Maternità

I figli sono un peso o una gioia? Quale maternità raccontiamo?

di Ida Giangrande

L’Italia è in piena emergenza sanitaria. Si fanno sempre meno figli e sono tante le ragioni. Una di queste? Presentare la maternità come un peso da cui fuggire.

In una mia recente intervista a Francesco Belletti sull’emergenza demografica che il nostro Paese sta vivendo, il Direttore del Cisf (Centro Internazionale Studi Famiglia) mi faceva notare che uno dei grandi cambiamenti della nostra epoca è il modo di raccontare la genitorialità e soprattutto la maternità.

Da quel momento ho cominciato a notare alcune cose che prima mi sfuggivano. Scorrendo la timeline di Facebook, ad esempio, ho visto che sono tanti i post che parlano di madri soffocate dal peso dei figli. Vignette in cui la mamma è sotto la doccia con un piccolo tra le braccia e l’altro appeso ad una gamba, oppure lei seduta sul water con gli occhi infossati e il bambino aggrappato alle ginocchia che urla e si dimena come un ossesso. Insomma scene di vita quotidiana che, bene o male, abbiamo vissuto un po’ tutte. Ma il post che più mi ha colpito l’ho visto in questi giorni: era la foto di una donna dal mento all’inguine, distesa, quasi esanime su un letto. Il bimbo, appena nato, attaccato ad una mammella gonfia e rossa e la pancia ghermita da smagliature e ferite, segno evidente di un parto da poco avvenuto. Ho ripensato immediatamente alle parole di Belletti perché quella scena mi rimandava una immagine orribile di maternità. Come se la gravidanza o il figlio sciupassero il corpo della donna, come se quel bambino appeso al seno fosse uno sfruttatore, un peso, un flagello per la mamma esausta.

Un tempo non era così, quando ancora il mondo riusciva a conservare la poesia del vivere quotidiano, la maternità era presentata e vissuta come il simbolo più sublime dell’amore umano. Quella capacità di donazione gratuita e incondizionata che non ha paragoni al mondo. La punta di diamante. L’allattamento poi era l’immagine più bella che si potesse vedere in giro. Ci si commuoveva di fronte ad una donna incinta, destinandole attenzioni e privilegi anche alla cassa del supermercato. Non che oggi non si faccia più, ma la sensazione è che sia cambiato lo sguardo con cui la società guarda le madri. Di fronte ad un pancione o ad una donna che allatta il proprio bambino dove prima c’era solo tenerezza e dolcezza oggi c’è addirittura chi urla allo scandalo.

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Se penso a come la maternità è stata rappresentata nell’arte mi vengono in mente una serie di capolavori intramontabili dalle varie Madonne col Bambino alla Tempesta di Giorgione ad Alma Parens di William Adolphe Bouguereau (1825-1905) fino a Ammirazione materna (1825-1905) dello stesso Bouguereau. In tutte queste tele, e ne ho citate solo alcune perché altrimenti non basterebbe un libro, lo sguardo della madre, il suo abbraccio accogliente, la leggerezza nell’intensità delle sue carezze richiamano una dolcezza senza tempo in cui si riflette in tutta la sua naturale profondità, l’amore divino da cui ciascun uomo proviene. Altro che smagliature e mammelle gonfie!

Oggi, nascosti dietro la pretesa di un realismo insano, ci deliziamo a raccontare l’aspetto più tetro e volgare delle cose. Di tutte le cose: il sesso, la violenza, le guerre, l’amicizia. La maternità è finita nel calderone. Ci illudiamo così di raccontare la verità ma stiamo solo ammazzando la bellezza della vita che, come tutte le cose, ha sempre un piccolo prezzo da pagare. Qual è il rischio che corriamo? Presentare la maternità come un limite alla realizzazione della donna e i bambini come tanti piccoli mostriciattoli che ci si mettono di proposito a svegliare mamma e papà nel cuore della notte. Come se sapessero che quello non è il momento per mangiare o per perdere il ciuccio.

La maternità richiede sacrificio forse è questo che spaventa? Non vogliamo più sacrificarci. Non vogliamo vivere per qualcuno. Vogliamo restare lontane da quello scandalo che Gesù ha offerto al mondo salendo sulla croce per amore. Meglio presentare le donne come imprenditrici rampanti, perfettissime nelle silhouette da modelle, super-impegnate a cambiare il mondo, ma troppo fragili per mettere al mondo gli uomini e le donne del domani. Eppure solo l’amore di una madre può cambiare davvero il domani.




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