29 dicembre 2020
29 Dicembre 2020
Abbiamo bisogno di madri | 29 dicembre 2020
di Giovanna Abbagnara
Quando ero bambina e giocavo con le mie bambole sotto la scrivania della mia cameretta adibita a rifugio segreto, pensavo che da grande avrei fatto la maestra e la mamma. Attribuisco questi desideri sbocciati nella fanciullezza a due motivi molto semplici: ho avuto alle elementari la maestra Maria, una donna minuta ma di un profondo amore verso l’arte della conoscenza che sapeva infonderci con una dolcezza e fermezza incantevole e soprattutto ho avuto una mamma attenta che ha consacrato tutta la sua vita, fin dalla giovinezza ad essere sposa e madre di quattro figli.
Al Liceo mia madre mi ripeteva: “Io sono felice ma le mie amiche che lavorano sono indipendenti economicamente dai mariti. Devi esserlo anche tu”. A scuola erano gli anni della post rivoluzione femminista, dell’emancipazione delle donne, della libertà agognata di scegliere nel lavoro, nell’amore, nel sesso… Quel femminismo crescente intorno a me dilagava, urlava, manifestava. Io non vedevo nessuna valorizzazione del ruolo femminile. Le uniche parole feconde che sentivo pronunciare sulle donne e alle donne le leggevo e le ascoltavo quando andavo in Chiesa. Erano le parole del Maestro, di un uomo che 2000 anni prima aveva, in una cultura che schiacciava la femminilità, dato alla donna i ruoli da protagoniste nella sua storia di salvezza.
Certo l’emancipazione del ruolo femminile dalla politica all’economia ha portato tanti buoni frutti ma a quale prezzo? Oggi da adulta, da madre devo purtroppo costatare che c’è un tentativo crescente di dividere l’essere donna dall’essere madre, la femminilità dalla maternità. Anzi, la dimensione della maternità è percepita e presentata come un ostacolo alla realizzazione della donna. Eppure, l’essere donna non può essere scisso dall’essere madre, sempre, anche quando non si realizza la maternità biologica. La capacità di generare vita è costitutiva dell’essere femminile e si realizza pienamente quando la si riconosce e ci si apre con speranza e coraggio a questa avventura di essere e diventare madre.
Nel mio percorso di studi mi sono imbattuta in Luce Irigaray, una tra le più accreditate pensatrici e teoriche della filosofia della differenza sessuale, che negli anni Settanta ha riflettuto a proposito della necessità per le donne di costruirsi una soggettività femminile. Lei scriveva: “Tutte le donne sono madri, che facciano figli/e oppure no. Si può essere madri di un’idea, di un progetto, di altri, altre. Madre è un modo di pensare, di essere nel mondo, di prendersi cura di ciò che c’è. Del vivente. Qui e ora”.
Diventare madre è aprirsi radicalmente alla venuta di un Altro, dell’Altro inteso come figlio. Non è solo un fattore biologico, la maternità nella carne è l’immagine plastica, bellissima e meravigliosa della maternità intesa come la capacità di prendersi cura del piccolo, dell’inerme, del minuscolo, del debole, del mistero perché possa crescere e divenire. Oggi abbiamo bisogno di madri e di padri. Di gente cioè che sappiano vivere e accogliere la loro vocazione primaria di generare vita.
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