6 ottobre 2020

6 Ottobre 2020

Lei non era la mia donna ideale

di Giovanna Abbagnara

Qualche settimana fa mi è arrivata, dopo una trasmissione su Radio Maria, la lettera di uno sposo.

Ciao Giovanna, sono Michele ho 44 anni e sono avvocato. Ho conosciuto mia moglie Livia all’università. Gli anni di fidanzamento sono stati bellissimi. Avevamo gli stessi gusti, ci piaceva il cibo messicano, amavamo viaggiare e scoprire posti nuovi, guardavamo gli stessi film. L’unica cosa che non abbiamo mai condiviso è stata la fede. Ad un certo punto abbiamo deciso di sposarci, liturgia nuziale in Chiesa, abito bianco, felicità piena. Fino a che è arrivato Giorgio, il nostro primo figlio e con lui tra noi è cambiato tutto. A lei dava fastidio tutto quello che facevo e dicevo, sembrava infastidita dalla mia presenza. Le attenzioni e le cure erano solo per Giorgio…Pensavo che avessimo avuto la nostra vita felice, pensavo di condividere con lei la mia fede, trasmetterle la gioia che provo quando prego e invece mi ritrovavo ad essere profondamente deluso da lei e da me stesso per averla scelta. Dov’era finita la sua dolcezza? Dov’era finita la stima nei miei confronti? Mi denigrava continuamente come se fossi un buono a niente”.

Michele vive la delusione dell’amore. Francesca non è la sposa che avrebbe voluto. Si sente denigrato dalle sue parole e dal suo atteggiamento. Vive un senso di fallimento e di rabbia anche nei confronti di se stesso perché si è innamorato di una donna che non corrisponde più al suo ideale. Vede che non è riuscito a convincerla a condividere con lui il suo cammino di fede e si sente fallito come marito e come cattolico. Sono certa che se mi trovassi a presentare l’esperienza di Michele ad un tavolino di un bar con le amiche, la maggior parte mi direbbe di scrivergli che si può resistere fino ad un certo punto, che se proprio lo fa soffrire così tanto il comportamento della moglie, c’è sempre la separazione. Certo è un po’ dolorosa quando c’è un figlio di mezzo ma ciò che conta è avere due genitori felici piuttosto che due infelici che fanno finta di stare insieme, no?

Questo è oggi il pensiero dominante. Vorrei tentare di offrire però un’altra prospettiva, una strada più complicata, forse anche più dolorosa ma che certamente esprime una coscienza di fede. Per prima cosa è necessario nell’amore fare i conti con la disillusione. L’altro non è chiamato a realizzare i miei progetti e le mie speranze. Quando ci carichiamo eccessivamente di attese, anche in cose giuste e sante come aspettarsi quel messaggino al mattino di scuse dopo un banale litigio della sera precedente o di essere accolto a casa da un sorriso pieno di gioia e invece neanche ti guarda, può accadere di caricarsi di quelle piccole attese che frantumate appesantiscono il cuore e lo sguardo sull’altro. Conosco donne che si sono sposate con l’idea di cambiare il proprio marito con il loro amore, attuando tutta una strategia per adattarlo alle proprie aspettative fino a restare profondamente deluse dalla non riuscita dell’opera. Queste donne spesso vivono il fallimento metabolizzando fino a trasformarlo in depressione o ansie, sindromi molto nocive per la loro salute psichica e relazionale.

Il secondo aspetto lo suggerisce Papa Francesco in Amoris laetitia ed è quello dell’amabilità. “Uno sguardo amabile ci permette di non soffermarci molto sui limiti dell’altro, e così possiamo tollerarlo e unirci in un progetto comune, anche se siamo differenti”. Se continuamente attacco l’altro, critico le sue parole, le sue azioni, il suo lasciare le scarpe in giro per la casa, il fatto che non metta mai i panni nel cesto giusto della biancheria sporca, il brutto vizio di riempire il lavandino di dentifricio quando si lava i denti, giorno per giorno la stima viene meno e con la stima anche l’amore si inaridisce.

C’è un altro tratto che decisamente ritengo più importante e che ahimè è anche più spinoso e che riguarda il valore della sofferenza e del dolore. Amare significa soffrire. Per i cristiani amare significa accogliere la croce, amare secondo la misura di Cristo, amare come Lui. Fino a dare la vita. Chi lo ha detto che il matrimonio è la tomba dell’amore? Lo diventa se rifiutiamo di amare come Cristo ci ha insegnato, se cerchiamo la nostra felicità e non la fedeltà alla chiamata di Dio. Il matrimonio è una vocazione e come tutte le vocazioni è un cammino di perfezione. Per giungere a cosa? Per giungere ad amare come ci ha amati Cristo. Donando la sua vita per la salvezza dell’altro. Difficile certo, ma garantito al 100%.


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1 risposta su “Lei non era la mia donna ideale”

Brava Giovanna. Se qualche volta si ha la capacità di stringere i denti, il matrimonio è un lungo brivido di poesia che ti attraversa per tutta la vita. Altro che tomba dell’amore!
Un abbraccio
Gianni Mussini

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