24 ottobre 2020

24 Ottobre 2020

Eliminare i disabili per eliminare la domanda sul senso della vita

di Giovanna Abbagnara

“Polonia, oscurantista e malvagia”. “È un’infamia dello Stato polacco: i giudici si sono dichiarati contro l’eugenetica e a favore del diritto alla vita dei neonati, anche se malati, dimenticando che si tratta molto spesso di feti incapaci di vivere in modo autonomo”. “La Polonia diventa l’inferno per le donne”. “Decidere sul divieto di aborto, nel pieno dell’epidemia che si sta diffondendo, non è solo cinismo, è di più: si tratta di malvagità politica”. Potrei continuare a riportare le reazioni di dissenso che da più fronti si sono alzati contro la decisione della Corte Costituzionale di Varsavia che vieta l’aborto in Polonia anche in caso di malattie e malformazioni del feto. Un verdetto dell’Alta Corte, sotto la guida della presidentessa Julia Przylebska, che risponde ad un ricorso presentato da 119 deputati – per lo più del partito conservatore al governo Diritto e giustizia (Pis) – tre anni fa. Le reazioni erano del tutto prevedibili.

La decisione della Corte polacca è decisamente di questi tempi una voce fuori dal coro. Erano mesi, forse anni che non leggevo una buona notizia sul fronte dei temi legati alla vita nascente. In un tempo in cui l’eugenetica si sta radicando nella mentalità comune tanto da non fare più orrore, da non suscitare nemmeno indignazione, la Polonia cerca nuovamente di invertire la rotta a favore delle vite più fragili. Sappiamo infatti che purtroppo in molti Paesi, compresa anche la Polonia, l’applicazione concreta della legge che permette l’aborto è molto più larga di quanto dovrebbe essere sulla carta e porta ad abortire nascituri per il solo fatto di avere un handicap o la sindrome di Down. Questa decisione invece salverà molte vite, proteggerà i bambini nel grembo materno e favorirà la diffusione di una cultura della vita come un bene prezioso da custodire e da proteggere.

Tutti gli altri Paesi si muovono in direzione opposta. Basti pensare all’Islanda dove negli ultimi anni la percentuale di aborti di bambini con sindrome di Down è vicina al 100%. Nell’isola dell’Europa settentrionale nascono in media uno-due bambini all’anno con la trisomia 21, mentre diversi altri bambini non vengono alla luce dopo l’esito dei test prenatali che individuano la sindrome con un’accuratezza dell’85%. Quei test sono facoltativi, ma per il governo tutte le mamme in gravidanza devono essere informate sulla loro disponibilità e il risultato è che tra l’80 e l’85% delle donne si sottopongono allo screening prenatale e – se emerge l’esistenza della sindrome – nella gran parte dei casi si prende la decisione di abortire. Certo, se così fan tutte! Se i medici consigliano alle donne l’aborto! Se nel dubbio dei test di screening, meglio eliminare, qui non si sta combattendo la sindrome di down, si sta solo uccidendo chiunque l’abbia. C’è una bella differenza.

Peccato che le reazioni di protesta sono sempre e comunque in una sola direzione: salvaguardare i diritti della donna, non mettere al mondo bambini infelici (non ne conosco di persone con sindrome di Down infelici, voi sì?), evitare di incontrare persone che non corrispondono ai nostri canoni di perfezione, etc…

In questi casi io direi, perché non dare voce invece a quei genitori che si battono per questi figli speciali, perché non parlare della loro fatica ma anche della gioia di essere genitori di bambini straordinari? Perché non parlare di uno Stato assente nei confronti delle persone con disabilità? La Polonia ci invita a cambiare direzione. A non andare dietro alla cultura della morte che ci accerchia e soffoca ogni anelito di speranza. La malattia, la disabilità spesso fa paura, è vero ed è normale. Fa parte della condizione umana, eliminarla non risolve il nostro disagio. Anzi l’amplifica a dismisura. Selezionare ciò che non vediamo per diminuire ciò che vediamo non rende la nostra vita migliore. Semplicemente più misera e povera. È ora che ce ne rendiamo conto.


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