha chiesto una mano. “Cosa devo fare?”. Bella domanda. Noi genitori vorremmo ricevere le indicazioni per l’uso, del tipo “come far abbassare la febbre in tempi rapidi?” ma non possiamo risolvere in poche battute il tema dell’educazione. Da genitore mi rendo conto di quanto sia “artigianale” quest’opera per dirlo con Papa Francesco.
Negli anni ho imparato alcuni semplici fondamenti che corrispondono ad alcuni criteri metodologici su come affrontare l’argomento. Il primo è la necessità di una formazione personale. Bisogna evitare a tutti i costi il secondo me, secondo quello che penso, secondo quello che ho vissuto. Questo atteggiamento è giustificabile in un amico, in un’amica. Noi non siamo gli amici nel senso del mondo, lo siamo nel senso evangelico. E nella fede, gli amici sono quelli che sussurrano all’orecchio le cose di Dio. “Tutto quello che ho udito dal Padre mio, l’ho fatto conoscere a voi”. Ho a volte la sensazione che il registro comunicativo prevalga sul contenuto o finisca per prevalere sulla verità. Facciamo bene a trovare il modo migliore per comunicare con i nostri figli e ad utilizzare il linguaggio più adatto ma il contenuto deve essere chiaro a noi stessi. I fondamenti sui quali si costruisce una sana educazione all’affettività e alla sessualità devono essere solidi innanzitutto a noi.
Il rischio è quello di lasciarci attirare nella trappola del “Che male c’è?”. Questa domanda che ritorna con frequenza nel dialogo con i giovani rivela tutto un universo culturale di chi non cerca la verità ma si accontenta di rispondere ai bisogni del momento e mette a tacere quella coscienza che di per sé ci chiede sempre uno slancio oblativo, solo che bombardata e ignorata quasi sempre ha finito per essere rinchiusa nel fondo della nostra vita. Nostro dovere di genitori è anche risvegliare queste coscienze sopite dei nostri figli.
Che male c’è? È una domanda che in se contiene già una coscienza e cioè che il male esiste. Solo che la cultura di oggi ha capito che per vincere ha bisogno di normare e normalizzare questa affermazione e dunque: che male c’è a masturbarsi per esempio. Ricordo di aver visto in estate un film che si intitola Quanto basta, la storia di un bambino autistico amante della cucina accompagnato da un cuoco famoso ma che doveva scontare una pena riabilitativa in un centro di accoglienza. Nel viaggio che fanno verso la località preposta questo ragazzo confida all’adulto che i nonni, con i quali viveva, avevano attivato il parental control sul tablet e per questo non poteva accedere più ai video a sfondo pornografico che guardava mentre si masturbava e questo cuoco, l’adulto, il responsabile, gli dice: “Che tragedia, io sono un sostenitore convinto di questi video”. Potrei continuare riportando all’infinito obiezioni di questo tipo: che male c’è ad eccitarsi vedendo un contenuto pornografico in una coppia, che male c’è a scambiarsi il partner… etc… sopita la coscienza l’unico imperativo al quale dovrò rispondere è: “Di cosa ho bisogno? Cosa vuoi? Afferralo, prendilo. È tuo”.
Ecco la strategia dei figli delle tenebre: cambiare l’ordine etico della realtà, rivestire di un abito buono ciò che buono non è o ciò che naturale non è. Ricorderete certamente ciò che diceva lo scrittore inglese Chesterton: “Fuochi verranno attizzati per testimoniare che due più due fa quattro. Spade verranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate. Noi ci ritroveremo a difendere non solo la incredibile virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, incredibile universo che ci fissa in volto”. Dimenticate questo, a mio avviso è superato. Siamo ad uno stato superiore. Perché? Perché gli scaltri seguaci dell’inquilino del piano di sotto hanno capito che per far passare un comportamento, un atteggiamento non bisogna essere violenti, bisogna che si invochi la libertà assoluta dell’individuo di disporre del suo corpo come vuole e infine bisogna legiferare questa libertà in modo da eliminare ogni possibilità di aprire termini di confronto.
Non si può scendere a patti con il male. Questa è un’illusione molto diffusa anche tra noi genitori, tra gli educatori, tra i media, nel mondo dell’Associazionismo e magari anche in qualche frangia della Chiesa. La beata Maria Beltrame Quattrocchi, una madre meravigliosa e una fine educatrice, era così preoccupata dell’impatto del male e del peccato sulla formazione dei figli arrivando a scrivere ad uno dei suoi figli: “Preferirei che tu morissi piuttosto che il peccato si imprigioni della tua anima”. Il nostro compito di genitori dovrebbe essere anche quello di donare gli strumenti per riconoscere il male che ci circonda. Non basta ma è un buon punto di partenza.
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