Pronto Soccorso L’ospedale è il posto migliore in cui “fare l’amore”, nel vero senso della parola… Autore articolo Di PUNTO FAMIGLIA Data dell'articolo 16 Giugno 2020 Nessun commento su L’ospedale è il posto migliore in cui “fare l’amore”, nel vero senso della parola… di F.C., medico Al Pronto Soccorso è una giungla. Pazienti sani che vogliono ricoverarsi e pazienti con infarto in atto che vogliono andare via. Codici verdi che in realtà sono bianchi e codici verdi che in realtà sono rossi. Il Vangelo dice "Chi lavora ha diritto alla sua ricompensa". Se desidero la ricompensa di Dio devo lavorare per Lui. Ecco dunque qual è la mia missione: servire l’uomo anche quando non sa dire grazie. Caro diario, tutta la notte ho avuto un sonno agitato. Non ho pensato ad altro che ai pazienti che avevo lasciato ieri al collega e che avrei ritrovato la mattina. Le telefonate con i loro parenti, le numerose visite fatte, l’agitazione legata alle mille cose da fare e i pazienti lì in attesa di un pensiero loro rivolto, ciascuno con la propria storia. Oggi, sabato, avevo dodici ore da fare. Sveglia alle cinque in modo da poter partecipare alla Celebrazione delle sei. Appena apro gli occhi leggo un messaggio del collega: “Vi prego arrivate in orario per il cambio…Ve lo chiedo per pietà”. Dopo la Messa parto per una nuova e impegnativa giornata. Tutti i posti letto sono pieni, cinque pazienti sono fuori in attesa. In dodici ore credo di aver visitato almeno trenta persone. All’una compare una nonnina in stato soporoso, aveva avuto un trauma due giorni fa. TC cerebrale come tante altre fatte. Intanto i pazienti continuano ad arrivare e affollare il Pronto Soccorso. Mi chiama la Radiologia: “Dottoressa c’è emorragia!”. E così mi trovo ad affrontare da sola un codice rosso. Il neurochirurgo ritiene che non sia possibile intervenire. Per lui non c’è nulla da fare. Esco fuori a parlare con il figlio, ho circa tre secondi per invocare lo Spirito, consapevole che sono troppo pochi. Cerco di spiegargli la situazione. “Quanto tempo ha mia madre?”. A questa domanda rimango pietrificata. Oltre al fatto che non potevo prevederlo con precisione, mi rendo solo ora realmente conto che avevo preso in cura una paziente che stava per lasciare questa terra e probabilmente lo avrebbe fatto nel più breve tempo possibile. Rientro dentro con la rabbia di chi si sente impotente contro un’emorragia che va avanti e nessuna cura reale che possa evitarlo. La collega ai codici rossi è d’accordo che sia trasferita da lei… A quel punto prendo l’immagine di Gesù Misericordioso e la metto sul suo letto. Si trova sola, il figlio non può entrare dentro e non sarebbe stata nemmeno più con me, ho pensato che la compagnia di Gesù potesse essere una valida consolazione. Leggi anche: “Noi medici? Non siamo i padroni della vita” 9 giugno Caro diario, la scorsa domenica ci siamo incontrati come comunità per concludere il percorso di catechesi di quest’anno “L’amore come vocazione”. I nostri catechisti hanno giocato sulle parole “Fare l’amore”. Quello che volevano dirci è che l’amore è fare, è sacrificarsi, è soffrire per l’altro: l’amore è impegnativo. Il giorno dopo vado a lavoro con la convinzione che anche lì posso “fare l’amore”. C’è la signora Rosetta: sono tre giorni che è lì ed è un vero… strazio. Ha un deterioramento cognitivo importante e non fa che lamentarsi. Ogni sua parola è una lamentela ma quello che più è insopportabile è che si lamenta per le cose più futili. Appena arrivo, ricevo i pazienti in consegna, ma mentre la collega parla, comincia il piagnisteo: “Ho fame, ho fame”. A breve avrebbero portato le colazioni per i pazienti. Non avevo portato il pranzo anche perché ero certa che non avrei avuto il tempo di mangiare com’è successo all’ultimo turno lungo, niente colazione né caffè per arrivare in anticipo per le consegne e partecipare alla Messa delle sei. Con me, come salvavita, un pacchetto di salatini. Si prospettava una giornata pesante: dieci pazienti dentro e otto in attesa. “Ho fame, ho fame” continua a ripetere lei. Amare è fare… Do i salatini a Rosetta e dopo pochissimo si calma come una bambina. E il mio stomaco si riempie della gioia di aver finalmente compiuto un gesto di carità, nonostante le mie mille cadute. 11 giugno Caro diario, oggi è stata una giornata impegnativa. Quando ci sono i turni di dodici ore ormai mi preparo come se dovessi andare in guerra: carica d’amore alla Celebrazione delle sei, si continua con la preghiera telefonica con Vincenzo durante il viaggio. Spero di custodire quanto ricevuto durante la giornata. Stamattina il sacerdote ha parlato della storia di una suora: ricca e presuntuosa, intorno ai 20 anni conosce l’amore di Dio e lo insegue. Arrivo al Pronto Soccorso ed è … una giungla. Chi piange, chi urla, chi vuole andare via, pazienti sani che vogliono ricoverarsi e pazienti con infarto in atto che vogliono andare via. Codici verdi che in realtà sono bianchi e codici verdi che in realtà sono rossi. Il Vangelo di oggi dice “Chi lavora ha diritto alla sua ricompensa”, ma se desidero la ricompensa di Dio devo lavorare per Lui. E allora niente comodità, prese di posizione, questioni inutili… Un solo imperativo: servire. Servire anche e soprattutto quando non ci sono i “grazie”, quando il paziente è aggressivo perché psichiatrico, quando i colleghi giocano allo scaricabarile. Oggi due giovanissimi pazienti psichiatrici, entrambi TSO (trattamento sanitario obbligato). La ragazza, Giulia, ha 23 anni. È aggressiva nei confronti degli infermieri e delirante. Mentre l’infermiera prova a prenderle la vena grida: “Voi mi odiate perché sono ricca”. Ho pensato alla storia della suora raccontata dal sacerdote stamattina. Forse un giorno anche lei conoscerà Dio e sarà guarita dalla sua malattia. Intanto posso solo pregare che ciò avvenga. Aiutaci a continuare la nostra missione: contagiare la famiglia della buona notizia Cari lettori di Punto Famiglia, stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11). 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