17 giorni nel reparto Covid del Gemelli: “Il più bel ritiro spirituale della vita”

Francois Marie Léthel

di Padre Francois-Marie Léthel

Riportiamo di seguito la toccante testimonianza di Padre Francois-Marie Léthel, presbitero e teologo francese dell'Ordine dei carmelitani scalzi. Contagiato dal Covid-19 racconta la sua esperienza in ospedale: “Durante i giorni della malattia celebravo Messa ogni giorno con un comodino al posto dell’altare e ho capito che grazie al mio sacerdozio potevo portare fisicamente Gesù tra i malati”.

Scrivo questa testimonianza a Roma in questa domenica 28 giugno, giorno della Risurrezione del Signore, memoria di sant’Ireneo di Lione e vigilia della solennità dei nostri due grandi santi di Roma, Pietro e Paolo. Insieme ad altri miei fratelli del Teresianum, sono stato colpito dal coronavirus, malgrado tutti i nostri sforzi per rispettare tutte le regole sanitarie. La sera dell’8 giugno stavo molto male e l’ambulanza mi ha portato al Pronto Soccorso dell’ospedale Gemelli, dove san Giovanni Paolo II era stato ricoverato dopo l’attentato. La mattina del 9, ero ricoverato nel Columbus, reparto Covid del Gemelli, dove sono rimasto 17 giorni in totale isolamento, rinchiuso nella mia stanza, fino alla mia uscita dall’ospedale il 25 giugno, perfettamente guarito, senza bisogno di cure né di altri controlli.

Ringrazio Gesù e la Madonna per questa “risurrezione” un po’ miracolosa dati i miei 72 anni. Nei mesi precedenti, a partire da marzo, avevo scritto tutta una serie di testi sull’Eucaristia vissuta in questa grande prova della pandemia, considerando specialmente la sofferenza dei laici più feriti dalla totale privazione della Santa Comunione, soprattutto in Italia e in Francia. Purtroppo questa privazione è stata chiamata spesso digiuno eucaristico, con un impiego abusivo di un’espressione tradizionale, secondo un’ideologia del 1968 contraria alla Comunione quotidiana. Questi miei testi sono stati pubblicati da Zenit in italiano e in francese. Il Signore Gesù mi ha dato la grazia di partecipare più profondamente, come sacerdote, a questa grande prova che tocca l’intera famiglia umana, proprio al momento del mio 45° anniversario di sacerdozio il 21 giugno che era di domenica. Mi sono sentito più vicino a tutti i malati e specialmente agli altri sacerdoti contagiati (molti sono morti nei precedenti mesi in Italia). Ho dunque festeggiato questo anniversario nella totale solitudine, celebrando la Messa nella mia stanza. La domenica precedente era la Festa del Corpus Domini. Ho potuto celebrare la Messa tutti i giorni, anche quando stavo più male, seduto sul mio letto davanti al comodino trasformato in piccolo altare. Devo dire che mi ha molto aiutato l’esempio del Venerabile Cardinale Van Thuan, sul quale avevo scritto un breve articolo intitolato “Ti porto con me giorno e notte, la spiritualità eucaristica del Cardinale Nguyen Van Thuan” (pubblicato su Zenit). 

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Quando era in prigione, egli celebrava la Messa ogni giorno nella solitudine e nella più estrema povertà, portando sempre nella tasca della sua camicia un’ostia consacrata per prolungare la Celebrazione con l’Adorazione eucaristica, affermando che nel dolore, “la sua sola forza era l’Eucaristia”. Seguendo il suo esempio, ho celebrato la Messa quotidiana con grande semplicità, e il primo giorno ho consacrato una piccola ostia che ho continuamente custodito su di me in una teca dicendo anch’io a Gesù: “Ti porto con me giorno e notte”. Ma un po’ prima di Van Thuan, una laica consacrata, la Serva di Dio Vera Grita, salesiana cooperatrice, aveva vissuto una splendida esperienza mistica della Presenza Reale di Gesù nell’Eucaristia che desidera fare di noi dei “Tabernacoli Viventi”. Ho scritto al suo proposito il breve articolo intitolato “Vera Grita, una mistica dell’Eucaristia nella grande crisi del 1968” (pubblicato su Zenit).

Ero in comunione profondissima con san Paolo VI in quel momento drammatico (l’anno della mia professione religiosa), e per questo ho voluto ricordare il grande “Credo del Popolo di Dio” proclamato da Paolo VI il 30 giugno 1968. Per me, è stata un’esperienza nuova e fortissima della verità del Mistero eucaristico e della grazia del mio sacerdozio. Non era per niente intimismo o spiritualismo esagerato, ma la solidarietà più forte con tutti i miei fratelli ammalati nel mondo, nella comunione al sacrificio redentore di Gesù e nell’unione continua con il suo “Vero Corpo nato dalla Vergine Maria, che ha sofferto ed è stato immolato sulla Croce per gli uomini” (Ave Verum). Come sacerdote, potevo rendere presente realmente Gesù Crocifisso e Risorto in questo luogo di dolore del corpo con la malattia e dell’anima con la totale solitudine, con l’impossibilità per gli ammalati di fare la Comunione. Era il mio più grande servizio di carità sacerdotale per gli altri ammalati, ma anche per i medici, infermieri e tutte le persone che si curavano di noi con tanta carità. Ho sperimentato intensamente l’indivisibilità tra il Vero Corpo di Gesù e la sua Parola nella Sacra Scrittura che leggevo continuamente in questi giorni, specialmente i Vangeli e san Paolo, Isaia e il Cantico dei Cantici, pregando anche tutta la Liturgia delle Ore.

Insieme alla mia Bibbia, avevo portato con me due libri essenziali che sono stati come due fari fin dall’inizio della mia vita religiosa, 52 anni fa: la “Storia di un’anima” di santa Teresa di Lisieux e il “Trattato della Vera devozione alla Santa Vergine” di san Luigi Maria Grignion de Montfort. Così avevo scritto il breve articolo intitolato “Vivere con Gesù in Cielo come in Terra secondo Teresa di Lisieux” (pubblicato su Zenit), aggiungendo poi un testo intitolato “Il Totus Tuus” di san Giovanni Paolo II e di san Luigi Maria Grignion de Montfort. Avevo anche portato una raccolta di testi di san Giovanni Eudes, che insieme al Montfort, è candidato per esser dichiarato Dottore della Chiesa. È il grande teologo dei cuori di Gesù e di Maria, talmente uniti che per lui sono come un solo cuore. E proprio i due giorni precedenti il mio anniversario di sacerdozio erano le Feste del Sacratissimo Cuore di Gesù e del Cuore Immacolato di Maria. In modo particolare ho ripreso nella preghiera i suoi due testi più importanti, firmati con il suo sangue: “Il Voto di martirio e il Contratto di Alleanza con la Vergine Maria”.

La malattia vissuta in unione alla Passione di Gesù è una forma di martirio, e il mese di giugno è per eccellenza il mese dei martiri: Giustino, filosofo e martire, Blandina e i martiri di Lione, i martiri dell’Uganda, Thomas More, Giovanni Battista, Ireneo di Lione, Pietro e Paolo e i primi martiri della Chiesa di Roma. “Il Contratto di Alleanza con la Vergine Maria” è una bellissima preghiera di consacrazione che ogni sacerdote potrebbe fare, per consacrare il proprio cuore all’unico amore dei Cuori di Gesù e di Maria, come cuore di sposo. L’ultimo libro che tenevo era la raccolta degli scritti spirituali di Vera Grita pubblicata dai Salesiani sotto il titolo “Portami con te” (Torino, 2017, Edizioni Elledici). Ogni giorno lo aprivo, sperimentando in modo nuovo la profondità e l’attualità di questa grande spiritualità eucaristica e mariana, missionaria e sacerdotale. Solo con Maria, condividendo la sua fede, speranza e carità, è possibile vivere una tale intima e continua comunione con il Vero Corpo di Gesù, sempre presente nell’Eucaristia. Tenevo sempre la corona del Rosario in mano. Non ho mai acceso la televisione, ma ho usato lo smartphone (telefono, whatsapp e posta elettronica) per tenere il contatto con i fratelli carmelitani, i famigliari e gli amici. Per me questi 17 giorni di ricovero sono stati il più bel ritiro spirituale della mia vita di sacerdote carmelitano, non potendo fare altro che pregare dalla mattina alla sera, con questa forma di preghiera personale che Teresa d’Avila chiama Orazione, e che è inseparabilmente comunione di amore con Gesù e tutta la Trinità e intercessione continua per la Chiesa e tutto il Mondo.

Dalla mia finestra vedevo la cupola di san Pietro e ho molto pregato per il nostro papa Francesco. Con Teresa di Lisieux, a lui tanto cara, dovevo continuamente pregare “a mani alzate”, come Mosé che prega sulla montagna quando il Popolo di Dio combatte nella pianura (cf Es 17,8-12), condividendo la speranza illimitata di Teresa per la salvezza eterna di tutte le anime. Ma devo aggiungere che questo ritiro era anche “certosino”. Ho avuto la grazia di insegnare alcuni anni la Teologia alla Grande Certosa fondata da san Bruno in Francia e di fare un ritiro personale alla Certosa di Serra San Bruno in Calabria, dove il Santo è morto. Infatti ero “recluso” nella mia stanza come lo sono i certosini nelle loro celle. Infine ho sperimentato verso di me la carità dei medici, infermiere, e di tutte le persone che entravano nella mia stanza per le cure, per le pulizie, sempre rivestite di tutte le protezioni più pesanti, facendo un servizio tanto coraggioso, con il pericolo continuo del contagio. 
In questi brevissimi incontri quotidiani c’era una corrente molto forte che veniva dalla Presenza di Gesù e dalla grazia del mio sacerdozio. Quasi tutti erano giovani, uomini e donne, e con tutti ho potuto parlare, pregando per loro e le loro famiglie, chiedendo la protezione di Gesù e di Maria. Li ho sempre ringraziati di tutto anche del cibo che era di buona qualità. Ho ringraziato anche il Cappellano dell’Ospedale al quale ho chiesto del vino per la Messa, e soprattutto il Sacramento del Perdono. Non potendo entrare nel reparto Covid, si è avvicinato il più possibile e mi ha dato l’Assoluzione (come è stato previsto dai Vescovi). Ho fatto una forte esperienza di abbandono filiale nelle “due Mani del Padre” che sono Gesù e lo Spirito Santo (sant’Ireneo), vivendo più profondamente l’infanzia spirituale di Teresa di Lisieux, essendo fragile e totalmente dipendente come un bambino. Nell’incertezza del futuro, ho spesso ripreso la sua poesia Solo per oggi. In tutto questo non ho nessun merito. Tutto mi è stato donato da Gesù e dalla Madonna per i miei fratelli, per camminare insieme verso la santità. Veramente, tutto è grazia!




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