Crisi coniugale
“Che cosa poteva mancargli se avevamo tutto? Una casa, il lavoro, i figli… cosa voleva di più?”
di Giovanni e Roberta Casaroli, di Retrouvaille Italia
Non basta un lungo fidanzamento o un sentimento grande. Per amarsi “per sempre” è necessario scegliersi razionalmente ogni giorno. Questo è il fil rouge della storia di oggi che arriva dall’esperienza del programma Retrouvaille.
GIOVANNI
Dovevo presentarle un resoconto delle spese, ma mancavano moltissime ricevute. Lei lavorava nell’ufficio del personale dell’azienda da cui ero stato assunto da poco. Mi guardò con fare autoritario e mi rimproverò per le mie mancanze: avrebbe dovuto lavorare per la mia disattenzione e io mi sentivo in difetto. Ma la luce che aveva negli occhi non mi ispirava rimprovero, bensì un certo interesse. Non riuscivo a toglierle lo sguardo da dosso. Cercai di prolungare quel lavoro di sistemazione il più possibile, solo per rivederla ancora. Ogni volta che la incontravo mi sentivo sempre più elettrizzato. Ero attirato dal suo sguardo e dai suoi modi decisi, ma pieni di grazia. Mi accorsi che, in fondo, anche a lei non dispiaceva prolungare quel lavoro. Allora osai un invito per un caffè. Dal caffè si passò all’uscita con gli amici. Poi un giorno, col pretesto di scriverle una mail di lavoro, che non era affatto di lavoro, le chiesi di uscire noi due da soli. Lei accettò. Che gioia e che orgoglio provai! La serata fu stupenda, lei era bellissima come una principessa. Era proprio lì, di fianco a me, a chiacchierare di tutto come se ci fossimo sempre conosciuti. Non volevo affrettare le cose e la serata si concluse così: senza il bacio che desideravo tanto darle. Uscimmo altre due o tre volte, approfondivamo la nostra conoscenza e sentivo che mi stavo innamorando sempre di più, fino a quando una sera, in piazza del Duomo, la baciai. Quel bacio tanto atteso era l’inizio della nostra avventura insieme, del nostro C’era una volta. Le giornate insieme a Laura volavano velocemente: i suoi occhi innamorati da togliere il fiato, le nostre differenze che non ci davano fastidio, anzi ci completavano. Mi sembrava di vivere in una fiaba dove noi eravamo i protagonisti e niente, nessuna strega, avrebbe potuto dividerci o allontanarci.
LAURA
Ci siamo sposati in un piccolo Santuario vicino al mio paese, dopo quattro anni di fidanzamento. La nostra piccola casa a me sembrava una reggia: il posto più bello dove stare per costruire il nostro amore. Mi vedevo una moglie affettuosa e dedita a Giovanni e una donna impegnata nel proprio lavoro con soddisfazione. Pensavo di poter rivestire tutti questi ruoli grazie all’aiuto e alla vicinanza che Giovanni mi avrebbe dato. Ero certa di condividere il valore dell’indissolubilità del matrimonio e della fedeltà coniugale. Non mi spaventava il per sempre perché sentivo che la nostra unione era davvero speciale. Era come vivere in una delle favole che mi raccontavano da bambina. Ero sicura che avremmo superato le difficoltà che, forse un giorno, si sarebbero presentate. Ero certa che qualsiasi cosa potesse succedere, non ci saremmo nascosti nulla ma, parlandone, avremmo trovato tutte le soluzioni necessarie per stare bene insieme. Giovanni era davvero la persona che faceva per me, il mio principe azzurro. Arrivò anche il momento dei figli. Di ritorno da un viaggio in Africa scoprii di essere inaspettatamente incinta: fui presa da gioia e timore allo stesso tempo. Ma le rassicurazioni di Giovanni lasciavano il posto solo alla bellezza e alla felicità di diventare genitori. Con la nascita della prima figlia il nostro rapporto è passato in secondo piano: non eravamo più solo una coppia innamorata, ma anche genitori molto presi. Questo nuovo ruolo ci gratificava e ci rendeva orgogliosi di avere costruito una famiglia. È poi arrivato il secondo figlio e il tempo che rimaneva per la nostra relazione era sempre meno. Avevo due bellissimi bambini e mi sentivo una madre felice e appagata, anche se la stanchezza prendeva il sopravvento sulla relazione tra me e mio marito e per noi rimaneva sempre meno tempo.
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GIOVANNI
Il periodo più difficile cominciò con la conferma dell’arrivo del nostro terzo figlio. Quella gravidanza ci aveva sconvolti e preoccupati. La nostra relazione, già messa alla prova dalla gestione di due bambini piccoli, fu relegata in un angolo: veniva sempre dopo tutti gli impegni quotidiani e, spesso, non rimaneva né tempo né voglia per dedicarci a noi, per alimentare il nostro amore, che era solo un sentimento in balia degli eventi e si stava estinguendo. Ero convinto che questa situazione fosse causata da Laura che, presa dagli impegni della famiglia, non ascoltava le mie esigenze. Sentivo un profondo bisogno di attenzioni che non venivano corrisposte. Avevo l’impressione di essere un peso per lei, non più il principe, ma anch’io un figlio che fa i capricci e mi sentivo sminuito come fossi l’ultima ruota del carro. Cercavo di spiegare a Laura i miei bisogni, a volte con la dovuta calma, altre volte lasciando uscire la rabbia che avevo dentro, e questo peggiorava il nostro rapporto. Iniziavo a mettere in dubbio il suo amore per me, non la sentivo più mia complice, non riuscivo più ad essere me stesso con lei, la vedevo con occhi diversi. Mi sentivo diffidente e insoddisfatto della nostra relazione e questo mi portava spesso a chiudermi nel mio rancore per non essere più ferito. Altre volte nutrivo liberamente il desiderio di rivalsa, lasciandomi andare all’idea di vendicarmi per come mi sentivo trattato. Per non soffrire, mi allontanai progressivamente dalla mia principessa: la vicinanza con lei mi feriva.
LAURA
I figli sono stati una grande gioia. Una gioia che però si deve saper coniugare con il quotidiano. Assorbivano tutto il tempo e non trovavo il modo di riposarmi o di fare qualcosa per me. Troppo spesso mi sentivo costretta nel mio ruolo di madre, che prevaleva su tutto. Il mio profondo senso del dovere mi riportava ad essere premurosa e dedita alla famiglia nonostante le fatiche: volevo arrivare a fare tutto nel migliore dei modi e quando non ci riuscivo pretendevo da Giovanni l’aiuto che mi mancava. Avevo bisogno di un uomo che mi aiutasse e che alleggerisse il mio compito di madre quando ero troppo stanca. Ma non sempre succedeva e iniziarono a nascere incomprensioni tra di noi. Avevo vissuto i primi anni del nostro matrimonio nella cieca sicurezza che il nostro rapporto fosse felice e avevo costruito la mia vita in due da sola, secondo un mio progetto bello e giusto, con la presunzione che andasse bene anche a lui. La casa in ordine, le necessità dei figli, il lavoro… Ogni cosa aveva una priorità e il posto di Giovanni era dove avanzava tempo, o forse non c’era proprio. Giovanni provava a comunicare con me: mi diceva che si sentiva insoddisfatto, che gli mancava qualcosa… Io non capivo, non volevo capire, non volevo che si rompesse l’incantesimo di serenità e tranquillità nel quale vivevo. Che cosa poteva mancargli se avevamo tutto? Una casa, il lavoro, la salute, i figli… cosa voleva di più? Non ho saputo interpretare il suo malessere, anzi lo criticavo e lo giudicavo un egoista per le sue richieste di attenzioni. Non mi ero presa cura delle sue manifestazioni di insofferenza e delle sue insoddisfazioni, le avevo sottovalutate e male interpretare. Non mi ero resa conto che Giovanni soffrisse così tanto, ai miei occhi tutto era successo inavvertitamente. Ero come addormentata in un castello meraviglioso che avevo costruito e non riuscivo a svegliarmi in alcun modo.
GIOVANNI
Era una collega di lavoro. Mi sorrideva sempre quando ci incontravamo in azienda. Davanti ai suoi occhi e alle sue parole mi sentivo desiderato e l’idea di conoscerla meglio mi affascinava. Era solo uno gioco! Che male avrebbe fatto? Pian piano, però, diventava sempre più coinvolgente e serio. Questa collega faceva uso di sostanze stupefacenti. All’inizio pensavo di poterla aiutare a uscire da quella dipendenza. Bastò un bacio per spezzare un incantesimo: lei doveva staccarsi dalla droga e io da un castello pieno di spine. C’eravamo trovati! Ma le cose andarono diversamente: iniziai a farne uso anch’io, insieme a lei, e mi trovai sempre più invischiato nella dipendenza. Quello stravolgimento pazzesco che avevo iniziato mi cadde addosso repentino come la grandine d’agosto sulla vite. Cercavo di tenere tutto nascosto a Laura, ma quelle bugie pesavano come macigni. Entrai in un vortice di eventi che mi trascinava inesorabilmente verso il fondo. Finalmente mi stavo prendendo la mia rivalsa, stavo dando sfogo a tutta la mia rabbia repressa eppure questo mi faceva molto male. Non riuscivo più a guardare Laura e i miei figli negli occhi: riflettevano le mie bugie. Ma non riuscivo più a fermarmi, era come se dovessi per forza toccare il fondo, dovevo arrivare al limite della disperazione e proseguire la mia folle corsa. Mi sentivo vittima dell’incantesimo di una strega cattiva, ma affascinante. Seguirono altri tradimenti, altre bugie, altra droga. Ma l’ultima scintilla di responsabilità che avevo mi spinse a confessare tutto a Laura.
LAURA
In un attimo ho visto crollare la mia vita. Ho visto crollare il mio castello da fiaba davanti ai miei occhi, senza poter fare nulla. Era passato dentro di me un uragano e, con la sua forza e potenza, aveva distrutto tutto quanto. Ma non mi aveva svegliata. Al contrario: ero passata dal sonno a un coma profondo. Il tradimento, la droga… cos’altro mi nascondeva? Preferivo non sapere! Mi chiusi sempre più in me stessa e nel mio silenzio, persa nella mia disperazione; brancolavo nel buio completo, come quando ogni luce della strada improvvisamente si spegne e anche la via di casa diventa buia, cieca e fredda. Avevo innalzato alte barriere tra noi, fatte di ostilità e aggressività nei suoi confronti. Il nostro castello era ormai circondato da un roveto di spine: io ero dentro e lui era fuori. Un pomeriggio di marzo, rientrando a casa, trovai una lettera in cucina. Era il suo addio. Se n’era andato di casa e mi aveva lasciata. Non avrei voluto più svegliarmi. E non avrei potuto dal momento che il mio principe, quello che con un semplice bacio avrebbe risolto tutto, non c’era più.
GIOVANNI
Ero combattuto tra il desiderio di tornare ad essere una persona rispettabile e onesta, degna di guardare Laura e i miei figli negli occhi senza provare vergogna, e la paura di abbandonare quel mondo fasullo che mi ero costruito negli ultimi mesi, dove trovavo e mi prendevo le attenzioni che tanto mi mancavano rischiando, però, di ritrovarmi solo ad aspettare una vicinanza con Laura che, forse, non avrei mai più ritrovato. Ma decisi di dare una svolta vera e concreta e vincere la paura di mollare ciò che mi ancorava al passato. Mi ribellai all’incantesimo e decisi di tornare ad essere un principe capace di sradicare quel roveto di spine. Ma non sapevo come fare. La soluzione mi arrivò dal consiglio di un caro cugino, al quale avevo confidato tutta la mia storia. Mi propose il programma di Retrouvaille, di cui aveva sentito parlare durante un incontro sulla famiglia organizzato dalla sua diocesi. Attesi il weekend di Retrouvaille con grandi aspettative e speranze. Quel giorno ero inconsapevole della strada che stavo prendendo, ma sentivo che qualcosa poteva davvero cambiare. Durante quel fine settimana ricevetti la conferma alle mie speranze: iniziavo a riprendere in mano la mia vita, la mia fiaba. In quei due giorni riscoprii quanto amore provavo ancora per Laura. Gioia e dolore in quel luogo ci univano con grande intensità. Ci dissero che amare e perdonare sono una decisione, una scelta. Inizialmente non riuscivo a capire cosa significasse questa affermazione, ero troppo legato al solo sentimento dell’amore e credevo che il perdono potesse arrivare solo fino a certi limiti. Poi ho capito: vivere la decisione di amare Laura mi ha dato un senso di pienezza che non avevo mai provato. Mi resi conto che il solo lavoro di Retrouvaille non bastava, dovevo liberarmi da quella dipendenza che minava la mia salute e la mia rispettabilità. Era giunto il momento di chiudere definitivamente il mio ponte col passato. Non era più sufficiente aver chiuso le relazioni extraconiugali, dovevo fare qualcosa di serio e definitivo anche per la mia dipendenza dalla droga. Così iniziai una terapia: un percorso difficile e pieno di ricadute che, però, riuscii a concludere in un anno.
LAURA
Sono arrivata al weekend di Retrouvaille dopo otto mesi dall’inizio della nostra crisi. Avevo il cuore a pezzi. ma speravo che qualcosa potesse cambiare: per questo ho accettato l’invito di Giovanni. Ero priva di fiducia verso chiunque e senza voglia di niente, chiusa in me stessa nel tentativo di cercare di capire perché fosse successo. E forse questa, se non fosse stata la strada della risoluzione, avrebbe potuto almeno essere quella della comprensione. Poco per volta, qualcosa è cambiato. È stato come se qualcuno mi avesse dato una spinta per ricominciare a muovermi. Come se qualcuno mi avesse acceso una piccola candela per scaldarmi e per iniziare a camminare. È stato come svegliarmi da un lungo sonno. Ho sentito il mio cuore liberarsi dalle spine che, ormai, avevano occupato tutto dentro di me. Un’amica mi aveva detto di chiudere quel libro le cui pagine riportavano solo ricordi dolorosi, ferite laceranti, rancori, rabbia e delusione. Dovevo comprare fogli bianchi e iniziare a scrivere la nostra nuova vita: i protagonisti eravamo ancora io e Giovanni, ma la storia sarebbe stata un’altra. Dovevo ricominciare a scrivere subito. Ho imparato ad accettarmi nelle mie fragilità, a superare poco alla volta le mie paure, a riconoscere che anche io avevo fatto i miei errori, a cominciare ad amarmi per quello che sono. Accettarmi voleva dire prima di tutto assumermi la responsabilità dei miei comportamenti passati e del dolore che avevo provocato a Giovanni: svegliarmi da un sonno dapprima inconsapevole e poi consapevole. Ho creduto a chi mi diceva che non c’era nulla di perso. Ho creduto a chi mi diceva che nessun incantesimo cattivo è per sempre, se noi ci impegniamo per spezzarlo. Tante sono state le ricadute ed era sempre più difficile rialzarci. Ma ogni volta ho sentito di potermi affidare a chi aveva vissuto la stessa miseria di un matrimonio in crisi, e di imparare a scrivere ogni volta un nuovo c’era una volta.
GIOVANNI
Io e Laura abbiamo vissuto con grande intensità la nostra seconda fiaba, molto di più rispetto agli anni del nostro amore inconsapevole e sentimentale. Vivere su se stessi e sul coniuge la decisione di amare è un’esperienza così intima e profonda che mi fa rendere grazie a Dio per quanto amore fa nascere.
LAURA
Amare vuoi dire aprirsi al dialogo, saper ascoltare e accogliere i bisogni dell’altro. Ma vuol dire anche perdonare. L’amore di oggi è molto diverso da quell’amore che tempo fa mi aveva travolto con tanta passione. Ora, anche se sento il peso delle fatiche, provo un’enorme soddisfazione vedendo quello che ho ricostruito con Giovanni. Un amore responsabile, maturo, forte che continua a crescere anche tra le difficoltà che ancora abbiamo. Questa volta non temiamo incantesimi cattivi perché, se arriveranno, sapremo come sconfiggerli. Sarò sveglia e con gli occhi aperti per vedere la luce.
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