20 novembre 2020
20 Novembre 2020
La donna che sono chiamata ad essere
di Giovanna Abbagnara
Sommersa ogni giorno da notizie, bombardata da commenti sessisti e spesso spiacevoli sui temi che ritengo essenziali nella mia professione: la difesa della vita nascente, la promozione del matrimonio come via di santità, la bellezza della fede, penso che ciò che è veramente essenziale sia recuperare il significato profondo del ruolo della donna nella famiglia e di conseguenza nella Chiesa e nella società. Perché è necessario affrontare questo argomento? Perché dobbiamo imparare a porci le domande vere e importanti della nostra esistenza. Perché queste domande essenziali devono essere riattivate, suscitate, messe al centro del cammino di crescita e di discernimento e strappate agli algoritmi e alla retorica di un mondo e di un pensiero che in nome della libertà personale e del principio di autodeterminazione vuole omologarci tutti propinandoci la bella favoletta dei diritti. “La donna ha il diritto di avere gli stessi poteri, le stesse automobili, le stesse ore di lavoro, le stesse retribuzioni…”. E così via dicendo fino all’estrema conseguenza e cioè la stessa libertà di decidere se appropriarsi dell’organo maschile o di assumere artificialmente ormoni che per natura non produciamo, se non in piccole quantità.
Approcciando questo tema si rischia di essere retorici o banali, di dire cose che tutti sanno ma che magari ognuno vive secondo la sua educazione, la sua cultura, la sua esperienza, il suo credo. Per cui tante volte sento donne dire a se stesse: io sono una moglie che ascolta perché ho visto mio padre soffrire per la freddezza di mia madre; io sono una madre super presente perché ho avuto una madre assente e preoccupata solo di lavorare, io lavoro per avere una indipendenza economica perché mia madre era succube di mio padre…etc. Ognuno può aggiungere la sua esperienza o idea. Ma possiamo fidarci solo di quello che sentiamo o avvertiamo come importante?
Lasciarsi guidare solo dalle sensazioni è uno degli inganni più grandi del maligno. La rivoluzione culturale di liberazione della donna ha certamente prodotto esiti positivi: il diritto al voto nella società, o la libertà di esercitare una professione agli stessi livelli dell’uomo… ma questa rivoluzione sociale ha creato anche una distanza della donna dall’uomo. Una divisione, una separazione. Separando l’uomo dalla donna e la donna dal suo bambino (vedi tutto il processo culturale nato intorno all’aborto e allo slogan “Il corpo è mio e me lo gestisco io”), la donna spesso si ritrova da sola ad accollarsi tutte le difficoltà, le paure e le incertezze. Per affrancarsi dalla dominazione dell’uomo si ritrova più libera ma anche meno protetta, più fragile e più vulnerabile. Per inseguire il diritto al sesso libero ha accettato di assumere la pillola, di usare la spirale, di usufruire della babysitter per 10-12 ore al giorno, di ricorrere all’aborto, di accettare i pasti pronti, di inseguire la forma fisica perfetta…
Attenzione, vorrei chiarire che penso sinceramente che noi donne siamo capaci di fare tutto: mamme e manager, mogli affettuose e donne in carriera! Certo che so che se le nuove invenzioni ci permettono di cucinare in cinque minuti o di scaldare un’ottima lasagna già pronta perché stare lì ore e ore per prepararla? Ci mancherebbe. Mio figlio dice che io sono la regina dei piatti cucinati in meno di 15 minuti! Questo è il tempo che mi separa dal mio ritorno da lavoro all’inizio del pranzo, spesso tacchi ai piedi e grembiule per non macchiare di sugo quella gonna che non avrei tempo di portare in lavanderia. Diciamo che ho sviluppato una grande fantasia a tavola e un modo di presentare un semplice petto di pollo ai ferri come se fosse il re dei secondi. Quando parlo di crisi di identità e di definizione antropologica parlo dell’essere non del fare. Parlo della missione della donna non delle strade in cui si esplica.
È necessario che la donna recuperi il proprio posto, che assuma la misura della sua responsabilità perché se una donna prende coscienza della sua identità e della sua missione, tutto si ordina per la felicità di tutti. Da chi cominciare? Io direi di interrogare le Scritture, poi magari possiamo farci un giro tra il Magistero, in particolare di san Giovanni Paolo II e poi approfondire gli scritti di donne sante, testimoni credibili. Magari la finiremo di essere schiacciate da ansie da prestazione e recupereremo la bellezza di essere donne così come siamo sempre state nel pensiero e nel cuore di Dio.
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