26 ottobre 2020

26 Ottobre 2020

Il protocollo dei cristiani

di Giovanna Abbagnara

Domenica sera ore 20, la pizzeria del mio piccolo paese di campagna è semivuota. Il fine settimana all’insegna del terrore ha prodotto i suoi frutti sperati. Nel dubbio, meglio rinunciare alla pizza usuale. C’è aria di sconforto. Sono quattro le famiglie che si sostengono attraverso questa piccola attività. “Quanto potremmo resistere?”. È una domanda che il giovane e di solito entusiasta pizzaiolo rivolge più a se stesso che a me. Anche perché, quale risposta potrei dargli?

Nel pomeriggio mi ha chiamato un’amica che vive in un paese della costiera amalfitana. Nei giorni scorsi c’è stato un picco di contagi, il sindaco di Maiori (SA) ha chiesto misure più restringenti, tra questa anche la chiusura di tutte le chiese. “Ci tolgono il pane della domenica! E ora come faremo?”.

Sono solo due episodi, altri certamente si possono raccontare. Sono il segno del disorientamento che imperversa ormai da mesi. Il nuovo decreto del Governo sembra l’ennesima dichiarazione di fallimento e certamente allarga la forbice tra i lavoratori autonomi, le piccole imprese, gli artigiani e chi invece, si vede comunque garantito lo stipendio sia che lavori in presenza sia che lo faccia in smart-working. Le rivolte violente che si sono svolte a Napoli e a Milano tuttavia, sono anch’esse l’espressione più bieca di un sistema criminale che sfrutta la preoccupazione e la disperazione delle persone. È inaccettabile.

Così come è inaccettabile che un sindaco decida la chiusura delle chiese del suo Comune per di più, in un giorno così importante come quello della domenica. Fino a prova contraria le parrocchie nel tempo della pandemia sono stati i luoghi più sicuri e certi in termini di rispetto del protocollo sanitario. Perché sono state chiuse e trattate come qualsiasi altra attività commerciale?

Le regole vanno rispettate, le rinunce vanno fatte. È necessario ma non perché lo dice il Governo o lo detta la paura cieca. È un senso di responsabilità nei confronti dei soggetti più deboli. Evidentemente se lo Stato non ha messo in atto quando poteva tutte le misure per arginare la seconda ondata, ci dobbiamo pensare noi a salvaguardare quei fratelli più fragili che rischiano grosso ammalandosi di Covid a causa di patologie pregresse.

Detto questo però è necessario rispondere anche ad una domanda di senso significativa. In questo clima, tra paura e terrore, tra negazionisti e allarmisti, tra pavidi e sprezzanti del pericolo, qual è il ruolo delle parrocchie, della comunità religiose e dei movimenti? L’impressione è che cerchiamo di seguire l’andamento dei decreti governativi senza far tesoro delle conseguenze che la chiusura delle chiese ha avuto nella comunità cristiana. In alcuni ha alimentato il desiderio del ritorno alla liturgia, altri invece hanno pensato che se si è fatto a meno per un lungo periodo, allora non è un momento necessario alla vita cristiana. Per non parlare poi della completa sospensione delle attività pastorali: visite agi ammalati, chiusura dei percorsi di fede, catechismo, oratori, impossibilità di celebrare le esequie per un proprio caro… Penso anche alla solitudine di molti parroci. La vita comunitaria è un pilastro della vita di una parrocchia e di conseguenza dell’esistenza di un prete. Non è stato certamente facile vivere tutto questo.

Ora però non possiamo accettare che l’evangelizzazione e la vita sacramentale si fermi di nuovo. La Chiesa, attenta ai segni dei tempi, deve ripensare di continuare la sua opera in sicurezza ma con convinzione. Rischiamo che la paura e il terrore, l’igiene e il distanziamento diventino i nuovi idoli ai quali consacrare i nostri pensieri. Il nostro cuore invece deve rimanere fermo in Dio e nei fratelli. Penso agli anziani, ai giovani, alle famiglie. La comunità cristiana deve ridare speranza. Contro il terrore che l’incapacità dei governanti genera nei cuori, dobbiamo riportare i cristiani alla bellezza dello stare con Gesù. Lo diceva anche ieri papa Francesco all’Angelus: “L’amore per Dio si esprime soprattutto nella preghiera, in particolare nell’adorazione. Noi trascuriamo tanto l’adorazione a Dio. Facciamo la preghiera di ringraziamento, la supplica per chiedere qualche cosa…, ma trascuriamo l’adorazione. È adorare Dio proprio il nocciolo della preghiera. E l’amore per il prossimo, che si chiama anche carità fraterna, è fatto di vicinanza, di ascolto, di condivisione, di cura per l’altro”.

Ieri nella Diocesi di Amalfi-Cava, due giovani fidanzati hanno celebrato il loro matrimonio rinunciando al pranzo e alla festa. “È molto più importante per noi restare fedeli all’appuntamento con Dio”. Ieri due fratellini, figli di un mio collega, hanno celebrato la loro Prima Comunione. Nessuna festa, solo intimità, gioia e tanto amore da parte dei genitori che hanno fatto di tutto per rendere speciale questo giorno. Non lasciamoci rubare questa gioia. È il tempo di tornare all’essenziale. E l’essenziale non è la sicurezza sanitaria, quella è frutto del buon senso e del vivere civile. Il centro per un cristiano è Dio. Seguiamo il Suo protocollo.


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