La sofferenza
Signore, colui che tu ami è malato!
di Carlo Casini
Proponiamo ai nostri lettori un altro scritto inedito di Carlo Casini, grande amante della vita, che nel 1977 insieme alla sua famiglia si reca a Lourdes e lì in quel luogo santo compie un pellegrinaggio interiore nel mondo della sofferenza donando al lettore di ieri come di oggi il senso ultimo del dolore e della malattia.
Il tema della malattia, della disabilità, e – più in generale – della sofferenza e del dolore, accompagna da sempre il cammino dell’uomo. È un mistero che solo la Croce di Gesù può illuminare aprendo, nell’oscurità, orizzonti di luce. Molte volte ci siamo occupati di questo tema sulle pagine di Punto Famiglia, perché sappiamo quanto sia importante il bisogno di conforto e di senso, quanto sia urgente la domanda di soccorso e di Salvezza, nel momento della prova che può farsi via via più dura. Specialmente pensando ai nostri giorni, nei quali la pandemia ha avvolto il mondo mentre lo “scarto mondiale” (Fratelli tutti, n. 18) miete continuamente vittime (bambini non nati, malati, disabili, anziani). “Signore, Colui che tu ami è malato!” è il grido di Lourdes che titola lo scritto, praticamente inedito, di Carlo Casini di seguito pubblicato.
“Signore, Colui che tu ami è malato!”: è una riflessione profonda e spontanea, tratta da un giornalino parrocchiale che tanti anni fa circolava tra gli amici del gruppo della Chiesina (Chiesa della Divina Provvidenza, Firenze) e animato dal compianto Padre Guglielmo Bonfilio a cui va l’invito finale dello scritto. Il numero del giornalino è del settembre-ottobre 1977. Ne sono passati di anni da allora ma la riflessione non ha risentito il trascorrere del tempo perché, ieri come oggi, il grido di Lourdes è il grido di tutti.
Giovanna Abbagnara, direttore
SIGNORE, COLUI CHE TU AMI È MALATO!
Sono tornato a Lourdes, questa estate, facendovi tappa con famiglia e roulotte, nel pieno di un giro turistico. Il primo incontro non è entusiasmante: mi disturbano le interminabili file di negozi zeppi di oggetti devozionali, talora di dubbio gusto, gli alberghi che fanno di Lourdes la seconda città turistica di Francia, forse anche il tipo di gente che circola per le strade.
Non riesco a scacciare un pensiero: «in definitiva, le apparizioni sono state un ottimo affare…».
Vengo dalla Costa Azzurra, dove sembrava di respirare Bellezza, Intelligenza, Giovinezza, Autosufficienza, Sicurezza. A Cannes, a Cap d’Antibes, a S. Tropez la gente ricca e felice di tutto il mondo celebra i suoi pellegrinaggi e scioglie i suoi inni al paradiso terrestre: quei ragazzi e quelle ragazze che si offrono nudi al sole sulla Cote Rouge non ricercano l’abbronzatura totale, ma compiono un gesto culturale di protesta contro ogni regola esterna, di grido alla libertà, di esorcismo contro il dolore e alla morte.
Questa folla di Lourdes è così diversa! Molti vecchi, molti malati, tonache un po’ lise, sudate e sporche, di preti, pellegrinaggi di paese, donne dalle vesti lunghe e nere, volti che lasciano trasparire povertà, ignoranza, stanchezza per il lungo viaggio, emozione per il primo espatrio in un paese estero…
Come faccio a respingere questo pensiero: «umanità minore?». “«La Religione è davvero la proiezione all’esterno dei propri bisogni insoddisfatti?». Accidenti, come sono diventato aristocratico con questo mio ridicolo orgoglio pseudo-intellettuale… Debbo ripetermi le frasi rasserenanti di Gesù: «Grazie, o Padre, che hai rivelato queste cose agli umili…», «… Se non diventerete come questi piccoli…».
Respiro più serenamente, entrando nel recinto dei templi. I francesi hanno saputo creare un complesso dove non c’è alcuna indulgenza per la superstizione o la retorica religiosa. Trionfa, mi sembra, la razionalità intuitiva, tipica dello spirito francese.
Ma la rilettura, sui muri della chiesa superiore, delle parole pronunciate da Maria nel 1858, torna a seminare in me una vena di angoscia: il messaggio, estremamente laconico, sembra duro («penitenza, penitenza, penitenza!») ed ermetico («andate a bere alla fontana e lavatevi»).
Avrei bisogno di riflettere a lungo ed invece sono trascinato da questa folla che ora polarizza la mia attenzione: attende con lunga pazienza davanti alle fontanelle della Grotta per fare scorta dell’acqua “miracolosa” (la porteranno in tutto il mondo ad amici, parenti, ammalati… quanta concentrazione di elementare speranza in questo gesto di prendere l’acqua!); continua a cantare l’Ave Maria per le vie della città subito dopo una processione protrattasi per oltre due ore (… dunque si può pregare senza fatica e con gioia: lo sperimento anch’io…); scivola in lunga fila davanti alla grotta, paga di toccare o baciare la pietra dove apparve la Madonna (…bisogno di entrare in contatto fisico, sperimentale con il Trascendente? «Dio mio, dove sei? Se Ti vedessi! Se Ti toccassi!»).
Alla Via Crucis seguo costantemente un gruppetto di ragazze che camminano sui ciottoli in ginocchio e due o tre donne pugliesi, chiaramente contadine, che si riempiono le tasche di sassi furtivamente raccolti. Stranamente questo gesto superstizioso non mi spaventa più: anzi, mi ispira tenerezza… che bisogno ha l’uomo – penso tra me – di toccare, di vedere, di sentire il Trascendente! Lo fa come può, a livello della sua cultura. Il gesto di queste donne è nella linea di una millenaria tensione che si perde nella notte dei tempi: a Niaux, sui Pirenei, ho visto pochi giorni fa graffiti di uomini vissuti 20.000 anni prima di Cristo. Anche quei disegni testimoniano il bisogno umano dell’“al di là”!
Insomma: comincio a sentire il grido che si alza da Lourdes: un concentrato di dolori, di speranze, di fiducia. Questo grido diviene più chiaro quando i malati, nelle loro carrozzelle, sfilano nel caldo pomeriggio e si preparano alla funzione eucaristica. Il passaggio dei bambini infermi mi costringe ad un violento sforzo per impedirmi le lacrime. Non è più banale l’eterna domanda: «perché loro e non io, perché loro e non i miei figli?». Si capisce bene che alcuni ammalati vengono da istituti ed altri da famiglie anche ricche: a molti deve essere costato non poco accettare di mettere in mostra il proprio dolore mescolandosi a tanta umanità sofferente. Il mondo moderno fa di tutto per nascondervi, disabili, schizofrenici, paralitici, cancerosi, moribondi, ma qui vi mettono in piazza, vi collocano al centro della liturgia… Quanti di Voi ancora tra un mese vivrete? Siete una processione di condannati a morte… Ah, ecco, ora capisco e mi sento solidale completamente con Voi: che differenza c’è tra Voi e me, tra Voi e noi tutti? La Vostra tabe contagerà un giorno anche noi, i nostri figli e i figli dei nostri figli. In ogni caso tutti ci incontreremo con l’ultimo nemico: la morte, perché siamo tutti dei condannati a morte… dunque il grido di Lourdes è il mio grido. Esso si fa parola parlata nel silenzio della benedizione eucaristica. Quando Cristo, fattosi memoriale della sua passione e morte e quindi riassunto ontologico del dolore e della morte di tutti gli uomini, viene alzato in forma di ostia sulla testa di tutti, una voce alta e chiara diffonde attraverso gli altoparlanti – come tutti i giorni – il grido delle sorelle di Lazzaro: «Signore, colui che Tu ami è malato!».
Qualcosa si rompe dentro di me: lo avverto dal brivido nella schiena. C’è una concentrazione enorme di riflessioni teologiche in questo grido! Il bisogno di salvezza: ecco cosa dobbiamo sentire di nuovo.
La malattia fisica è provvidenziale perché mantiene vivo questo bisogno. Ma anche i miracolati di Lourdes morranno. È dunque la Salvezza Totale che noi desideriamo: il Salvatore mi appare l’esigenza fondamentale dell’uomo. Eppure, oggi, nel 1977, naufraghi come ieri in imminente pericolo di essere travolti, riusciamo a non intendere più il muggito del mare in tempesta. In ogni caso da più di un secolo l’uomo va sempre più convincendosi di potersi salvare da solo, con i mezzi della scienza, della cultura, della tecnica.
In mezzo al mondo è tornato a crescere il biblico albero proibito della conoscenza del bene e del male e l’uomo ne coglie i frutti riaffermando la sua autonomia da Dio, la sua autosufficienza, la sua capacità di fissare da solo i criteri del bene e del male.
SIGNORE COLUI CHE TU AMI È MALATO!
Oggi, a Lourdes nessun malato è balzato dal lettino dopo questa invocazione, ma è giusto che sia così. Tutti gli uomini sono malati e tutti hanno bisogno del miracolo. Perciò la guarigione di un infermo non può che essere un gesto raro e simbolico, segno e promessa di un miracolo totale («affinché voi sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere di rimettere i peccati io ti dico: Alzati e cammina!»).
SIGNORE COLUI CHE TU AMI È MALATO!
Che rasserenante mistero questo amore di Dio per l’uomo ferito!
Nel cuore dell’800, quando si ponevano le premesse di questa nostra epoca contemporanea, così carica di ambiguità, così ricca umanamente, ma così disponibile a fare del piacere il criterio fondamentale di scelta, a negare il peccato, così lacerante per l’esperienza cristiana, che ha visto il più grande scisma di tutti i tempi e cioè la separazione dei poveri (il proletariato! …) dalla Chiesa, Maria è apparsa ai poveri per ricordare in termini semplici il messaggio evangelico di salvezza: povertà, preghiera, cambiamento di mentalità.
Parto da Lourdes a fatica, con la sensazione di aver lasciato qualcosa da fare… come se dovessi ancora insistere nella riflessione… Come serbando una nostalgia non ancora sedata. È un latente invito a tornare?
Perché non tutti insieme, l’anno prossimo, caro Padre Bonfilio?
Carlo Casini
Fonte: Carlo Casini, Signore, Colui che Tu ami è malato!, in Notizie G. Amicizia, settembre-ottobre 1977
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