Messale Romano

Il Nuovo Messale Romano il libro della comunità orante: il Gloria

Messale Romano

di don Antonio Mazzella

Continuiamo questo nostro approfondimento sulle novità introdotte dalla Terza Edizione del Messale Romano, ci soffermiamo in questo articolo sul cambiamento che interessa l’antico inno del “Gloria”.

L’inno del Gloria originariamente non venne composto per la celebrazione della Santa Messa ma lo ritroviamo nel patrimonio innico della Chiesa antica. È detto dossologia maggiore (inno che loda e glorifica Dio), per distinguerlo dalla dossologia minore che è il Gloria al Padre. Appartiene a quella famosa raccolta di inni della Chiesa, è tra i più famosi insieme al Te Deum e il Veni Creator Spriritus

Venne introdotto nella liturgia eucaristica tra la fine del IV secolo e l’inizio del V a Roma, per la celebrazione del Santo Natale presieduta dal Vescovo di Roma. Anticamente era riservato soltanto alle Messe domenicali e festive celebrate dal Vescovo, era lui infatti che intonava solennemente il canto del Gloria. Ai presbiteri era concesso soltanto a Pasqua, e più tardi anche nell’anniversario della propria ordinazione. Solo più tardi i presbiteri ottennero di poter intonare l’inno anche a Natale e, infine al pari dei vescovi, in ogni Messa che avesse un carattere festivo. Prima di presentare il cambiamento vogliamo anzitutto comprendere cosa sia quest’inno che ritroviamo nelle nostre liturgie domenicali e non, come ci viene presentato oggi nell’Ordinamento Generale del Messale Romano. 

Al numero 53 leggiamo: “Il Gloria è un inno antichissimo e venerabile con il quale la Chiesa, radunata nello Spirito Santo, glorifica e supplica Dio Padre e l’Agnello. Il testo di questo inno non può essere sostituito con un altro. Viene iniziato dal sacerdote o, secondo l’opportunità, dal cantore o dalla schola, ma viene cantato o da tutti simultaneamente o dal popolo alternativamente con la schola (coro), oppure dalla stessa schola. Se non lo si canta, viene recitato da tutti, o insieme o da due cori che si alternano. Lo si canta o si recita nelle domeniche fuori del tempo di Avvento e Quaresima; e inoltre nelle solennità e feste, e in celebrazioni di particolare solennità”.

È bene sottolineare che si tratta di un inno, cioè per la sua forma e la sua struttura è opportuno che venga cantato da tutta la comunità radunata e che questa, come accade di solito, non resti in silenzio e solo il coro canti, qualora non vi fosse la possibilità viene recitato con l’attenzione e il raccoglimento per le parole che si stanno pronunziando. Durante il canto o la recita del Gloria bisogna ricordare che al momento in cui si nomina il nome di Gesù, bisogna effettuare un inchino con il capo (da non confondere con l’inchino profondo o di tutto il corpo che effettuiamo ad esempio nella recita del Credo durante le parole: E per opera dello Spirito Santo) come segno di riverenza e onore al Santissimo Nome di Gesù. 

Uno sforzo liturgico e pastorale è quello di educarci al canto durante le nostre liturgie, dovremmo guardarci oggi dallo scegliere dei Gloria che non permettono la partecipazione dei fedeli e invitano l’intera assemblea a mettersi seduta, in posizione di ascolto passivo. Qualora si volessero scegliere alcuni Gloria o canti che appartengono al repertorio storico-liturgico della Chiesa, bisogna coinvolgere il popolo proponendo incontri formativi anche sul canto, ricordando che non è un appendice della liturgia o qualcosa di utile a coprire silenzi ma vera e propria preghiera. Andando alla variante che verrà introdotta prossimamente è relativa all’incipit dell’intero inno, non pregheremo più con le parole “Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buon volontà” ma con questa variazione “Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini amati dal Signore”. 

La scelta adotta è in linea con la traduzione del testo biblico di riferimento tratto dal Vangelo di Luca al capitolo 2 versetto 14; come nel Lezionario così anche nel Messale viene utilizzato questa nuova traduzione che rendere maggiormente comprensibile una verità teologica: la pace è pienezza dei doni messianici e gli uomini di buona volontà sono in realtà gli uomini che Egli (Dio) ama, che sono cioè oggetto della volontà di salvezza di Dio che viene a compiersi. Per esigenze di cantabilità il testo liturgico per consentire l’uso di alcune melodie già in uso, modifica leggermente l’espressione “amati dal Signore”.




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