Scuola di Piero Del Bene, insegnante Scuola, valutazione di emergenza: punto di arrivo o di inizio? 26 Maggio 2020 A chi serve la valutazione? A cosa serve? Non ai genitori, non ai docenti: serve essenzialmente allo studente. È lui il centro della valutazione. Nel senso che è lui che deve valutarsi. Ne scrivo alla fine di maggio e già questo è sbagliato! Sì, perché dici valutazione e pensi a fine maggio, ma più ancora pensi a giugno. Pensi all’esito: promosso, bocciato, “rimandato”. Così, nella mente di tutti, il risultato prende il posto o addirittura si fonde col processo. Questo processo, sempre nel pensare comune, è il più divisivo. Mai come nella valutazione chi sta da “questa parte” della cattedra è considerato separato da chi sta dall’altra parte. E anzi si ritiene che i due “mondi” non si debbano incrociare, debbano restare paralleli. Il voto, in quest’ottica, diventa l’unico anello di congiuntura tra questi due universi. Ma è proprio così? Il sentire comune vede bene? La riflessione che segue andrebbe fatta a settembre, all’inizio dell’anno scolastico, ma ciò non sempre accade e questa mancanza è anche colpa della Scuola che non s’interroga troppo su questa sua delicata funzione. Il fatto nuovo, in tempo di pandemia, è che la valutazione in emergenza ci sta costringendo a capire meglio cosa sia la valutazione in generale. Ci sta aiutando a capire meglio anche cosa ne pensino le famiglie. Il combinato disposto dei due fenomeni è che dobbiamo fermarci a riflettere un poco sopra. È il caso di chiarire un poco le idee a tutti gli attori della rappresentazione. Un fatto concreto aiuterà ad introdurre meglio il fenomeno. Tutti noi che abbiamo figli in età scolare abbiamo avuto contatto con i compiti assegnati sulle piattaforme per la didattica a distanza messe su a tempo di record dai gestori dei registri elettronici per venire incontro alle nuove, inusitate esigenze proposte dal tempo d’emergenza sanitaria e della cattività domestica. Così, da una parte, noi docenti abbiamo “caricato” compiti e spiegazioni e, dall’altra, gli alunni hanno “caricato” gli svolgimenti. In questa fase si è posto subito il primo problema: gli alunni o qualcun altro per loro? Ovviamente la maggior parte degli studenti ha svolto indipendentemente i propri lavori, ma non sempre è stato così. Posso esibire a sostegno di questa tesi, ad esempio, il problema svolto da una studentessa di seconda media usando le equazioni di secondo grado che invece sono introdotte al secondo anno di scuola superiore. Se c’è il rischio, dunque, di intromissioni e fermo restando che noi dobbiamo valutare anche l’attività a distanza, come possiamo garantirci una certa equità nel processo di valutazione? Cosa possiamo valutare? Su questa domanda poggia la revisione approfondita del processo di valutazione che il mondo variegato della scuola sta operando. Leggi anche: La Scuola è fatta di carne e di spirito, il coronavirus ce lo sta insegnando… In questa fase di ripensamento sono state riscoperte alcune definizioni che è il caso di trascrivere. Innanzitutto vale il principio che ogni valutazione è prioritariamente finalizzata alla conoscenza, allo sviluppo e al miglioramento dei processi educativi, non al giudizio delle singole performaces. In altre parole, a chi serve la valutazione? A cosa serve? Non ai genitori, non ai docenti: serve essenzialmente allo studente. È lui il centro della valutazione. Nel senso che è lui che deve valutarsi, deve farsi un’idea abbastanza definita di sé. Alla fine di un corretto processo, un ragazzo, a misura sua, cioè tenendo conto della sua età e del suo sviluppo, dovrebbe essere più o meno in grado di porsi la domanda “quali sono i miei obiettivi?” e provare a darsi una risposta. Esistono poi domande collaterali: Sto imparando nel modo migliore per me? Quali sono i miei punti di forza? Sto andando per la via giusta? Che devo fare per migliorare? Quali sono i miei punti deboli da correggere? Cosa mi fa davvero pensare? Come si vede, nulla a che vedere con le equazioni di secondo grado in un problema di seconda media. Sarebbe interessante interrogare quei genitori che hanno svolto in quel modo il problema della figlia. Probabilmente scopriremmo che per loro fosse più importante consegnare il lavoro piuttosto che chiedersi a che punto fosse la figlia e perché non riuscisse a svolgerlo. Probabilmente, nella loro visione, la Scuola è una stanza dove si accumulano solo compiti e nemmeno conoscenze. Poi, sempre secondo loro, alla fine, guardiamo il mucchio, bello corposo, delle “cose” consegnate e tiriamo la somma. Cosa risponderebbe la loro figlia alle domande precedenti? Ma non è colpa dei genitori, quanto piuttosto di una deriva che interessa la Scuola italiana da alcuni decenni. In Italia il voto marchia la persona. È un avatar da mandare in giro al proprio posto. Un’immagine da esibire, come genitori e coma persone. Cioè vale tutto ciò che un voto non è. Per capire meglio questo sottile passaggio, dobbiamo fare una piccola distinzione. La docimologia, cioè la scienza che studia i processi di valutazione, distingue tra misurazione, valutazione e comunicazione. La prima raccoglie dati dai compiti, dalle prove, dalle osservazioni, dalle interrogazioni e così via. La valutazione propriamente detta interpreta i dati in base ai criteri adottati e condivisi con lo studente e la sua famiglia. Esiste poi la comunicazione dell’esito di questa valutazione. Questo passaggio richiede un codice, cioè una traduzione comprensibile e sintetica. Si usano, ad esempio, i voti in decimi, le lettere dell’alfabeto, aggettivi sintetici o giudizi discorsivi. Di solito ragioniamo solo di quest’ultima parte e può succedere che il nove che è un messaggio in codice possa diventare il nome del ragazzo. Quel numero dovrebbe essere in realtà condiviso col ragazzo il quale dovrebbe essere in grado di coglierne la genesi ed il significato. Questo accadrebbe se s’impostasse un discorso chiaro fin dall’inizio dell’anno. Per questo motivo non è bene parlare di valutazione a maggio, almeno che non si stia parlando dell’anno scolastico prossimo. La valutazione diventa così un accompagnamento, una forma di aiuto fornito allo sviluppo della personalità dello studente, ma fornito anche alla famiglia del ragazzo per aiutarlo a crescere. I genitori dell’equazione di sopra, probabilmente, avrebbero aiutato di più la figlia contattandomi per discutere dei progressi reali della figlia, della sua capacità di attingere alle risorse di cui dispone (che non sono poche). Ecco, vorrei dire al genitore medio italiano che valutiamo (durante tutto il tragitto dell’anno scolastico) per valorizzare i talenti, aiutarlo se è in difficoltà chiarendo prima a lui serenamente quali sono le criticità, dargli la consapevolezza realistica della progressione delle proprie competenze, incentivarne la capacità di autovalutazione. Vorrei dire di non fermarsi solo al voto che è un codice che prova a rappresentare un mondo personale che come tale vale infinito (se si potesse dare un voto al valore di ciascuno sarebbe questo!). Lo stesso discorso andrebbe ricordato anche agli insegnanti che alcune volte si attaccano al petto il numero esprimente il voto dei propri alunni come fossero medaglie da esibire. Sarà, invece, il ragazzo stesso in futuro ad esibire sul petto la gratitudine per quel docente che lo ha aiutato a diventare il miglior se stesso possibile. Alcune delle parole usate (tragitto, percorso, accompagnamento) mi suggeriscono una similitudine con un brano evangelico che mi è molto caro: la vicenda dei due discepoli di Emmaus. In essa viene narrato un affiancamento accompagnato da parole che aiutano a comprendere il proprio posto in una storia, c’è il guardarsi dentro per riscoprirvi un fuoco che arde, c’è una presa di coscienza ed una ripartenza che fa ricorso a tutte le risorse intraviste dentro e fuori di sé, c’è un nuova progettualità, una nuova missionarietà che attinge a forze appena scoperte in sé: si tratta di un accompagnamento che spinge verso una meta, non si presenta come un punto di arrivo, ma come trampolino di lancio. Ecco il vero scopo della valutazione di uno studente: serve a dargli il via, insieme genitori e docenti, a indicargli che esiste un senso che è contemporaneamente dentro e fuori di sè e a indicargli che scoprire tale senso (egli e non noi per lui) è il miglior risultato che egli possa raggiungere. La valutazione, dunque, non serve a dare un senso preconfezionato, ma accompagna alla consapevolezza che c’è un senso da scoprire: non è un punto di arrivo di un tratto di strada, ma il punto di partenza del successivo. Aiutaci a continuare la nostra missione: contagiare la famiglia della buona notizia Cari lettori di Punto Famiglia, stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11). 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