CORRISPONDENZA FAMILIARE

di Silvio Longobardi

Sono bambini, anche se non sono mai nati

2 Novembre 2020

provita

Che diremmo di una madre che colpisce mortalmente un neonato mentre lo abbraccia? Come minimo penseremo ad un gesto dettato dalla follia. Ma se una madre colpisce prima che il figlio nasca va tutto bene. I bambini non ancora nati sono forse meno umani di quelli già venuti alla luce?

Sono bambini anche se non sono mai nati. Sono stati uccisi nella forma più brutale quando attraversavano la prima stagione della vita, quella che tutti noi abbiamo conosciuto, quando si trovavano nel posto più sicuro possibile, nel grembo materno. Che diremmo di una madre che colpisce mortalmente un neonato mentre lo abbraccia? Come minimo penseremo ad un gesto dettato dalla follia. 

A scuola c’insegnavano che la città di Sparta, in perenne guerra contro Atene, non poteva tollerare figli deformi. Quelli che nascevano con qualche anomalia venivano gettati dal monte Taigeto. Una pratica che oggi farebbe inorridire molti ma che in quell’epoca appariva del tutto legittima, anzi l’unica possibile per custodire una società sana e combattiva. In realtà, gli storici ci avvertono che l’abbandono dei neonati non desiderati – e soprattutto delle femmine – era piuttosto diffusa in tutta la Grecia antica, quella che noi esaltiamo come patria della cultura. L’infanticidio era permesso anche nell’impero romano, quello che oggi viene esaltato come patria del diritto. 

Poi venne il cristianesimo… e ricordò al mondo che ogni uomo è immagine di Dio. Ogni uomo, anche il più povero, anche quello delle più umili origini. Ogni uomo porta in sé una traccia della luce divina. È un annuncio rivoluzionario che ha radicalmente modificato il modo di guardare la vicenda umana e ha posto le basi per il concetto di persona e per quella cultura dei diritti che oggi viene sbandierata come una conquista della modernità. Nella luce del cristianesimo, i diritti umani non sono una graziosa concessione dello Stato ma il riconoscimento di una realtà che appartiene alla natura umana ed è, in ultima analisi, fondata su Dio che, creando l’uomo a sua immagine, ha fatto della fragile esistenza di ogni uomo una realtà unica e irripetibile, qualcosa di sacro e perciò intangibile, cioè sottratto alle inevitabili differenti visioni della storia. Il solo fatto di appartenere alla razza umana è una specie di salvacondotto diplomatico che permette di attraversare ogni frontiera ideologica.

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Questa proposta è stata pienamente accolta nel mondo occidentale, ha trovato un ampio consenso ed ha generato una sua formulazione giuridica in migliaia di leggi nazionali e documenti internazionali. Il principio dell’intangibilità della vita umana è stato riconosciuto da tutti come un criterio ineludibile della convivenza sociale. Se oggi possiamo denunciare il razzismo e ogni forma di emarginazione, se possiamo e dobbiamo riconoscere il diritto delle persone disabili e delle minoranze, se possiamo difendere il diritto alla libertà di parola… insomma, se l’uomo non è una cosa ma una persona, lo dobbiamo a quell’immagine dell’uomo che scaturisce dalla Rivelazione biblica. 

Questo processo culturale, che ha trovato una particolare risonanza nel Novecento, abbraccia ogni ambito dell’esistenza. Tranne uno, proprio quello decisivo. L’inizio della vita umana, lo spazio che intercorre tra il concepimento e la nascita non viene più percepito come la necessaria premessa di una vita che gradualmente germoglia ma viene considerata una sorta di zona franca, nella quale la libertà della madre – si badi bene, della madre e non soltanto della donna – può agire nella maniera più arbitraria, senza dover dar conto a nessuno, neppure a se stessa. Come se quel piccolo essere accucciato nel grembo fosse soltanto una cosa, un miscuglio caotico di materiale biologico di cui possiamo disporre con assoluta libertà. E così, in nome della nostra libertà, togliamo ad altri il diritto di esercitare la loro. È il trionfo del totalitarismo individuale. 

Le immagini che in questi giorni arrivano dalla Polonia mostrano folle oceaniche che sfidano il Covid e il buon senso per chiedere, anzi pretendere, il diritto di uccidere i figli. Di questo si tratta. Siamo tornati all’antica Sparta. Anzi, molto peggio. “My body, my choice”, ripescando slogan che pensavamo obliterati dai dati sempre più precisi dell’embriologia. Evidentemente, quando si tratta di aborto la ragione rifiuta di percorrere i sentieri della scienza. Preferisce la menzogna e l’ipocrisia. Sarebbe più onesto dire: “Mio è quel bambino che porto in grembo e ne faccio quel che voglio”. Ma non si può. E allora facciamo finta che non esiste nessun bambino, è solo un ammasso di cellule senza valore. 

La pensa così anche Michela Murgia e tutti coloro che si scagliano contro i cimiteri dei feti abortiti. Non vogliono lasciare traccia, niente che possa ricordare l’esistenza di questi piccoli. Devono scomparire nel nulla. Segno di una cattiva coscienza che ha paura di confrontarsi con la verità. Eppure anche questi bambini appartengono alla razza umana, sono fratelli e sorelle di tutti noi.




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