25 gennaio 2021
25 Gennaio 2021
Tutti hikikomori davanti alla paura | 25 gennaio 2021
di Giovanna Abbagnara
Pavia. Una giovane insegnante palermitana di 28 anni, lontana dalla sua famiglia da mesi a casa della pandemia, ha tentato di togliersi la vita buttandosi dal cornicione della finestra del suo appartamento. Soccorsa e salvata dai carabinieri prima del gesto estremo, è ora ricoverata al Policlinico san Matteo.
Ennesima vittima nell’era Covid. Anche se la giovane non ha portato a termine il suo insano progetto, vive certamente nel suo cuore un profondo dolore e una grande solitudine. I suicidi sono la reazione drammatica a una situazione emotiva sentita soggettivamente come intollerabile, ci dicono gli esperti. “Gli atti estremi arrivano in uno stato crepuscolare della coscienza, chi ne esce miracolosamente vivo la recupera in pieno magari al pronto soccorso. Morire diventa più importante che vivere. ‘Erano giorni che avevo una sete terribile come in mezzo al deserto, una sete di suicidarmi, non riesco a spiegarmi meglio’, mi ha detto una paziente che è sopravvissuta davvero per miracolo dopo essersi buttata giù da un palazzo” ha commentato lo psichiatra e psicoterapeuta Furio Ravera.
È chiaro che l’isolamento da coronavirus ha amplificato fragilità e vulnerabilità. Chi si è ritrovato da solo ad affrontare mesi e mesi di restrizioni senza il conforto e l’abbraccio di un amico o di un familiare, ha sperimentato l’amarezza dell’abbandono. In questo terreno i pensieri suicidi attecchiscono e trovano nutrimento. Cosa si poteva e si può fare? C’è una responsabilità sociale, politica, ecclesiale in queste macerie emotive?
C’è e ignorarla non ci aiuterà di certo a ricostruire il tessuto sociale post pandemia. I media hanno fatto in questi mesi un vero e proprio lavoro di distruzione. Hanno seminato terrore tra la gente, persuasi che solo azioni drastiche di informazione potessero arginare il contagio. Allo stesso modo anche alcuni medici si sono improvvisati esperti di comunicazione offrendo quasi quotidianamente previsioni, dati e percentuali di contagio catastrofiche.
Da contraltare non c’è stato nessuno che abbia offerto una parola di speranza. Una lettura veritiera ma moderata dei fatti. Dietro le quinte tanti si sono adoperati e moltissimi hanno dato il loro contributo anche gratuito ma questo non è emerso sui media. La capacità di farsi prossimo, di lenire le difficoltà umane e materiali di questo periodo è stata affidata a pochissimi eroi e alle associazioni di volontariato. La maggior parte della gente si è chiusa, blindata nelle proprie case. La paura ha scatenato un incontrollabile desiderio di sopravvivenza e di tutela dei propri stretti interessi e familiari. Tutti hikikomori davanti alla paura.
Per me che guardo questo tempo con gli occhi della fede, registro soprattutto una grande assenza di Dio dalla nostra vita. La fede ci aiuta a vivere la solitudine, a guardare con speranza al futuro, a rimettere al centro la cura dell’altro e la sua serenità. È un annuncio che deve risuonare con più forza. Nei tempi bui della storia comune e personale riaccendiamo la lampada della fede con la nostra vita e la nostra testimonianza.
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stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).
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