Ddl Zan-Scalfarotto
Il ddl sull’omotransfobia è davvero necessario ed urgente?
di Ida Giangrande
Il ddl Zan-Scalfarotto è attualmente in esame alla Camera. Si tratta di una legge che regola anche la discriminazione contro le persone omosessuali o transessuali. Cosa cambierà se il disegno di legge dovesse passare? Quali saranno le ricadute sul diritto d’opinione? Ne parliamo con Vito Rizzo, giurista.
Quali sono le novità che il ddl introduce rispetto alle leggi già esistenti in materia di discriminazione?
I testi all’esame a firma, tra gli altri, degli onorevoli Alessandro Zan ed Ivan Scalfarotto propongono di inserire dei nuovi casi tra i reati disciplinati dagli articoli 406-bis e 406-ter del Codice penale: pene più severe non solo per chi istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, ma anche «fondati sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere» (Zan) o «fondati sull’omofobia o sulla transfobia» (Scalfarotto). La proposta di legge Zan-Scalfarotto, che in questi giorni sta trovando una formulazione unica, ritiene necessaria una integrazione normativa per puntualizzare la gravità di atti discriminatori e violenti ma per farlo assume dei presupposti oggettivamente non veritieri: è un inasprimento delle pene ma non c’è un «vuoto normativo». Inoltre, fortunatamente, non è vero che ci sia nel nostro Paese una «escalation dei crimini d’odio legati all’orientamento sessuale e all’identità di genere». Parlare quindi di «urgenza» per una legge sul contrasto all’omotransfobia è oggettivamente una forzatura.
Ma è vero che questa proposta crea anche un reato di opinione?
In realtà il testo parla di atti di discriminazione e di «chi commette o istiga a commettere atti di violenza o atti di provocazione alla violenza» per motivi fondati sull’omofobia e la transfobia. Sanziona inoltre qualsiasi «organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza» per tali motivi. Fin qui siamo nell’ambito, come dicevo, dell’inasprimento di sanzioni per reati che sono già puniti dal nostro Ordinamento equiparandoli alle motivazioni di discriminazione etnica o razziale. Va chiarito che nel testo non figura formalmente alcun reato di opinione o professione di una idea diversa purché non istighi a commettere atti di discriminazione, di violenza, di provocazione alla violenza. Le idee che l’art.406-bis condanna a prescindere dal concretizzarsi di forme di istigazione o di violenza restano quelle «fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico».
Eppure i Vescovi italiani hanno mostrato una forte preoccupazione su questo testo di legge…
Come dicevo il testo in sé non include reati di opinione, del resto sarebbe incostituzionale. È il clima di propaganda ideologica che accompagna questa legge che sta destando attenzione e apprensione. Si vuole mostrare il volto di una “Chiesa omofoba” che esprime ingerenza nei confronti dello “Stato laico”, in realtà le preoccupazioni sono determinate da un clima generale che nega la verità biologica, scientifica pur di propagandare posizioni di parte. È già successo e succede quotidianamente sul diritto alla vita, sulla pratica dell’utero in affitto, vietata dal nostro Ordinamento ma propagandata come “conquista sociale” da parte di alcuni, sul diritto “ai figli” che prevale sui diritti “dei figli”. Rivendicare la forza di queste verità non può essere confusa con alcuna forma di violenza o di discriminazione omofobica. Il sospetto è che si voglia alzare l’attenzione parlando di omofobia ma l’obiettivo è quello di intimorire l’espressione di un pensiero alternativo e favorire così un clima indisturbato a sostegno del “pensiero unico”. Faccio un esempio: se la promozione del modello di famiglia tradizionale o considerazioni psicopedagogiche a sostegno dell’importanza per i figli di crescere con le figure sessualmente identificabili del padre e della madre può essere anche velatamente tacciato di “omofobia”, esprimere tali idee in pubblico, forse opinabili ma certamente costituzionalmente legittime, diventerà più difficile per il timore di essere “fraintesi”. Alzare i toni della polemica politica quindi serve a generare confusione per fuggire dal merito delle questioni e questo non depone a favore dei sostenitori di tale modifica normativa.
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Ma sono davvero così tanti gli atti di violenza e discriminazione su persone omosessuali e persone transessuali anche in termini statistici?
Secondo i dati ufficiali diffusi dal Ministero degli Interni i reati legati a discriminazione omosessuale sono circa 26/27 ogni anno. Tanti? Forse non tanti, ma certamente troppi comunque. Tuttavia la propaganda LGBT ne rende la percezione di gran lunga superiore se lo stesso Zan nella sua relazione richiama il recente sondaggio realizzato da Amnesty International in collaborazione con la Doxa sul tema “Gli italiani e la discriminazione” in cui emerge che su un campione rappresentativo della popolazione italiana adulta (tra 18 e 70 anni) il 61,3 per cento dei cittadini di età compresa tra 18 e 74 anni ritiene che in Italia gli omosessuali siano molto o abbastanza discriminati. Ciò conferma che la sensibilità dell’ampia maggioranza dei cittadini italiani sente di farsi carico di tale rischio di discriminazione addirittura sovrastimandone la portata. Il sondaggio dice inoltre che a fronte di un 25,8% di eterosessuali che sono stati oggetto di insulti e umiliazioni, la popolazione LGBT vede salire tale percentuale al 35,5%, uno su dieci in più. Tanti? Certamente troppi comunque, ma non così lontani dai comportamenti “normali” di bullismo riservati alla stragrande maggioranza della popolazione senza che per essi incida il fattore “orientamento sessuale”. Questa è la verità dei numeri che impone un’azione educativa a trecentosessanta gradi e non solamente finalizzata alla tutela di una parte.
Considerando lo scandalo che coinvolse la Barilla un po’ di tempo fa circa uno spot pubblicitario in cui si presentava un modello di famiglia tradizionale o alla Pampers per aver pensato pannolini ad hoc per maschietti e femminucce, sarebbe forse il caso di pensare a un principio normativo che regoli anche l’eterofobia?
A mio parere è necessario evitare battaglie ideologiche e ragionare serenamente sulla necessità e sull’urgenza di provvedimenti più puntuali senza intaccare altri diritti costituzionalmente garantiti come la libertà di espressione dei propri convincimenti religiosi e delle proprie idee. Nella scorsa Legislatura una Proposta di legge simile a quella oggi in discussione era già stata approvata alla Camera e nel disciplinare le fattispecie dell’art.406-bis e 406-ter estese anche alla omofobia e alla transfobia chiariva, giustamente, che «non costituiscono discriminazione, né istigazione alla discriminazione, la libera espressione e manifestazione di convincimenti od opinioni riconducibili al pluralismo delle idee, purché non istighino all’odio o alla violenza, né le condotte conformi al diritto vigente ovvero anche se assunte all’interno di organizzazioni che svolgono attività di natura politica, sindacale, culturale, sanitaria, di istruzione ovvero di religione o di culto, relative all’attuazione dei princìpi e dei valori di rilevanza costituzionale che connotano tali organizzazioni». Quello che desta preoccupazione non è ciò che nella Proposta di legge Zan-Scalfarotto c’è – pienamente condivisibile tra l’altro anche da un punto di vista pastorale come chiarisce bene la Amoris Laetitia al n.250 – ma desta preoccupazione cosa manca. Quello che manca, e che preoccupa i Vescovi italiani anche alla luce di atti discriminatori nei confronti delle opinioni espresse dalla Chiesa in altri Paesi del mondo, è un passaggio che chiarisca come tali disposizioni non compromettano la libertà di opinione espressa nel rispetto e nell’accoglienza delle altrui idee o orientamenti sessuali o di genere. Perché nella nuova versione, oggi all’esame del parlamento, questa precisazione manca? Perché nessuno grida allo scandalo o denuncia i rischi di fattispecie di reato liberticide? È evidente che un rischio di pregiudizio ideologico su chi rivendica la bellezza della famiglia tradizionale, la differenza biologica tra maschio e femmina, l’esigenza di politiche per la famiglia che mettano al centro i minori e non il desiderio degli adulti, eterosessuali o omosessuali che siano, di appagare un proprio bisogno di paternità o di maternità c’è. Pensiamo alle pratiche dell’utero in affitto o all’ideologia gender che propugnano falsità biologiche e scientifiche per giustificare la deriva disumanizzante che sta invadendo il nostro tempo. Avere rispetto della diversità è una ricchezza, ma deve valere per tutti, anche per chi, nel rispetto delle opinioni altrui, difende la “cultura del creato”. Una formula classica del diritto recita «simul stabunt, simul cadent»: l’inasprimento delle pene per l’istigazione all’omofobia e il diritto di opinione «o stanno insieme o decadono entrambi», diversamente ci sarebbe un rischioso sbilanciamento che comporterebbe un avvelenamento del dibattito politico, inficiando le stesse tutele costituzionali.
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