13 febbraio 2021
13 Febbraio 2021
San Valentino e il ritorno dell’amore… | 13 febbraio 2021
Cammino per le strade della mia città. È stata una settimana dura piena di impegni, faticosa. La scusa di un assoluto e importante nuovo paia di calze mi ha spinto a scendere dalla redazione senza auto. L’aria è rigida e mi stringo nel mio cappotto come in un rifugio. La gente cammina velocemente, gli occhi abbassati, la mascherina in volto. Affondo le mani in tasca e mi guardo intorno. Le vetrine sono addobbate di cuori e di cartelloni con frasi d’amore. San Valentino è alle porte. Non sono una che snobba la festa. Almeno non negli ultimi anni. Quando sei giovane gli ideali infiammano così tanto il cuore che ogni cosa abbassi l’asticella dell’idealità, ti dà fastidio. Con gli anni ho imparato che l’uomo ha bisogno di ricorrenze, di feste e diciamola francamente anche il commercio ne ha necessità, specie in questo tempo di pandemia.
Così mi ritrovo sulla soglia della mezza età – che di mezzo non so che cosa ha – a non dispiacermi di celebrare una giornata per l’amore. Mi chiedo mentre cammino quale pagina evangelica accosterei al tema dell’amore e una valanga di brani dall’Antico al Nuovo Testamento si fanno spazio nella mia mente e fanno a gara per prendere il primo posto. La vittoria finale va senza dubbio alla pagina di Emmaus. Jean Guitton, filosofo e teologo del Novecento ha scritto: “Se dovessi scegliere nel Vangelo una pagina che vorrei salvare dal nulla, sarebbe quella dei discepoli di Emmaus”. Potrei dire: “Se dovessi scegliere una pagina per parlare dell’amore, sceglierei Emmaus”. Nella delusione e nel senso di fallimento di Cleopa e del suo compagno, l’evangelista Luca mette in luce quella domanda che lungo i secoli attraversa la storia e il cuore di ogni uomo: qual è il senso della vita? Perché la fragilità e la paura prendono il sopravvento sulla speranza e sull’amore? Perché non diamo credito alle parole dell’amore?
Scrive Papa Francesco in Evangelii gaudium: “L’ansia odierna di arrivare a risultati immediati fa sì che gli operatori pastorali non tollerino facilmente il senso di qualche contraddizione, un apparente fallimento, una critica, una croce. […] Si sviluppa la psicologia della tomba” (EG 82-83). È quella che colpisce anche i discepoli, non riescono ad andare oltre il fallimento, le cose non sono andate come credevano. Quante volte anche noi ci lamentiamo che le cose non sono come le avevamo sognate: mio marito non è proprio il principe azzurro; mia moglie è un’eterna brontolona, i figli prendono strade diverse da quelle che pensavamo. I discepoli sono il segno che quando non comprendiamo i disegni di Dio, preferiamo darci alla fuga, ritornare al come eravamo, chiusi in una nostalgia tanto sicura quanto vuota e triste.
Ma è proprio lì che spesso cambia tutto. Per capire il perché questa pagina è annoverata tra quelle più belle che parlano di amore dobbiamo entrare nella notte insieme ai discepoli di Emmaus. È in quella fuga, in quel matrimonio sbagliato, nella ribellione di un figlio che non vuole crescere, nella malattia che arriva e mette a soqquadro una intera famiglia, in quella comunità parrocchiale che proprio non vuole ascoltare, che un Viandante si accosta e sfida le tenebre, accende una lampada, costringe a rileggere gli eventi dolorosi della vita alla luce di quella Parola, che ci libera dalla prigionia dell’oscurità e dell’incomprensione.
Due anni fa sono stata chiamata di sera da un amico frate che mi chiedeva aiuto per una ragazza di 18 anni. Era in attesa ed era tutto pronto per l’interruzione di gravidanza, il padre del bambino un ragazzino malavitoso non doveva sapere. Pena il rischio della vita per tutti. L’indomani mattina mi sono svegliata presto e pregavo mentre macinavo i chilometri che mi separavano dall’incontro con Daria. Durante il colloquio capii che non c’era tempo da perdere, Chiara doveva essere allontanata subito dalla sua casa e dal suo Paese. C’era da superare solo la sua resistenza, le dissi: “fidiamoci insieme di Dio” e lei abbassando gli occhi mi disse di “sì”. Sono tornata a casa con quel pulcino impaurito e il suo bambino.
Daria è stata qualche mese in una delle nostre case di accoglienza che abbiamo come Fraternità di Emmaus ma poi è venuta a stare a casa con me e la mia famiglia. Abbiamo condiviso tutto, le visite durante la gravidanza, i momenti di ribellione, le paure, tutto il quotidiano di una famiglia. Non abbiamo mai cercato di educarla o indottrinarla in qualche modo. Certo siamo stati per lei genitori perché un figlio, naturale o affidato ha bisogno di direzioni di senso. Daria è stata una luce. Miriam, la sua bambina è nata nel mezzo di un’estate calda e torrida, con mio figlio alle prese con la maturità e la scelta universitaria, il lavoro mio e di mio marito, le vacanze che si potevano rimandare ma con la gioia nel cuore di chi riconosce che tutto è nelle mani di Dio.
Daria per noi è stata come il Viandante per i discepoli di Emmaus. Ci ha aperto il cuore a comprendere che la Parola è viva ed efficace quando davvero mette in subbuglio e a soqquadro la tua vita. Quando ti chiede di rivoluzionare tutto a partire dall’altro. I nostri fallimenti e le nostre sconfitte di fronte alle sofferenze di Daria ci sembravano piccole e insignificanti. Questo fa l’amore, ci rimprovera, “stolti e lenti di cuore”, poi ci istruisce “cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui” e infine quando sembra che voglia allontanarsi da noi, ci invita a formulare una delle più belle preghiere mai messe sulla bocca dell’uomo: “Resta con noi”, “Resta con noi, perché si fa sera”.
È la preghiera più autentica, quella che manifesta la fede nella sua essenzialità. Quella che ci fa riconoscere che solo Gesù è il bene essenziale, il sommo bene, la perla preziosa, l’amore autentico. Nel diario di una mistica del Novecento, Gabrielle Bossis, sono appuntate solo le parole che Gesù le rivolge, che sussurra al suo cuore. Manca l’elenco delle richieste che si fanno a Dio. È Dio che dobbiamo ascoltare. Quando il Maestro parla e resta, è Pasqua. La vita comincia a scorrere di nuovo nelle vene, era Pasqua per la nostra famiglia quando abbiamo sentito il primo vagito di Miriam in quella sera calda d’estate, è Pasqua quando lasciamo che la morte sia da Cristo trasformata in vita.
Viene un momento nella nostra vita che non abbiamo più bisogno di idee, di concetti, di teorie. L’unica cosa che conta è che Lui è con te, non sappiamo quale sarà la nostra vita, come andrà quella malattia, quanto mi costerà restare fedele al mio matrimonio, al mio sacerdozio, desideri solo che Lui resti con te, che resti con noi. Perché insieme a Lui possiamo staccarci finalmente dal sepolcro, possiamo riprendere la via della fuga e trasformarla nella strada del ritorno. Il ritorno dell’amore.
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