Vita

Il piccolo Luigi non è stato abbandonato. È stato affidato…

di Michela Giordano, giornalista

Un bambino è stato trovato nella culla termica installata vicino alla chiesa di San Giovanni Battista di Bari. Accanto a lui un bigliettino: “Lui è Luigi, ditegli che lo ameremo per sempre”. I genitori potevano scegliere altre strade, ma hanno deciso di dargli una nuova vita come per la mia bambina.

L’amore non è una linea retta inflessibile, severa, senza sbavature, ma un cerchio che ingloba con armonia, punti lontani che sembrano inconciliabili e la figura intera non esisterebbe senza ciascuno di quei punti apparentemente così distanti ed, invece, ciascuno è l’immagine speculare dell’altro. Capita così che allontanarsi e accogliere diventino sinonimi inscindibili, come le lacrime e i sorrisi, l’infinita tristezza e l’immensa gioia, irrinunciabili elementi dello stesso cerchio della vita. Senza giudizi, senza domande, senza spiegazioni.

Il piccolo Luigi non è stato abbandonato dai suoi genitori naturali che per lui, potevano scegliere altre strade: l’aborto, per esempio, ma anche un cassonetto della spazzatura. Avrebbero potuto scegliere il mercato dei pedofili, dei cacciatori di organi, degli aspiranti genitori adottivi disposti a pagare. Avrebbero fatto un sacco di soldi vendendo loro figlio. Hanno, invece, deciso di affidarlo, gratuitamente, a chi poteva garantire lui una chance, una possibilità di felicità, di amore, di protezione. Una seconda vita per Luigi cominciata a poche ore dalla sua prima vita. Lo hanno affidato, non abbandonato, i suoi genitori, con un gesto d’amore che fa delle lacrime di chi lo ha messo al mondo il nutrimento del sorriso di chi, fra qualche settimana, lo stringerà tra le braccia chiamandolo figlio. Un gesto d’amore che, certo, da solo non basterà a placare l’ansia di risposte di Luigi quando sarà grande, e che non sarà sufficiente a rassicurarlo quando non si sentirà abbastanza perfetto, abbastanza amato.

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Quando parlo in questi termini della donna che ha messo al mondo la mia bambina, la maggior parte dei miei interlocutori mi guarda con aria sbigottita. “Ma quale amore per una che ha abbandonato la figlia?”. Ed ogni volta io spiego: sarebbe stato abbandono se l’avesse gettata in un cassonetto o buttata, come un sacco in un fiume. Invece è stata fatta nascere nella sicurezza di un ospedale, dopo 9 mesi, immagino non semplici e poi è stata affidata a medici che l’hanno protetta e ad infermieri che l’hanno lavata, vestita, nutrita. Quando sono arrivata, profumava di vita, la mia bambina. E di amore.

Quando la guardo, mi incanto davanti alla sua bellezza, quasi inebetita al cospetto di un sorriso ampio, che, dalla bocca arriva fino agli occhi, che si illuminano di gioia e qualche volta penso che questo miracolo poteva non esistere, se sua madre, i suoi genitori, chi l’ha messa al mondo, avesse fatto altre scelte, di abbandonarla e non di affidarla.

Non conosco nulla della storia della donna che mi ha resa madre; non so se ha affrontato tutto da sola o se, come per la madre di Luigi, ha condiviso la pena con il suo uomo; non so quali insopportabili sofferenze abbiano spinto a staccarsi, a chiudersi alle spalle una porta che, probabilmente, non sarà mai più aperta. So, però, che quella donna ha partorito due volte: la prima quando ha dato alla luce la nostra bambina e la seconda, quando l’ha affidata all’ostetrica che le ha dato il nome e che, poi, me l’ha posta tra le braccia chiudendo in un cerchio le lacrime e i sorrisi.

Ad ogni compleanno, prego per quei genitori, per quella madre, che non so chi siano e li ringrazio per aver scelto l’amore. Un amore così estremo e da tanti non compreso che ha preservato il valore più importante: la vita di nostra figlia.




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