29 settembre 2020

29 Settembre 2020

“Dio vive in Olanda”: la piccola e fedele porzione di Chiesa

di Giovanna Abbagnara

I numeri contano è vero ma più delle analisi e delle statistiche, nella fede ciò che conta è l’adesione forte e incondizionata a Gesù Cristo. È questa fede che risplende come una luce fioca ma in grado di illuminare la storia e il cammino di un’intera nazione.

È noto a tutti come l’Olanda sia un Paese votato alla scristianizzazione. Atea, libertaria, iper-individualista, la società olandese presentata ai più come un modello dove vivere, conta sempre meno cattolici.

I primi segni di una secolarizzazione tra la comunità cattolica si potevano già osservare negli anni Venti e Trenta del secolo scorso. Nelle grandi città c’erano già cattolici che non andavano più in chiesa, che non facevano più battezzare i figli. Il fenomeno si è intensificato dopo la Seconda Guerra mondiale. Nell’ottobre 1947 c’è stato un simposio nel Seminario minore dell’arcidiocesi di Utrecht nel quale alcuni preti e laici si sono radunati per studiare questo problema. Hanno parlato dei problemi della pastorale e hanno formulato la previsione che un grande numero di battezzati avrebbe lasciato la Chiesa in modo silenzioso nei decenni che sarebbero seguiti. Hanno avuto ragione, perché vent’anni dopo la Chiesa olandese s’è svuotata in modo molto rapido. Karol Wojtyla visitando alla fine degli anni Quaranta l’Olanda, quando faceva la sua tesi di laurea all’università di Lovanio, nel vicino Belgio, osservò una mancanza di una vita spirituale, di un legame personale con Cristo.

In un’inchiesta pubblicata a gennaio 2020 dalla rivista olandese Katholiek Nieuwsblad si presenta il triste e diffuso fenomeno della chiusura delle chiese evidenziando nello stesso tempo che questo non costituisce un grave problema per le comunità perché “oggi gli assistenti sociali, associazioni per anziani o sportive hanno preso il posto della parrocchia nella vita degli abitanti come luogo di incontro e aggregazione”.  Con grande realismo ma anche grande entusiasmo il cardinale Willem Jacobus Eijk, arcivescovo di Utrecht e primate di Olanda dal 2008 non ci sta e in un recente libro-intervista con Andrea Galli: «Dio vive in Olanda» (Ares 2020) racconta la situazione attuale ma anche la scintilla che i giovani stanno accendendo in tanti luoghi del Paese. Non è certo semplice il suo ruolo. I cattolici olandesi sono scesi da 5,5 milioni che erano nel 1990 a un po’ meno di 4 milioni oggi, e dal 37 al 23 per cento della popolazione.

Un dato che fa tremare i polsi, tuttavia il cardinale Eijk si preoccupa di mantenere viva la fede anche solo di una piccola porzione. Ciò che gli interessa è l’adesione personale e la vita spirituale dei fedeli della sua chiesa.

In una recente intervista rilasciata alla Nuova Bussola Quotidiana, il primate olandese dice: “La Domenica delle Palme coincide con un’attività della pastorale giovanile della mia arcidiocesi, che prevede un’ora di Adorazione. I nostri giovani amano tantissimo l’Adorazione, amano la preghiera silenziosa. Durante quell’ora offriamo sempre la possibilità di confessarsi, e praticamente tutti i giovani presenti si confessano, mentre quando si parla di confessione con la generazione più anziana, le reazioni sono molto negative, ostili: «Non facciamo più queste cose». Mentre non si vede questo fra i giovani, sono molto aperti sulla confessione. Il numero dei cattolici sta sempre diminuendo, ma la qualità sta aumentando, e questo è un segno di speranza”.

E poi aggiunge con parole che rimbombano come una profezia: “In un futuro non lontano la Chiesa in Olanda sarà molto piccola, ma sarà una Chiesa con una fede forte, che potrà essere il lievito del Regno di Dio nella società di domani. Non sono un arcivescovo disperato, però dobbiamo accettare che la Chiesa in Olanda diventerà molto piccola. Io sto chiudendo molte chiese, forse un terzo delle chiese nell’arcidiocesi di Utrecht sarà chiuso prima del 2020 e due terzi prima del 2025. Forse saremo in grado di mantenere un 20 parrocchie forse con una o due chiese ciascuna, mentre negli anni Sessanta erano quasi 400: è una diminuzione enorme. Ma quando i parrocchiani hanno una fede forte, profonda, questo potrà essere il lievito del futuro: questa è la mia speranza per il tempo a venire”.

Ecco l’analisi di un pastore, di un uomo di Dio che non si adegua ai tempi cercando di ammorbidire il messaggio evangelico o adattandole alle mode. È vero noi cattolici camminiamo verso una diminuzione del numero di coloro che aderiscono alla fede ma quella piccola porzione, fedele al Vangelo, unita a Gesù, può continuare a risplendere come un astro e fare la sua parte fin che Dio vorrà. Le analisi servono, gli interventi sociali anche, ma ciò che più conta per i cattolici è preoccuparsi di donare il pane della vita, di trasmettere ai giovani quella fede capace di “spostare le montagne” e dare senso all’esistenza. Il contesto culturale e sociale diventerà sempre più ostile, cosa fare allora? Resteremo in ginocchio come ci insegnano i santi.


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