8 settembre 2020
8 Settembre 2020
Tutto dipende da Dio
di Giovanna Abbagnara
Niente prima Comunione ai bambini che non fanno il tampone per diagnosticare il coronavirus. È la decisione presa qualche giorno fa e poi portata a termine dalla prima cittadina di Galeata, un paese di 2500 abitanti nel Forlivese, in comune accordo con il parroco don Massimo. “A Galeata i contagiati sono per lo più persone giovani e tra questi abbiamo anche un bambino. A fronte di ciò, ho ritenuto necessario interpellare il servizio di Igiene Pubblica Ausl, dal quale ho avuto disponibilità per sottoporre a tampone tutti i bambini che riceveranno il Sacramento. Visto che il tampone sarà su base volontaria, rendo noto, in accordo con il nostro Parroco Don Massimo, che coloro che non effettueranno l’esame, peraltro gratuito, non potranno partecipare al rito, a tutela degli altri bambini”.
Non sono una negazionista voglio chiarirlo subito ma sono una cattolica e quello che è successo a Galeata mi interpella molto sul senso della nostra fede. I politici, i sindaci fanno il loro mestiere. Intervengono, spesso con ottime intenzioni, si concentrano su quello che è la loro gestione della cosa pubblica ignorando i fondamenti della fede cattolica. Non mi stupiscono i loro comunicati intrisi di retorica ma mi ferisce il silenzio del parroco, la triste accondiscendenza, quella frase finale del comunicato della sindaca: “Tutto dipende da noi!”. E qui casca l’asino dovremmo rispondere noi cristiani. Non perché viviamo aspettando la morte come una liberazione e cerchiamo di contagiarci di Covid senza temerlo ma perché crediamo innanzitutto che tutto dipende da Dio e per quanto “l’uomo si affanni non può aggiungere un giorno alla sua vita” e che l’unico motivo per cui non si può accedere alla Santa comunione è il fatto di essere in peccato mortale. Le malattie non sono contemplate tra i motivi ostativi all’accesso ai sacramenti.
Questi fondamenti non impediscono ad un cristiano di vivere rispettando le regole. Anzi anche il modus vivendi all’interno della comunità civile è segno della fede che professiamo ma non possiamo accettare l’arroganza di chi a gamba tesa entra nel tempio di Dio e dispensa le sue decisioni come diktat e tutti, compreso il povero parroco, pensano che questo sia il bene di tutti.
Il caro Guareschi forse risponderebbe attraverso le parole di don Camillo, il quale a un pretino che gli chiede se sappia cosa ha detto il Concilio, dice con semplicità: «Ma è roba troppo difficile per me. Io non posso andare più in là di Cristo: Cristo parlava in modo semplice, chiaro […]. Non usava parole difficili, ma solo le umili e facili parole che tutti conoscono. […] Io capisco solo i fatti […]. Milioni di persone non hanno più fede religiosa». È su questo che forse noi cristiani dovremmo verificarci.
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